È un comico. No, di più: è un attore. Però è anche uno scrittore (lo scritore…). Guru? Neanche per sogno. Chissà cos’è, Natalino Balasso. Forse è un mite e affabile 62enne con lo spirito di un colto e ironico ventenne, che sgargarozza birrette, ginseng e caffè tutte insieme davanti al taccuino, in due ore di intervista-fiume sull’universo-mondo da cui esce quella che, con mille forse, e con una punta di presunzione, lo scrivente potrebbe definire la sua anima nascosta: la riflessività del pedagogo, il seminatore di dubbi che dà risposte per suscitare domande, ovvero l’esatto contrario del maestrino. Alle battute finali del tour del suo “Dizionario Balasso” nei teatri d’Italia, il Balasso celebre per tanti spettacoli, innumerevoli personaggi sul palco e in televisione, per i “Discorsi di Capodanno” su Youtube e per i più recenti contro-film di Natale, si fa rosolare a fuoco lento in un gioco che ricalca il vocabolario usato in scena per dar sfogo alla sua passione del paradosso. Ne è venuto fuori un dizionarietto improvvisato che rendiamo al lettore per come deve essere: lettera per lettera, in ordine alfabetico.
A come Armi (anche se, con una certa sorpresa, nei dialoghi aperti con il pubblico la parola che viene più richiesta è, vedi tu, amore). Nel 1983 mi sono consegnato al carcere di Forte Boccea come “mancante alla chiamata” alla leva. A quei tempi il 90% delle domande di svolgere il servizio civile veniva bocciato. Volevo che sapessero la motivazione: rifiutavo il servizio militare. Non esistono le armi perché ci sono le guerre, le guerre ci sono perché esistono le armi. Come diceva Hitchcock, quando vedi comparire una pistola, sta’ sicuro che prima o poi quella pistola spara. Il “nemico” è un’allucinazione: se tu lo conoscessi, il tuo nemico, non gli spareresti. C’è un bel racconto di Andrea Zanzotto citato da Marco Paolini in cui dei soldati italiani nella guerra di Russia vengono accolti in una casa, e si ritrovano a mangiare assieme a soldati russi. “In quel momento non eravamo nemici”. Utopia, la mia? Sì. Bisogna smettere di dirsi che non si può fare, sono tutti freni inibitori di una società di vecchi che vorrebbero che la società restasse come l’hanno vissuta loro, un mondo brutto che scarica astio verso una Greta Thunberg perché non sa più cos’è il sogno, il sogno utopistico certo. Piuttosto dell’inerzia dello status quo…
B come Biden. È un tag. Un’etichetta. Partito Democratico o Partito Repubblicano, rossi o blu, l’asino o l’elefante? Cosa c’è dentro? Nulla. In “Canzonenoznac” Roberto Vecchioni, che io considero un grande poeta, racconta di questa gente obbligata a essere felice rispetto alla quale due leader si presentano invitando a non credere alla menzogna e lottano fra di loro. Uno ha la barba, un altro una cicatrice sotto il mento. Alla fine si scopre che il primo, togliendosi la barba, ha anche lui una cicatrice sotto il mento. Il populismo di Trump, cavallo pazzo che non c’entrava niente con i Repubblicani, come Berlusconi non c’entrava niente con la destra, è una necessità quando il popolo si accorge che l’ipocrisia ha superato una soglia intollerabile. La gente di norma ama la messinscena, ma quando questa eccede il rito, ecco la reazione popolare. Lo abbiamo visto tanti anni fa con la prima Lega, e poi, anche se un po’ meno, con il Movimento 5 Stelle.
C come comicità. Come insegnavano Freud e Bergson, ridere è reagire a una compressione. Oggi che siamo anche noi emotivamente in guerra, data l’empatia dovuta alla maggiore connessione globale, il riso è uno sberleffo contro chi prende tremendamente sul serio la vita. Chi sa ridere non compie soprusi, non si dà alla sopraffazione. I comici sono dei terroristi, perché sono legati all’infanzia, al gioco e al sogno. Chi gioca in Borsa, invece, a volte finisce per suicidarsi. Son convinto che il cacciatore spara agli uccelli perché li invidia: loro possono volare, lui no.
D come democrazia. Governo del popolo, dice l’etimologia. Ma cos’era il demos, per i Greci? Le famiglie privilegiate. Quelli che potevano permettersi di fare politica. Oggi se non hai soldi è difficile che ti metti in politica. La grandezza di Beppe Grillo, che io difendo, è stata di dare accesso a chi non poteva permetterselo, agli invisibili. Poi si è perso come tutti coloro che finiscono nella macina della politica istituzionale. I problemi del M5S sono cominciati quando sono diventati un partito, quando sono diventati anche loro il potere.
E come egoismo. Io difendo l’egoismo, il sano egoismo che non è prevaricazione. Devi prima pensare a salvare te stesso, se vuoi salvare gli altri. Troppa gente si dedica agli altri dimenticando se stessa. Se non sei in grado di cambiare in meglio te stesso, come puoi pretendere di farlo fare agli altri? Quando sento Giuseppe Cruciani che, dopo l’uscita di Draghi sui condizionatori, dice che metterà il suo a palla, penso che è un cretino. Un grado in meno aiuta tutti, a cominciare da me. E non lo dico ora, lo dico e lo faccio da sempre. Ma siccome noi siamo i leccaculo degli Usa, dove sono abituati a tenere il riscaldamento dai 5 ai 15 gradi in più del normale…
F come felicità (gli veniva figa, ma si è convenuti che alla fine sia un po’ la stessa cosa…). La definizione che fornisco nel Dizionario Balasso è: “momentaneo stato confusionale dettato dal non avere la minima idea di quello che sta accadendo”. In un altro passaggio immagino un’isola dove non c’è intelligenza perché non afflitta da nessun problema. Riguardo essere felici, diciamo che se sei un po’ mona, aiuta.
G come guerra. Può far emergere anche i lati migliori del carattere umano, come il coraggio? Non sono d’accordo. Semmai, una forma d’incoscienza. Aiuta lo sviluppo tecnologico? Ma le invenzioni non vengono spinte dalla guerra, ma dagli schei. Il problema è che non sappiamo vivere una cultura di pace. Gli scimpanzé, litigiosissimi, non si uccidono perché non sanno come si fa. Certo, gli animali uccidono. Ma è un esempio per dire che quando avanziamo, quando progrediamo, andiamo avanti anche nel nostro lato oscuro. In ogni caso, non sopporto chi “tifa” guerra.
H come Hitler. Nostradamus, con quella grande fetecchia che sono le sue “previsioni”, cita uno di famiglia turca (!) di nome Ilter. “Ecco, parlava di Hitler”, hanno detto. Non facciamo altro che caricare fatti e personaggi di negatività per toglierla ai nostri. Perché risalta fuori sempre Hitler? Perché la sua è stata la guerra più devastante. Ma abbiamo rimosso le due bombe nucleari sganciate su città inermi, mi pare. Hitler, come Putin, era una carogna. Ma se demonizziamo, vuol dire che vogliamo santificare noi stessi.
I come Italia. Rompo il cazzo a tutti perché ho questa idea negativa delle nazioni, io. Se ragioni in termini di confini già crei competizione, prima di tutto economica. Se sei la quarta o quinta potenza industriale, vuol dire che ce ne sono altri che stanno peggio. L’appartenenza non è un fatto, è un’interpretazione. Se butti un bambino piccolo bianco di Bergamo in mezzo alle scimmie, non saprà di essere un bambino bianco di Bergamo. Dice che è una necessità, l’appartenenza. Allora vediamo come viene costruita. Chi parla tanto, troppo di identità è perché è in crisi d’identità. Come i leghisti. A scuola, anziché insegnare gli inni con quei testi assurdi, o le bandiere che in fondo sono solo dei colori, dovrebbero insegnare il senso critico.
L come libro. Sopravvalutato. Uno sul telefonino magari legge “Guerra e pace”, mentre l’altro sta leggendo un libro di ricette di Suor Germana. Una volta ero a una convention della Mondadori, che aveva pubblicato uno mio, e c’era Ken Follett, quel matto che suonava la chitarra elettrica, e dietro di lui la scritta in grande “10 milioni”. Di copie. Pensavo: stanno applaudendo lui, o il numero che c’è alle sue spalle? Oggi è importante leggere libri, o vendere libri?
M come morte. “La pallida morte/ di torri e capanne bussa alle porte”, cantava Giorgio Gaber citando un poeta latino. Anticipo qualcosa dal mio prossimo contro-film di Natale: ci sarà questo patto con il diavolo, ma riprendendo il Faust di Christopher Marlowe, che è sapiente e studia la negromanzia ma non per l’immortalità fisica, ma per la fama. Vuol essere famoso, non morire dimenticato. Il diavolo è oggi è la Endemol, sono quei contest che sono scorciatoie anche per chi non sa fare un cazzo. La reputazione oggi è il valore più importante. Misurato in denaro. Oggigiorno qualsiasi coglione gode di ottima reputazione purchè sia ricco e famoso. Mi si scuserà se insisto, ma dovrebbe essere la scuola a insegnare a separare l’emotività dalla razionalità, per distinguere ciò di cui, come diceva Epitteto, sei padrone, e ciò di cui non puoi esserlo, come la morte e come la reputazione. L’aspetto emozionale lasciamolo alla Chiesa, che è più ferrata in materia.
N come nessuno. Ulisse, Oudisseus, udeis: nessuno. Lui è non è più famoso perché non appartiene più al suo nome. Quando guardo Instagram vedo milioni di persone che hanno fame di essere nessuno. Senza una tua immagine, non sei nessuno. Bisogna avere il coraggio di essere nessuno: Carmen Consoli, già famosa, a un certo punto prende e va in furgone in Germania dove non la conoscono, per vivere una realtà dove non era nessuno. Così si recupera la grinta.
O come Occidente. La terra è tonda, i punti cardinali sono una nostra percezione. Le altre civiltà replicano il nostro modello, basato sulla crescita. Ma in natura la crescita infinita del commercio non esiste. È un modello fasullo, impossibile. Il mercato è diventato letteralmente una religione, che crea poveri odiati. Il razzismo cos’è, in fondo? Odiare i poveri. Un nero ricco non me lo immagino tanto odiato. Dicono che però da noi c’è la democrazia? Ma su, in Inghilterra hanno ancora la regina!
P come Putin (o come paradosso). Putin è un paradosso. Il paradosso è il nutrimento del comico. Significa andare “fuori regola”, visione capovolta. Non ha niente a che vedere con la comicità da bar. Quella paradossale ti fa dire “non ci avevo mai pensato”.
Q come quattrini. Sono una metafora: corrispondono a ciò che desidero. Nel mio caso, ho creato il “Circolo Balasso”, cosa che mi ha procurato l’accusa di essere un “mercante”, invece l’ho fatto per poter permettermi la libertà: ogni quattrino viene reinvestito in strumentazione, in collaboratori. I soldi per me li prendo dai miei lavori, dal teatro… La libertà costa, il lavoro va pagato. Quando al Senato americano hanno chiesto a Zuckerberg come fa a fare tutti quei soldi, ha risposto: “con la pubblicità”. La pubblicità ti obbliga a passare del tempo guardando cose che non ti interessano. C’è tortura peggiore? Per quello ho abbandonato Youtube. Concordo con Bill Hicks: quando gli proposero di girare uno spot sull’aranciata, lui rifiutò. Non poteva fare il contrario di quel che diceva. L’unico modo oggi per sostenere attività come le mie è la questua. Ho rifiutato parti nei cinepanettoni, perché ho il potere datomi dalla gente che mi paga direttamente.
R come religione. La religione di oggi è il commercio. Le banche, Amazon, le coop sono collettori da cui non puoi uscire. Lo Stato ti chiede le tasse per finanziare le armi: io le pago, ma perché mi sento ospite di questo Stato, e all’ospite tu devi qualcosa in cambio. Non c’è un modo politico per reagire. Inoltre, i soldi oggi si fanno dai soldi, non più dal lavoro. Per questo, secondo me, la finanza è un’aberrazione sociale.
S come social. Mi fa ridere chi lo pronuncia all’inglese, “soscial”. All’italiana è meglio, perché rende il concetto di socialità. Ho un atteggiamento laico: li uso, ci scrivo, ma non li leggo. Priva della fisicità? Sì, sono eterei, e se vedo una ragazzina tutta truccata e agghindata mi verrebbe da dirle: ma non è meglio la tua faccia così com’è, perché è la tua? Tuttavia, ripeto, è a scuola che dovrebbero rendere la fisicità accattivante. Anche noi da adolescenti amavamo metterci in mostra. Perché facciamo meno sesso? Eppure è la cosa più social che esista.
T come teatro. Teatro è un luogo, anzitutto. Come il cabaret, come il circo. È in crisi per internet, per le serie tv, perché ti vedi il cinema sul telefonino. Non mi stancherò mai di ripetere quanto asino sia il ministro della cultura Franceschini, con quella sua idea del teatro in streaming. Il teatro è fisico, è materico. Perciò è sbagliato non far pubblicità agli spettacolo teatrali con i manifesti, puntando tutto su internet. Stiamo dimenticando cos’è il piacere.
U come Ucraina. Non posso rispondere nel merito, ho già detto come la penso sulle nazioni. Se il Veneto si staccasse dall’Italia, cosa farebbe l’Italia? Userebbe la forza. ma sei tu, Veneto, che mi ci costringi. Però non è una forma di libertà anche questa? Diciamo che l’aggressione di Putin è un sopruso secondo le regole internazionali. Ma sono gli schei a controllare le regole internazionali.
V come volgarità. Viene da vulgus, il popolo come lo consideravano i patrizi, gli snob. Cafone era chi lavorava la terra, trivio per chi abitava in case popolari… Razzismo lessicale. Ha a che fare con la corporeità, il sesso. Altra cosa è la volgarità come gergo, una forma reattiva, come per i ragazzi che dicono un sacco di parolacce perché hanno detto loro che non bisogna dirle.
Z come Zaia (o come zavorra). Seguo su Instagram una pallavolista turca che mi attira molto, si chiama Zehra Güneş. Fa le smorfie a chi è negli spalti (mima delle facce, ndr), ed è diventata virale per queste stronzate. È veramente “tanta”, molto alta, bravissima. Ecco, meglio parlare di lei che di Luca Zaia. Invece, è interessante l’idea di zavorra. La zavorra è un peso portato apposta. Apposta per liberarsene. Serve per avere il contatto con la terra. I genitori sono la zavorra dei figli: all’inizio sono indispensabili, poi basta, devi farli volare per conto loro. Quando sento uno di cinquant’anni affermare cose tipo “mia mamma è un riferimento per me” lo manderei affanculo (a meno che sua mamma non sia Rita Levi Montalcini). Abbiamo bisogno di qualcosa che ci àncori al suolo. Siamo animali. Animali che se non fanno l’amore, fanno la guerra.