È stata un’annata particolare quella che si è conclusa con gli Oscar, peculiare anche la selezione veneziana dei film che gravitava tra due poli opposti: la sperimentazione e l’avanguardia di film (se così si può chiamare) che non arriveranno mai nelle nostre sale come Aggro Dr1ft di Harmony Korine, e dall’altra l’equivalente del little black dress nella cinematografia mondiale, il melò storico La terra promessa (il titolo originale che rende pienamente giustizia al film è Bastarden). Il film di Nikolaj Arcel è un adattamento del bestseller ‘Il capitano e Ann Barbara’ di Ida Jessen, ispirato a sua volta - molto liberamente - dalla vera storia, avvenuta durante il XVIII secolo, dell’ex capitano Ludwig von Kahlen (Mads Mikkelsen) diventato agricoltore nella brughiera danese. Figlio bastardo di un nobile, il capitano Ludwig ottiene il permesso, da un Re assente perché sempre ubriaco e dai suoi consiglieri, di coltivare la difficile brughiera in cambio di un titolo nobiliare. A rivendicare, però, il diritto a quelle terre è il tipico villain dei vecchi kolossal, il signorotto di quelle lande desolate, lo stupido, viziato e sadico Frederik De Schinkel (il bravo Simon Bennebjerg). Così inizia uno scontro tra la civiltà e il progresso rappresentati da Ludwig e la prepotenza della nobiltà di De Schinkel che porterà -presto- la vicina Francia alla rivoluzione.
In questa rivalità all’ultimo sangue dove da una parte abbiamo il volto granitico di Mikkelesen, e dall’altra la crudele stupidità di un personaggio quasi fumettistico, un microcosmo di personaggi ancora più reali e sofferti dei due antagonisti perché costretti a vivere in un fuoco incrociato: da Ann Barbara (Amanda Collins) contadina in fuga da De Schinkel che ha torturato e ucciso il marito, alla bambina zingara Anmai Mus (Melina Hagberg), così come Edel (Kristine Kujath Thorp) la nobildonna innamorata del capitano fino al giovane reverendo Anton (Gustav Lindh) consigliere di Ludwig e copertura per chi vuole scappare dal giogo di Schinkel. Il capitano va avanti imperterrito inseguendo la visione, a tratti folle, di quello che diventeranno quei luoghi un domani, inseguendo una sua personale rivendicazione, una mitologia personale che cerca un punto d’incontro fra la sua parte nobile e il disprezzo verso quella nobiltà incurante dei bisogni della povera gente. La terra promessa è un epico western senza esserlo, un grande film con dei personaggi muscolosi quanto fragili, con un protagonista che è un antieroe, capace - seppur inconsciamente- di passare sopra amori e amici che l’aiutano nell’impossibile impresa, piuttosto che trovare pace in quei luoghi ai confini di un mondo ottuso e crudele.
Arcel dopo un decennio dalla nomination agli Oscar per A Royal Affair, torna con un melodramma fuori tempo massino, con una storia di frontiera dove la frontiera è il cuore da conquistare degli uomini. La terra promessa è un piccolo gioiello che ha il difetto di essere figlio di un altro tempo: nell’epoca dell’endless scrolling su TikTok un film storico che contiene violenza, amicizia, sottotrame politiche e amorose, non può che risultare uno sbriciolamento di coglioni o di ovaie al pubblico medio, o così pensavo. Alla sua prima veneziana è stato accolto da parecchie lamentele, tra l’altro da gente che è stata cresciuta e educata con questo genere di cinema: il cinema narrativo classico che bene o male ha formato quei cosiddetti professionisti. Nell’epoca dell’audiovisivo da social o dei film for dummies, questo cinema elegante da giacca non solo non viene riconosciuto in quanto tale, ma neanche apprezzato in quel terreno sterile che è diventata la critica.