E niente, è finita un’epoca. Dopo la morte (buttana) di Lando Buzzanca vogliono togliere le prostitute in vetrina da Amsterdam, che non erano solo prostitute in vetrine, ma un rito di passaggio. In alcune parti del mondo si buttavano giù da una torre di legno attaccati alla caviglia a una corda: noi invece avevamo l’interrail e Amsterdam. Stanno pensando anche di vietare la vendita di cannabis ai coffee-shop. Ma che succede? Per la gioventù europea, un attimo repressa dalla civiltà occidentale e cattolica dove le buttanazze non esistono per principio (se poi esistono nella realtà non è un loro problema, tanto loro hanno i chierichetti) il viaggio ad Amsterdam, compiuti i diciotto anni era un cartellino che dovevi timbrare. Si arrivava in piazza Dam, assaltati dagli spacciatori irregolari, e si apriva il mondo adulto. Madame Tussat, il National Memorial, il Palazzo Reale, ma chi se ne fotteva, controlla un po’ il taccuino. Perché c’era il taccuino all’epoca, gli smartphone non esistevano, e sul quel taccuino delle meraviglie ci si tramandavano le passate esperienze degli amici e dei fratelli più grandi. Grandissime fregature, quei taccuini, mai un posto fu all’altezza del racconto che ne facevano, come accade sempre alla realtà e ai racconti. Eppure nessuno di noi voleva badare alla realtà, a diciotto anni: ci fidavamo del taccuino, e se il taccuino diceva che quello era il migliore coffee-shop di Amsterdam, ebbene, lo era.
Non lo sapevamo: ma stavamo facendo le prime esperienze non con le droghe, non con le prostitute, ma con la letteratura, anzi: con la Letteratura, quella magia che grazie al pensiero nobilita anche i posti più squallidi. E poi, con reverenza, come se entrassimo in una cattedrale, con la lingua secca dall’emozione, ci addentravamo a Walletjes, scorgendo di lontano le luci nella sera, e dentro quelle luci c’erano, come si chiamavano all’epoca, le “donne nude”. Ma certo che non potete capire, voi generazione di Onlyfans, cosa voleva dire starsene giornate in treno per arrivare a vedere, stremati, una donna nuda. Certo che non ne potete sapere, voi generazione del Viagra e della droga dello stupro, di quelle erezioni mistiche che si svolgevano nell’attesa.
Perché era l’attesa e la promessa di una scoperta che ci smuoveva il pensiero e il sangue, non il rapporto, consumato infine frettolosamente e sempre deludente, per tutti. Ma chi se ne fotteva: lo sapevamo che sarebbe andato così e lo sapevamo che nel racconto avremmo dovuto esagerare, raccontare meraviglie, descrivere paradisi esotici. Conoscevamo all’epoca, grazie a quelle vetrine con le “donne nude” la potenza evocativa e sessuale del racconto. Perché infine questo restava, di Amsterdam, dopo il vomito, le ubriacature, i rapporti sessuali deludenti: restavano i racconti, i miti. Resterete lì, con il codice Qr in mano, a vedere su uno schermo le foto posate delle prostitute che vi aspettano nelle stanze oscurate. Senza il fascino della calza smagliata, della ruga, della stanchezza di vivere, della malinconia e della gioia di un istante che si spalancava sul nulla.