Parole d’amorgan, uscito per Baldini + Castoldi in queste settimane, non è solo un libro di poesia. Intanto è un preludio a un album di prossima uscita. È anche un lavoro di grafo-linguismo, come lo definisce il suo stesso autore in un’intervista con la poetessa Mary Barbara Tolusso. Non è esattamente poesia visuale. Piuttosto, esprime l’indole di Marco Castoldi, in arte Morgan, una predisposizione alla spiegazione e al commento con cui ha fatto innamorare nel corso degli anni il suo pubblico. Marco spiega, non scrive e basta, così come quando suona non “suona e basta”. Il libro segna una cesura con un dolore importante dell’artista, vittima di ghosting, una pratica di cui poco si parla e che consiste nel perdere traccia del proprio partner, da un momento all’altro, senza possibile di comunicazione. L’isolamento totale, la voce che viene strozzata. La parola che resta nella caverna della lingua e del palato. Se pensiamo a quanto appena detto sulla volontà di spiegazione, espressa persino con contrappunti e segni sulla pagina scritta, non risulta difficile capire quanto possa aver sofferto Morgan per questo crimine imposto a lui e alla sua volontà di dialogo. Perché non c’è solo la violenza sulle donne, o lo stalking, ma anche l’abbandono, e noi ce ne dimentichiamo sempre di più.
Marco Castoldi parte da qui per scrivere un libro di versi d’amore, commentati da Pasquale Panella, poeta e paroliere (tra i tanti anche di Amedeo Minghi e Lucio Battisti), con il quale è entrato in contatto grazie a Gianmarco Aimi. Il messaggio è chiaro e viene ribadito da Roberta Castoldi nella prefazione. La volontà di amare ha caratura morale, non è pura estetica. Per questo Morgan usa chiamarsi solo Marco Castoldi quando si tratta di poesia. Non si parla solo di arte, non è solo spettacolo. Non che manchi, nei testi di Morgan, un certo gusto per la letterarietà (con alcuni numi tutelari abbastanza evidenti, tra Baudelaire e Carmelo Bene). C’è tanto Morgan e tanta filosofia, che confermano l’inscindibilità dell’artista dall’uomo. Quando per esempio scrive: «Il mio amore è volontario / è volontà di potenza», non dice solo che egli sceglie di amare, ma che amare è la condizione essenziale per superare il proprio stato di crisi e di dolore (Nietzsche, appunto). Oppure quel «verrà l’estate e avrà il tuo gusto» che fa eco al Pavese di “verrà la notte e avrà i tuoi occhi”. Quante volte si sarà pensato che Morgan non era altro che un personaggio, un animale buono per i riflettori. Ma non è così, lo conferma anche sua sorella, che a volte gli ha consigliato di prendersi una pausa dal mondo cannibale dello spettacolo.
Questo libro, quindi, non si limita a essere una raccolta di versi, un esperimento visivamente intricato, un racconto personale con commenti a piè di pagina di un altro esperto della parola, ma anche una prova (certo non dovuta) dell’autenticità di un istrione italiano, in grado di soffrire e darsi con gratuità fino a pagarne su se stesso il prezzo. Torniamo, prima di lasciarci, alla ferita dell’abbandono. Ferita insanabile che ti fa desiderare il contatto, la verità di un rapporto concreto. «Vorrei incontrarti / dal vivo / guardarti negli occhi / sentire le mani / annusare i capelli» e così via. Siamo lontani da una pretesa poetica contemporanea, che agisce sulla scorta dei grandi ormai classici ma guardando a come si faccia o meno poesia oggi. Siamo fermi a una concezione più diretta, meno ragionata, dove la forma è una memoria delle letture più amate e che oggi hanno perso, apparentemente, il loro carattere sorprendente e originale. Ma fa nulla, perché Marco Castoldi riesce a porre l’accento su qualcosa di importante come l’amore che si ricomincia a cercare nonostante il dolore dovuto all’abbandono, al ghosting. Avrebbe potuto testimoniare ben altro, un disincanto di maniera che oggi va sempre più di moda (che ce ne facciamo del vecchio e bigotto amore?). Invece ha preferito essere trasparente e umano, scegliendo, nonostante la sofferenza, ancora una volta l’amore. Tutto ciò che a un poeta dovrebbe essere richiesto.