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I migliori film persi nel 2020
ma che (forse) vedremo nel 2021

  • di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

8 gennaio 2021

I migliori film persi nel 2020 ma che (forse) vedremo nel 2021
Le sale cinematografiche chiuse sono un dramma culturale ed economico difficilmente colmabile. E allora non resta che sperare in una riapertura veloce, costruttiva e, soprattutto, logica

di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

Il 2020 sarebbe stato un grande anno dal punto di vista cinematografico. Ed è inutile nasconderlo, far uscire un film con uno (o due?) anni di ritardo crea un buco pazzesco dal punto di vista culturale, e diventa praticamente insanabile dal punto di vista economico. Le sale, che siano i grandi multiplex o i cinema di quartiere, vivono e sopravvivono grazie alla programmazione, ai titoli forti, al richiamo che ha il cinecomic di turno pronto per essere distribuito, infarcendolo di pop-corn caldo e Coca-Cola ghiacciata. E come per altri settori, l'anno terribile appena concluso ha conseguentemente riscritto anche le regole di distribuzione, con le piattaforme che – piaccia o no – sono e saranno protagoniste, in un processo distributivo già ampiamente studiato prima che la pandemia l'abbia solamente e inevitabilmente accelerato.

E il grande schermo? Di certo non morirà, però immaginiamo possa diventare un divertissement per pochi, forse addirittura elitario. Così, mentre le sale sono desolatamente chiuse e si azzarda un'astrusa riapertura d'emblée in una fantomatica zona bianca (in breve: un cinema, dovrebbero sapere al governo, non è come un bar, e la porta aperta a Campobasso ma chiusa a Milano non permette ai distributori di pianificare nessuna uscita di livello), torniamo solo per un attimo nel 2020, per capire quali grandi pellicole ci siamo persi, e soprattutto quali vedremo sul grande schermo nel 2021. Perché una cosa è certa: alcuni titoli non possono e non potranno mai prescindere dalla magia che solo una sala buia può creare.

E partiamo da uno dei casi più eclatanti: Freaks Out di Gabriele Mainetti (immagine in copertina), che sarebbe dovuto uscire finalmente lo scorso novembre. Un caso nel caso, potremmo dire. Annunciato, rimandato, di nuovo annunciato. Ancora rimandato e rimodulato, il montaggio da finire e il budget da rivedere. È innegabile che il film sia, ormai da anni, un oggetto bramato da pubblico e critica, in trepidazione per l'opera seconda dell'autore romano, di cui abbiamo amato l'estro e l'innovazione del suo primo film, Lo Chiamavano Jeeg Robot. Questa volta, per Mainetti, l'ambizione è ancora più alta: prendere a calci nel sedere i nazisti, nella Roma occupata del 1943. E attenzione al cast: Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta, Franz Rogowski e l'enfant prodige Pietro Castellitto.

Dall'Italia alla Francia con Il Discorso Perfetto (Le Discours) di Laurent Tirard. Thierry Frémaux l'aveva selezionato per la Sélection Officielle di un Festival di Cannes mai tenutosi, per poi arrivare in Italia e in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Secondo calendario, l'avremmo dovuto vedere al cinema a Natale, distribuito da I Wonder. Peccato che poche settimane prima c'è stata la barricata e abbiamo perso una delle migliori commedie del 2020. Protagonista Benjamin Lavernhe, nei panni di Adrien, che freme nell'attesa di ricevere un sms dalla sua ex ragazza. Il tutto mentre escogita una scusa (più o meno) plausibile per non tenere il discorso durante il matrimonio di sua sorella. Esilarante, potete giurarci.

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Daniel Craig e Ana De Armas in "James Bond"

“Mi chiamo Bond, James Bond”. Ovviamente non ha bisogno di presentazioni, ma il rammarico di non aver ancora visto il nuovo film di 007 è enorme. Diventando insopportabile se pensiamo che nel cast c'è anche Ana De Armas, già una delle migliori Bond Girl della storia. E abbiamo tremato quando è avanzata l'ipotesi di un’uscita digital, con la Sony che ha poi prontamente promesso che No Time To Die è solo per il grande schermo e, a meno di apocalissi, lo vedremo prima al cinema. E meno male, diciamo noi, perché l'ultima avventura di Daniel Craing nello smoking di Bond non potrebbe avere un'altra dimensione se non quella che più le si addice: la sala.

Aprite l'agenda e cerchiate in rosso la data: 21 dicembre 2021. Un anno dopo, uscirà in sala il West Side Story di Steve Spielberg. E non vediamo l'ora. Perché, noi giornalisti, non appena abbiamo capito la gravità della situazione nell'aprile scorso, siamo subito andati con la mente alla stagione cinematografica invernale: sarebbe mai stata possibile una normalità a dicembre? E infatti. Così, la certezza si è pian piano sgretolata, e quello che si preannunciava come il film più forte dell'anno è stato prontamente rimandato di dodici mesi.

Sì, i reboot, i sequel, i remake e via discorrendo con Hollywood che non ha più idee originali. Come si dice, è tutto vero ed è tutto falso. Però, quando il reboot in questione arriva da un cult degli Anni Ottanta, diretto da un certo David Lynch, la questione cambia. Di molto. Così, Dune di Denis Villeneuve (chi scrive lo reputa uno tra i miglior cinque registi contemporanei), oltre essere lo sci-fi più atteso del 2021, è anche tra i titoli che ufficialmente avranno la release congiunta. Per l'appunto, la pellicola con Timothée Chalamet e Zendaya uscirà negli States il 1° ottobre 2021 e, contemporaneamente, sarà rilasciata in streaming su HBO Max. Scelta, questa, che ha fatto discutere e non poco. Eppure, come detto, il futuro (già arrivato) del cinema può avere una doppia strada che, se coesa ed equilibrata, può salvare la Settima Arte dopo uno schifoso 2020.

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