Se non ci fosse questa nefasta corsa al profitto monetario, che fa da supremo alibi alla aggressività dei media che dipingono la realtà con parole, toni e spirito della violenza si potrebbe vedere molto chiaramente quello che è l’aspetto positivo di un dibattito che ha come protagonisti canzoni, accordi e musica, portato in televisione dal sottoscritto. Si vedrebbe quel che per adesso vedo forse solo io ma piano piano le nubi si apriranno, ossia che se tutti sapessero scrivere canzoni migliorerebbe la qualità della vita. Nessuno ha detto che nella canzone Bellissima ci siano degli accordi di “Do maggiore”. Io ho chiesto ad Ambra una definizione di “Do maggiore”. Mi pare molto diverso. Anche perché l’armonia è una disciplina molto precisa, paragonabile alla statica, ingegneria che serve per costruire i ponti, fatta di calcoli ed equilibri millimetrici, non è un campo dove reggono i “secondo me”, quindi parlarne così è vaneggiare. Il vero problema della canzone come forma della musica è che non è stata mai presa sul serio dagli accademici nonostante sia in assoluto la forma musicale più diffusa nel mondo, sia geograficamente che culturalmente, e di conseguenza non è protetta e formalizzata ma nelle grinfie del mercato che la brutalizza e ne fa un uso becero. Quello di cui sto parlando è un tema molto serio dal punto di vista musicale, direi che è la questione più urgente, la ferita aperta della musica. Va assolutamente dibattuta. E sono abbastanza soddisfatto di essere riuscito a sollevare un tema che parli di musica in un programma dove era da un bel po’ che non lo si faceva. Finalmente siamo tornati a parlare di musica in televisione. Aldilà del giudizio di Francesca Michielin, quello di cui bisognerebbe rallegrarsi è che finalmente siamo tornati a parlare di musica addirittura in un club chiassoso e buio.
E torno a rivolgermi al dottor Davide Simonetta (autore del brano Bellissima di Annalisa). Ma per caso quando dice “mai un successo” si riferisce a me? Se è così lei è mal informato e rischia di sembrare offensivo verso un musicista che il successo lo ottiene in maniera solida e senza neanche mettere in vetrina i prodotti, e questo perché punta alla qualità artistica dimostrando da oltre trent’anni che il successo quello vero, non quello effimero e passeggero, ma quello reale, si ottiene con la passione, lo studio, la libertà creativa, il coraggio e la ricerca della bellezza, non con l’obiettivo del profitto. Un successo che dura da trent’anni. Le garantisco che nel campo musicale ho parecchie medaglie che mi consentono di rimproverarla e richiamarla al rispetto dei meriti artistici e culturali di chi le sta parlando. Lei ha una concezione del successo che è diseducativa e dannosa socialmente, oltre che improduttiva e fallimentare umanamente. Antropologicamente. Le spiego perché la sua impostazione è una minaccia per l’evoluzione della specie. Il concetto di successo è molto importante perché è strettamente connesso alla motivazione dell’esistere stesso, è una condizione che gli individui perseguono identificandolo con il senso della vita, ed è a disposizione di tutti, infatti l’umanità intera che popola il pianeta terra e che attualmente conta qualche miliardo di persone si può dividere in due grandi macrocategorie: chi ha successo e chi non ne ha. Chi non ha successo è spesso sfortunato, tra l’altro, e non privo di capacità. O è stato ostacolato. Chi sono le persone di successo? Quelli che realizzano i loro progetti e li portano a termine, ad esempio le coppie che diventano famiglie e riescono a stare unite felicemente fino alla fine dei loro giorni sono persone di successo, le persone che studiano e superano a pieni voti un esame sono persone che hanno successo, quelli che promettono e mantengono una promessa sono persone che hanno successo. Tutti gli esseri umani che dichiarano “ti amo” a qualcuno e in cambio si sentono rispondere “anch’io”, queste sono di successo.
Il successo è questo, non è appartenere ad una gang che controlla illecitamente un territorio e ha la meglio su un’altra gang. Quello non è il successo, quella è la prepotenza, non c’entra nulla con il successo. Il successo è un concetto che si esprime alla luce del sole, che si rivela, che si mostra negli occhi felici di un essere umano che ha un volto soddisfatto e si sente appagato e gratificato nel suo impegno. Dicendo a me che io non ho successo, quando non è affatto vero, lei non solo offende me ma l’intero genere umano perché sta dicendo: a me non frega altro che del mio conto corrente e tutti gli altri non sono nulla, io sono un figo e tu uno sfigato. Mi costringe a ricordarle che il successo io non solo lo ottengo con grande impegno e dedizione ma che lo dispongo anche per altri. Molti hanno avuto successo perché è stato consegnato loro dalle mie mani, come i vincitori dei talent che ho preparato e per i quali adesso lei compila i bollettini della Siae e guadagna i suoi danari. Sappia che deve ringraziare loro che a loro volta devono ringraziare me, che a mia volta devo ringraziare altri per il mio successo. Invece di offendermi mi dica grazie come io lo dico a chi mi ha reso ciò che sono, i miei maestri, i miei genitori, i miei eroi, i miei poeti, i miei cantautori. Infatti nel Guinness dei primati come talent scout ci sono io e non lei. Non è un successo? E sarebbe forse un fallimento essere il numero uno al mondo in una professionalità? Roba da matti. Le aggiungo solo un’altra cosa non elenco altro: che come autore di canzoni io sono autore unico di musica e testo e arrangiamento e produzione di un brano che è indicato come la più bella canzone italiana del nuovo millennio (stabilito dalla rivista Rolling Stone) e che si intitola “Altrove”, con la quale non credo si possano fare paragoni con tante canzonette usa e getta. O anche questo lo considera un flop? Certo a me parlare di hit fa rabbrividire perché ho un rispetto tale della musica da provare pudore a dire questo di un mio brano. Al massimo lo dico di Shout dei Tears for Fears o di Imagine di John Lennon. E se proprio vogliamo dirlo esistono già “sei bellissima” e pure “beautiful”, e non sono sue, quindi se lei è così tanto in gamba come autore poteva almeno sforzare le meningi per dare un titolo più fantasioso. Perché essere artisti vuol dire avere fantasia, non vuol dire avere più soldi di un altro.