Di certo c’è questo: a breve partirà la “prima piattaforma digitale italiana della cultura”, voluta e delineata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, nell’ambito delle misure rientranti nel Dl Rilancio. Nel farlo, il Mibact ha coinvolto al 51% Cassa Depositi e Prestiti e al 49% Chili, società attiva nel comparto on demand dal 2012. Di meno certo? Praticamente tutto il resto, a partire da data ufficiale di lancio, tipologia e qualità dei contenuti, modalità precisa di trasmissione, linee produttive e concorrenziali, ruolo delle società coinvolte e degli utenti. Non esiste neppure un nome.
Manca, al momento (sulla carta a poche settimane dal lancio) un’idea del piano anche solo vagamente delineabile a mente. Le più recenti uscite del Mibact inquadrano un generico obiettivo di “sostenere il settore delle performing arts particolarmente colpito dalla pandemia”, e parlano di una piattaforma diversa da quelle generaliste perché prevarrà – restiamo ancora nel campo dell’iper-generico – il “settore culturale”:
“Il nuovo progetto si distingue rispetto alle principali piattaforme generaliste che distribuiscono serie tv e contenuti cinematografici per la diffusione di contenuti live e il focus sul settore culturale. Inoltre, con la nuova piattaforma potranno essere venduti i contenuti distribuiti online generando un beneficio economico diretto per le attività culturali”, si legge nella nota del Ministero.
Mentre l’affidamento su Chili viene motivato sempre dal Mibact “nella sua esperienza internazionale di settore, l’innovativa infrastruttura tecnologica utilizzata e il know-how strategico-commerciale utile all’espansione della piattaforma”. Chili, va specificato, è una compagnia nata nel 2012 da Giorgio Tacchia e Stefano Parisi. Attiva nei servizi tv on demand, ha accumulato negli anni 4 milioni di utenti iscritti con Chili TV e anche svariati milioni di euro di perdita. Si differenzia da Netflix et similia perché non esiste un vero e proprio abbonamento mensile, ma gli utenti pagano solo per i contenuti che scelgono di vedere.
Gli investimenti economici sembrano però importanti: per ora 10 milioni di euro da Cassa Depositi e Prestiti e 9 milioni da Chili, mentre resta porta spalancata – evidenziano dal Mibact – “alla futura collaborazione della Rai e di altre istituzioni e soggetti del settore culturale, pubblici o privati”.
Tante incertezze, dubbi e ancora una volta – l’ennesima – un piano destinato a un’utenza messa totalmente in secondo piano nell’intero processo di ideazione, realizzazione, partecipazione, stavolta persino comunicazione. In attesa di attendere al buio cosa accadrà, come nota la storica dell’arte Giulia Silvia Ghia sull’Huffington Post il primo grande errore nell’intera vicenda è da individuare nel “dare la notizia senza mostrare una visione, un modello di business, un’idea, i prodotti e servizi che s’intenderanno offrire, il payment model e le partnership con chi produce cultura, ovvero musei, teatri, biblioteche, concerti, opera, danza, cinema…”.