Abbiamo visto tutti le immagini dello spot in cui Tom Hanks entra in uno di quegli studi dentistici pret-a-porter che ultimamente sono spuntati un po’ ovunque anche nelle città italiane, dicendo che lui si è rifatto fare la dentatura a un prezzo spaventosamente basso proprio lì. Ci siamo chiesti perché mai Tom Hanks dovesse ricorrere a quel tipo di situazione, giusto un attimo prima di vedere John Travolta correre con Diletta Leotta con indosso le note scarpe da atletica e non farci più domande. Scherzo, abbiamo visto tutti quelli immagini proprio perché le hanno riportate un po’ tutti, esempio iconico di come l’AI possa generare immagini farlocche, tecnicamente si parla di deepfake, continuando a ritenere Tom Hanks un ottimo attore che se vuole si compra uno studio dentistico di primo livello e si fa lavare i denti dal capobanda in persona. E abbiamo visto tutti il faccione di Fazio Fabio che sulle storie di Instagram specifica come quello che compare un po’ ovunque invitando i propri fan a investire in certi siti di investimenti in realtà non è lui, ma una sua versione virtuale generata da dei truffatori. In questo caso non ci siamo detti niente riguardo Fazio Fabio, ha fatto già tutto lui negli anni. Ora, sono partito forzando la mano alla realtà, esattamente come l’AI. Non ho mistificato i fatti usando la faccia di qualcuno che non mi aveva concesso il diritto di farlo, ho usato voi per dare per scontato qualcosa che forse scontato non era. Ho detto, infatti, “abbiamo visto tutti”, relativamente a due fatti, Tom Hanks testimonial involontario e coatto di una catena di studi dentistici, Fazio Fabio testimonial di una serie di discutibili finanziarie, includendo voi in qualcosa che magari non avete visto affatto. Solo che partire dicendo “Forse qualcuno di voi avrà visto”, come sarebbe stato più corretto fare, avrebbe reso la partenza decisamente meno pimpante. Quindi ho agito da narratore, e ho arbitrariamente deciso che tutti avevamo, anzi, avevate, io ovviamente ho visto entrambi i video, altrimenti come avrei mai potuto scriverne, visto quei video, forzando la mano la realtà, ma in maniera non esattamente violenta, quindi percepibile chiaramente dall’esterno. Si usa, infatti, la prima persona plurale, a volte, per rafforzare certi ragionamenti, includendo i nostri interlocutori in un discorso che in realtà siamo noi a voler portare avanti. È un trucco retorico anche piuttosto elementare, una immagine ritoccata con Photoshop, quindi. Anche usare il voi per rivolgermi al lettore, dando quindi l’impressione di sapere per certo che di lettori ce ne saranno parecchi, e anche parecchi in contemporanea, pur nella consapevolezza che queste parole verranno lette singolarmente, magari neanche da così tante persone, è un trucchetto retorico, atto più che a alimentare il mio narcisismo e il mio ego a darvi l’impressione di essere di fronte a una voce autorevole, che quando scrive lo fa per un uditorio folto, pur nella certezza che la qualità è sempre superiore alla quantità, in termini di valore. La scrittura è in sostanza da sempre intenta a mistificare la realtà, il fatto stesso che ci sia qualcuno che si prende la briga di raccontare qualcosa dal proprio punto di vista, magari usando una terza persona per rendere il tutto in apparenza più neutro, figuriamoci se l’esatta sequenza dei fatti raccontati, le parole scelte per farlo, le suggestioni create intorno alla trama, e cito solo tratti essenziali, non stanno lì appunto per fortificare un punto di vista soggettivo, quello dell’autore, autore che può essere presente anche nella trama stessa, se la narrazione è in prima persona e gioca sulla metanarrativa, può essere la voce narrante, ne può usare una terza, può lasciare che la voce narrante sia quella del protagonista, che neanche ci sia, esplicitata, potevamo stupirvi con effetti speciali, ma siamo letteratura, non fantascienza, giocando con un noto slogan pubblicitario.
Certo, se io scrivessi un articolo nel quale racconto che Tom Hanks è solito ricorrere alle cure di una determinata catena di studi dentistici, citando delle fonti, false come la notizia stessa, starei giocando sporco, e, fossi un giornalista rischierei la radiazione dall’ordine, non essendo giornalista rischierei comunque una querela e richiesta danni, perché mistificare la realtà non è possibile in certi ambiti. Potrei forse farlo, trovando i giusti accorgimenti, dentro un romanzo, specificando come i fatti e i personaggi contenuti nel libro sono frutto della fantasia dell’autore, ci sono formule a prova di avvocato a uso e consumo degli editori, ma anche lì rischierei qualcosa, perché non tutti sono così felici di finire dentro storie che non hanno realmente vissute. Come dire, l’arte è arte, quindi in quell’ambito è possibile giocare con una libertà che in altri campi della comunicazione non sono permessi. Virgola, aggiungerebbe un appartenente alla Gen Z per specificare come quest’ultima affermazione sia vera fino a un certo punto, e mi sembra evidente come la realtà e la veridicità sia tema centrale di questo mio scritto. Virgola perché abbiamo letto tutti, di nuovo un noi forzato, di come l’artista misterioso che si cela dietro il nome d’arte di Ghostwriter, si dice un pluripremiato ai Grammy Awards, abbia pubblicato il singolo Heart on my Sleeve, cantato da Drake in buona compagnia di The Weeknd, singolone con la chiara matrice compositiva e interpretativa dei due giganti dell’urban, le loro voci per la prima volta sulla stessa traccia, salvo poi dover dichiarare che era tutto “finto”, sempre che si possa definire finto qualcosa che in effetti c’è, era stato lui, Ghostwriter, vai a sapere chi è?, a scrivere la canzone aiutato dall’AI, lì a simulare i modelli compositivi dei due artisti e poi lui, Ghostwriter, vai a sapere chi è?, a cantarli, usando l’AI per modificare la propria voce facendola diventare quella di Drake e The Weeknd. Abbiamo letto tutti la notizia, che ha fatto effetto per due motivi, primo perché apriva un varco su delle possibilità sulla carta sia entusiasmanti, quante cose che ci siamo persi nel tempo, brani lasciati non finiti, brani mai scritti o mai interpretati da tale artista o tal’altro, potranno vedere la luce, e terrificanti, perché niente potrà più essere visto, letto o sentito come del tutto vero, Now and Then dei Beatles, lì come promemoria, secondo perché il brano è stato fatto sparire dalle piattaforme di streaming in un nanosecondo, tutelando, dicevano, il diritto d’autore dei due artisti, Spotify che tutela due artisti, roba da spanciarsi dalle risate, e al medesimo brano è stata tolta la possibilità di concorrere ai Grammy Awards, considerato inattendibile proprio per la presenza dell’AI, il che apre a sua volta altri varchi, si può usare l’autotune, un filtro atto a intonare la voce, ma non si può usare un filtro che la voce la modifica facendola suonare identica a quella di qualcun altro, si possono usare app e plug-in che usano suoni posticci, eseguiti da macchine o presi da musicisti veri non presenti su una determinata traccia, ma non si può permettere a algoritmi di scrivere o modificare canzoni, qualcuno faccia chiarezza. Mettiamola così, anche l’arte ha dei problemi a confrontarsi con la mistificazione della realtà, così, di primo acchito, il che non significa che ciò non venga costantemente fatto e che venga fatto passare per buono, ma di fondo ci sono problemi irrisolti e, in quanto irrisolti, da risolvere. Veniamo a noi.
Sta facendo piuttosto discutere, in rete, sui social, nei luoghi quindi dove ultimamente si discute molto, la notizia che a giugno uscirà il remake de Il corvo, film mitico del 1994, regista Alex Proyas, tratto dal fumetto di James O’Barr, che aveva per protagonista Brandon Lee, figlio di Bruce, morto in maniera tragica e violenta durante le riprese del film. Un film di culto, tanto di culto da prevedere un remake per il trentennale, anche e soprattutto per le vicende di Brandon Lee, sovrapposte in maniera quasi didascalica a quelle del protagonistam Eric Draven, di questa opera cupa e notturna, la frase “non può piovere per sempre”, mentre intorno tutto era pioggia e buio. Per la regia di Rubert Sanders, già dietro la macchina per Biancaneve e il cacciatore e Ghost in the Shell, stavolta a vestire i panni neri di Eric Draven sarà Bill Skarsgård, mentre la sua fidanzata, Shelly Webster, mai amore sarà più tormentato, uccisi in maniera brutale da un gruppo di criminali, sarà interpretata dalla cantautrice FKA twigs. Fino qui, per dirla col protagonista di un altro film di quel periodo, L’odio di Matthieu Kassovitz, tutto bene, solo che un film di culto è un film di culto, l’idea che qualcuno ci rimetta su le mani è sempre e comunque osteggiata. Tanto più con un film come questo, divenuto di culto per la tragica morte di Brandon Lee, personaggio quantomai iconico che ha perso la vita sul set, ucciso da un proiettile che sarebbe dovuto essere a salve. Ricordiamo che ai tempi, uscita la notizia, il film ovviamente non era ancora uscita, suscitò un certo scalpore che la produzione avesse deciso di portare avanti il film utilizzando le immagini già portate a casa e rielaborandole, questo si diceva, con dei computer. Qualcosa di fantascientifico, quindi, era il 1994, che impattava con una morte tragica, roba da antica Grecia, morte tragica che ci privava di un giovane figlio a sua volta di un’altra icona, Bruce, a sua volta morto in situazioni simili. Fare i conti con una storia del genere, diciamolo apertamente, sarebbe dura per chiunque, ma a complicare le cose c’è il fatto che il nuovo protagonista, Skarsgård, a differenza di quanto capitato nei successivi sequel di quel primo leggendario film, dove di volta in volta il Corvo era una nuova reincarnazione, tornato in Terra per vendicarsi, non solo è di nuovo Eric Draven, ma lo con una estetica distante anni luce da quella originale, molto dark. Il nuovo Eric Draven, infatti, figlio dei nostri tempi, ha i capelli col tipico taglio da maranza, il mullet, i tatuaggi in faccia e la tipica estetica di chi segue la trap, qualcosa che ricorda assai più il Joker portato sul grande schermo da Jared Leto che il Corvo originale, apriti cielo. Polemiche su polemiche, e ancora il film neanche è uscito. Ora, torniamo al punto di partenza, e proviamo a azzardare qualche ipotesi. Già nel 1994, a Brandon Lee appena morto, il regista Alex Proyas chiude un film che altrimenti sarebbe rimasto interrotto, usando le macchine. Niente di paragonabile all’AI, chiaramente, ma comunque qualcosa di abbastanza innovativo da aver fatto scuola. Oggi, invece che i computer e le immagini già girate, proprio grazie all’AI si potrebbero girare intere scene, probabilmente un intero film, lo spot di Tom Hanks come quelli di Fazio Fabio stan lì a dimostrarlo. Perché, quindi, il regista e la Eagle Pictures hanno deciso di lasciare tutto quanto riguardava l’originale in un angolo, andando quindi a scontentare tutti per il doppio tradimento? Certo, avessero usato l’AI per riportare in vita Brandon Lee, ovviamente dovendo passare dagli eredi, avrebbero comunque fatto incetta di polemiche, non solo da parte dei fan, immagino, ma un po’ di tutti, perché ancora oggi si continua a guardare alle opportunità che l’AI offre come qualcosa di comunque negativo, senza cogliere tutte le opportunità che queste nuove tecnologie portano con loro. Io, da grande ammiratore di FKA twigs, una che, penso al pari di una Grimes, ha comunque da sempre una estetica molto futuristica e cyborg, aspetto con curiosità di vedere cosa sarà di questo reboot de Il Corvo, così come della colonna sonora, già nel primo film parte importante dell’opera. Nel 1994, infatti, c’erano Nine Inch Nails, The Cure, diciamolo, l’Eric Draven di Brandon Lee era un po’ Trent Reznor un po’ il giovane Robert Smith, Helmet, Rage Against the Machine, Violent Femmes, Henry Rollins Band e Pantera, stavolta, stando agli spoiler e ai trailer, ci saranno sicuramente Ozzy Osbourn e Travis Scott, loro la canzone che si sente sotto le immagini del trailer, e poi chissà quanti altri nomi. Poi, quando ChatGPT sarà disponibile nelle sue versioni più evolute, magari proverò a chiederle di farmi un reboot del film sempre con Brandon Lee, magari invecchiandolo di trent’anni, come non fosse mai morto. La fantasia non dovrebbe mai avere freni, vedi un po’ tu se doveva proprio essere una macchina a liberarci da certe schiavitù.