Annamaria Franzoni e Veronica Panarello sono solo due dei nomi propri che ricordiamo associandoli a quello che, per antonomasia, diventa nel nostro immaginario il fenomeno delle madri assassine. E una delle domande che di frequente ci poniamo è proprio quella inerente alle motivazioni, psicologiche e non, che possono spingere una mamma ad agire un comportamento che con buona probabilità viene da molti considerato il più aberrante dei crimini, ovvero l’uccisione del proprio figlio. Ma le spiegazioni ci sono e proviamo quindi a tracciare un profilo in base con alcune caratteristiche delle cosiddette “madri assassine” per identificare le peculiarità di un comportamento criminale che spesso si lega anche a problematiche di ordine psichiatrico.
L’infanticidio in ambito parentale ha radici storiche, infatti nell’antica Roma la patria potestà concedeva anche il diritto di uccidere il figlio. Sul piano psicologico, invece, possiamo leggere il fenomeno partendo proprio da una definizione comune, il cosiddetto “istinto materno”, se infatti è vero che le madri hanno un legame istintivo con i propri figli, non è altrettanto vero o scontato che siano in grado di prendersene adeguatamente cura. In questo senso “l’intelligenza” dell’uomo diventa discriminante perché crea confusione e si sovrappone all’istinto che invece, negli altri animali, permane e orienta nei processi di accudimento. Una buona teoria cui far riferimento per spiegare in maniera più articolata questo concetto è quella di Jhon Bowlby sull’attaccamento. A livello fisiologico, infatti, questo è fortemente influenzato dall’ossitocina, un ormone che ha anche influenza nell’accoppiamento e nei comportamenti di accudimento della prole; in mancanza di questa, tra molte madri e bambini, i disturbi dell'attaccamento gravi si svilupperebbero già dall’età neonatale.
La sensazione di appagamento e di benessere nell’allattamento, per la madre, e il piacere della suzione e dell’accudimento per il bambino, sono inoltre entrambi correlati al rilascio di oppioidi endogeni e nel caso delle madri assassine potremmo ragionevolmente chiederci se il comportamento criminale sia influenzato proprio da uno scarso rilascio di ossitocina o da un’insufficienza di oppioidi endogeni da trasmettere al neonato, ma ognuna di queste condizioni sarebbe a sua volta influenzata da fattori ereditari; non va infatti negata l’importanza dell’ambiente (inteso come contesto sociale) nella formazione di un sano legame di attaccamento. Proseguendo su questa direttrice va sottolineato come non raramente alcune madri patologiche siano state esse stesse vittime di abbandono o abuso nei primi anni; se però, unitamente a questo fattore, sono anche presenti delle assenze o delle anomalie nella produzione e nel rilascio di ormoni e neurotrasmettitori come serotonina e dopamina, è più probabile che si verifichino delle problematiche nella strutturazione del suddetto legame di attaccamento.
In alcune tipologie di infanticidio le madri sono giovani, non sposate, scarsamente istruite, non hanno pregressi di comportamenti criminali e non cercano l’aborto, ma non accettano o non “riconoscono” la loro gravidanza. Queste donne sono apparentemente motivate, in maniera prominente, da una sensazione di terrore riguardante la vergogna e il senso di colpa che accompagna la gravidanza di figli al difuori del matrimonio, ma differentemente da quanto accade nelle situazioni in cui la decisione volge verso l’aborto, in questi casi intervengono meccanismi di difesa potenti che includono diniego e dissociazione in relazione ai piani di cura e accudimento del figlio. Nei casi di “figlicidi accidentali” oppure in particolari circostanze di vero e proprio abuso dovuto all’incuria, invece, non si riscontra un chiaro impulso ad uccidere ma, al contrario, l’omicidio è visto come conseguenza di un atto impulsivo ascrivibile ad una perdita di controllo. C’è poi il fenomeno, particolarmente complesso, che vede il “figlicidio” in correlazione con la malattia mentale; in questi casi possono innescarsi deliri e allucinazioni tali da rendere, per le madri, giustificabili e addirittura inevitabili gli stessi omicidi; il riferimento è ovviamente ai casi di schizofrenia, psicosi maniaco depressiva e disturbi gravi della personalità.
Per concludere, riassumendo tutti gli aspetti che fin qui abbiamo enfatizzato, possiamo individuare sul piano criminologico differenti tipologie di “madri assassine”, classificandole principalmente in base alle seguenti motivazioni:
1 Malattia mentale: È il caso di Andrea Yates, che nel giugno del 2001 uccise affogandoli i cinque figli, in preda ad un episodio di scompenso psichico in cui udì delle voci che le ordinavano di farlo perché i bambini erano posseduti da Satana. Nel 2006 venne internata presso il North Texas State Hospital perché giudicata non imputabile per vizio totale di mente.
2 Depressione: La ricerca mostra che più di un terzo delle madri assassine ha ucciso i propri figli perché fortemente influenzata dalla depressione, nell’accezione di una forma estrema ed estesa di suicidio: “Io uccido quello che più amo - il mio bambino”; questo tipo di depressione è un esempio in cui i livelli di neurotrasmettitori possono risultare anomali.
3 Gravidanza indesiderata o imprevista: In quei paesi dove è difficile effettuare un controllo efficace delle nascite ed è ancor più complicato praticare l’aborto, è più probabile che si verifichino neonaticidi e figlicidi materni, ma in questa categoria rientrano anche le madri adolescenti, soprattutto quelle che non hanno un adeguato sostegno familiare; in modo particolare le donne che commettono infanticidio, uccidendo un bambino il giorno della sua nascita, sono in genere più giovani, spesso non sposate, negano o nascondono le loro gravidanze, manifestano una mancanza di cure prenatali e non hanno piani per l’accudimento del bambino. Si è constatato, inoltre, che un rischio marcato per omicidio infantile era un secondo figlio nato da una madre di età inferiore ai 20 anni; il 90% delle madri neonaticide hanno meno di 25 anni e solo un numero inferiore al 30% ha problemi di psicosi o depressione. Molte di queste donne considerano l'omicidio come un aborto che è arrivato troppo tardi.
4 “Sindrome della madre misericordiosa”: un bambino malato o disabile viene ucciso dalla madre amorevole per “proteggerlo” dal dolore e dalla sofferenza.
5 “Sindrome di Munchausen per procura”: È il nome di un disturbo che spinge le madri ad arrecare un danno fisico al figlio/a per attirare l'attenzione su di sé; i metodi usati per creare sintomi nei figli sono eterogenei e spesso crudeli. Solitamente la madre di questo tipo è una donna abbastanza colta, in grado di esprimersi con proprietà, talvolta ha una preparazione medica di qualche tipo; quando il figlio viene ricoverato si dimostra un’ottima interlocutrice per il personale sanitario, ascolta con attenzione e si manifesta particolarmente collaborativa.
Tutto questo è indispensabile in ambito criminologico per “classificare” un gesto che appare decisamente innaturale, per poterlo valutare sul piano giuridico, per cercare di individuarne la causa come accade nelle malattie, ma è ovvio che un comportamento, specie se distruttivo, non sia assimilabile con troppa semplicità ad una patologia. Richiede una riflessione maggiore, un’immersione profonda nelle situazioni e certe volte, anche questa, si rivela insufficiente per poter rispondere compiutamente alle domande di chi, leggendo certe notizie, fatica a distaccarsi dall’orrore per trovare una sorta di pacificazione nelle parole forse troppo asettiche che un tecnico come me prova a dare. Ed è per questo che giunti al termine di questa disamina approfitto ancora un pochino dello spazio concessomi per invitare chi ha avuto la pazienza di spingersi fin qui a regalarsi una lettura sconvolgente. Follia di Patrick Mc Grath, edito Adelphi. Un libro che, più di ogni altro, vi permetterà di comprendere (almeno in parte) le atmosfere e le inquietudini sotterranee della malattia mentale.