Nulla di nuovo da un punto di vista melodico, ma “Bruciasse il cielo”, il più recente singolo di Blanco, il suo bell’effetto lo fa. Brano intenso, evocativo, tinto di quella rabbia “autotuned”, typical-Blanco, che abbiamo imparato ad amare o a odiare. Lo ascolti e ti prende. Lo riascolti e ti ri-prende. La terza o quarta volta, però, presti più attenzione ai dettagli e alcune parole non ti sfuggono. Anzi, ti saltano addosso. Sì, perché a un certo punto Blanco canta:
“Ma quanti ne ho fatti
Di sbagli
Ma che stronza che parli
E poi parli e mi guardi
Voglio solo scoparti
Odio amarti, ripensarci
Voglio uccidere
Vado al manicomio però”
Gli ultimi versi, alla luce del rinnovato dibattito sulla violenza contro le donne e sulla violenza dei testi trap, fanno quantomeno riflettere. A parte lo strano (e sbagliato) tempismo – rispetto a cui Blanco è ovviamente innocente –, viene però da chiedersi perché il pop contemporaneo sventoli spesso questa quasi fisiologica necessità di inglobare l’eccesso, l’estremo, nella propria normalità espressiva. Vi fa schifo “normalità”? Già avete imbracciato un Kalashnikov e siete pronti a berciare “ma non esiste la normalitààààà”? Bene, diciamo allora “prassi espressiva”, “consuetudine espressiva”. Attenzione, stiamo parlando di musica pop, di sfacciatissimo mainstream, ossia di contenuti “pompati” dai signori che fino a tre/quattro lustri fa erano pronti a scandalizzarsi, o perlomeno a problematizzarsi, per la presenza di una parolaccia nel testo di un pezzo destinato potenzialmente “a tutti” in quanto, appunto, pop. Oggi pare invece che – come altre firme hanno fatto già notare sempre dalle colonne di MOW – la violenza, il turpiloquio e l’aggressione siano condizioni sufficienti e necessarie per garantirsi una buona diffusione mediatica. Caratteristiche “estreme”, un tempo, appannaggio di sottogeneri “estremi” che – pena essere tagliati fuori da tutti i canali mainstream – si prendevano la briga (e i rischi) di rappresentare “un altro mondo” rispetto a quello che emergeva in superficie.
Oggi invece il pop non è pop se non ha dentro di sé quella “quota trap” che lo rende un po’ oltraggioso, un po’ vietato e quindi golosissimo per qui teen, avidi frequentatori di autoscontri, che non avrebbero mai il coraggio di essere alternativi per davvero. Vogliono essere integrati, più che integrati. E questo lo sanno bene artisti come Blanco, che anche questa volta non ci rinuncia a quei due versi che possono eccitare il ragazzino che vuole provare la sensazione di essere contemporaneamente guardia e ladro, giudice e imputato, integrato e fuorilegge. Integrato perché Blanco è un modello estetico “supersafe” (canta canzoni melodiche e fighette che “suonano bene”; duetta con Mina, mica con i Dying Fetus). Fuorilegge perché sarà pure pop e mainstream, ma la voglia di cantare “voglio uccidere, vado al manicomio però” la trova. Per esprimersi, certo. Per colpire, senza dubbio. Perché forse la sua generazione ‘sta cosa di affidarsi alla violenza quando tutti i pianeti non sono perfettamente allineati ce l’ha dentro. E perché sa che è passato il tempo in cui il mondo adulto si scandalizzava per una parolaccia. Ora chi regola il mainstream, al ragazzino dice: vai sereno, e se ti venisse da scrivere qualcosa di forte non preoccuparti, vent’anni fa te l’avremmo zuccherata ben bene la poltiglia, oggi ti mandiamo avanti e ti proteggiamo. Disfa pure il palco di Sanremo, sporcati pure le mani con “uccidere” e “manicomio”. No problem, oggi questo è pop.