Chiara Ferragni è andata al cinema a vedere il kolossal cinematografico dedicato alla Barbie e ha ricordato ai suoi milioni di follower di "quando la Mattel ricreò il prodotto a mia somiglianza, con i miei vestiti e il mio pc". Ma l'ex Blonde Salade ha anche affermato che "Barbie da sempre è stata una donna emancipata, che è riuscita a fare tutto quanto". Che non è mica vero, anzi. Infatti Ferragni da Cremona è forse poco informata e si accoda allo storytelling qualunquista, nonché pubblica un'informazione che viene letta da milioni di persone anche se è fake news: Barbie non è sempre stata "emancipata", almeno nei termini con cui si intende nel XXI° secolo, ma anzi il contrario. Dall'anno di nascita 1959 e fino ai primi anni '70, periodo in cui vi furono animate proteste femministe contro la bambola e la sua simbologia, Barbie era infatti un giocattolo totalmente diverso: si cambiava d'abito per mezzo di un nuovo costume ma solo una volta all'anno, aveva pochissimi accessori ed erano solo inerenti alla moda, mentre non utilizzava affatto strumenti di lavoro, nonché era totalmente sfornita di una fuoriserie color rosa o di altri beni, mobili e immobili.
Anche lo slogan del giocattolo originale era diverso: "Borse, cappelli e guanti in abbondanza: tutti i gadget che le ragazze adorano", parole impresse a chiare lettere sulle confezioni nei ruggenti anni del debutto. Il payoff fu sostituito successivamente, con: "immagina di essere una Barbie Girl", termine che è anche il titolo del famoso singolo del 1997 del gruppo danese Aqua. La canzone "Barbie Girl" fu un successo ed è una parodia del mondo consumistico-plasticoso di Barbie, tant'è che i musicisti del duo europeo furono anche querelati (e assolti) per diffamazione dalla Mattel negli Stati Uniti.
Ma quando è arrivata la Barbie "lavoratrice", emancipata e ricca di oggetti, attrezzi da lavoro, computer, automobili, stalloni e case, nonché paladina dell'empowerment femminile a favor di consumismo? Il periodo è tra la seconda metà dei '70 e i primi anni '80: circa 20 anni dopo la nascita della bambola, come testimonia anche il primo spot pubblicitario in TV in cui è espresso a lettere esplicite il nuovo slogan del giocattolo: "We girls can do anything", "Noi ragazze possiamo fare tutto". Si tratta della prima pubblicità che ha diffuso il messaggio con tale stategia di prodotto alle masse di consumatori.
Tom Kalinske, statunitense e classe 1949. Una persona geniale come ne capitano poche in un decennio, nonché un esperto manager che è diventato il responsabile dei più famosi prodotti per giocare e che si è seduto sulla poltrona di amminstratore delegato di imprese dal calibro mondiale: i giocattoli Mattel, i videogames SEGA e anche Matchbox, l'azienda delle macchinine. In quello che una volta si chiamava "il mondo libero", anche noto come "l'Occidente", chiunque è nato tra il 1970 e la fine dei '90 ha utilizzato alcuni dei giocattoli progettati e commercializzati da Tom Kalinske. Barbie, compresa.
L'idea di usare quella frase è del "papà" di molti giocattoli di quel periodo storico. Che cosa hanno infatti in comune la Barbie, le Hotwheels, il mitologico He-man e il suo nemico Skeleton di Masters of the Universe? Sono tutti prodotti dal successo mondiale, che sono nati dalle strategie di un singolo uomo:
Per chi è cresciuto negli anni '80 e nei '90 è l'occasione per conoscere chi è l'ideatore di alcune delle memorabili avventure che hanno vissuto quando erano dei bambini e giocavano con i giocattoli. Infatti il geniale product manager ha iniziato a lavorare in Mattel nel 1972 e l'ha resa la più importante azienda produttrice di giochi dell'intero Pianeta. Tom Kalinske ha creato e/o fatto crescere i personaggi e l'intero universo di: Barbie, Hotwheels e He-Man, solo per citare alcuni dei giochi più noti ai bambini della Penisola. Compresa l'italiana Chiara Ferragni, quella bambina nata nel 1987 nella provincia lombarda e a cui se stessa ha dedicato nel 2023 una lettera, autografa e scritta di proprio pugno, sul palco del Festival di San Remo e in prime time. Ego, una e trina.
Ma perché Tom Kalinske è il papà della Barbie che conosciamo oggi? Come nelle migliori sceneggiature cinematografiche, il motivo è spiegato grazie ad un'occasione, casuale e fatale. Come racconta egli stesso in diverse interviste, tra cui quella in "The Accent Podcast" da cui è tratta la traduzione e in cui spiega come è diventato il giovane product manager di Barbie: "avevo un buon rapporto con i fondatori di Mattel, Ruth (colei che ha inventato Barbie, ndr) e Elliott Handler, ma avevo anche un cubicolo che aveva una posizione interessante: proprio fuori dal bagno delle donne e quindi c'era molto traffico vicino al mio spazio di lavoro. Un giorno Ruth venne nel mio cubicolo e mi disse: "Tom, le vendite di Barbie sono diminuite lo scorso anno e i venditori dicono che è finita per Barbie, gli analisti di Wall Street dicono che è finita per Barbie, i venditori al dettaglio dicono che è finita per Barbie e che dovremmo passare a qualcos'altro. Cosa ne pensi?" E io ho detto: "Ruth è la cosa più stupida che abbia mai sentito: Barbie sarà in giro molto tempo dopo che tu ed io ce ne saremo andati". E lei ha detto che era quello che voleva sentirsi dire: "parlo con Ray - che all'epoca era il mio capo - per metterti su Barbie". Ed è così che sono diventato il direttore marketing e responsabile del prodotto. Prima che Ruth lasciasse il mio cubicolo, le ho chiesto: "a proposito Ruth, cosa rende Barbie così speciale per te?" E lei ha detto: "Tom, con Barbie una ragazza può essere tutto ciò che vuole desidera nella sua immaginazione" e ho pensato che fosse una frase eccezionale: ho usato quelle parole, più o meno identiche, sulle confezioni, negli spot pubblicitari e nelle canzoni su Barbie, per i successivi 15 anni".
"Barbie può essere ciò che ogni ragazza vuole essere" è diventata dunque la strategia di Mattel per il posizionamento del prodotto Barbie. L'idea di Kalinske era di segmentare il mercato: fino ad allora Mattel introduceva una nuova bambola all'anno, con un solo set di accessori e di poche tipologie, così come un nuovo personaggio ogni due o tre anni e un solo costume nuovo per la bambola ogni anno. Ma la fervida mente del giovane product manager era già al lavoro: "Ho pensato che fosse troppo poco, quindi ho segmentato il mercato e introdotto una varietà di bambole Barbie. Abbiamo segmentato per modello di gioco, per età del bambino, per destinatario, per fascia di prezzo. Così abbiamo realizzato "la mia prima Barbie", con la quale è facile giocare anche per bambine molto piccole, poi abbiamo fatto una Barbie economica, "Malibu Barbie", in vendita a 3 dollari e 95 centesimi. Abbiamo fatto anche delle Barbie molto costose, con Oscar de la Renta e prezzi intorno ai 49 e 95, con costumi disegnati che diventavano oggetti da collezione. Abbiamo creato anche ogni tipo di occupazione e di mestiere per Barbie: l'astronauta è di qualche anno prima, ma abbiamo fatto Barbie presidente, Barbie veterinaria, dottoressa, insegnante, avvocato, Barbie in tutti i tipi di mestieri diversi, di cui i primi risalgono agli anni '70 e la maggior parte di loro ha venduto abbastanza bene. Così questa strategia di segmentazione ha dato a Mattel più spazio sugli scaffali dei negozi, per inserire più prodotti e più accessori, molto più spazio di quanto l'azienda avesse avuto per il proprio marchio in precedenza. E ha dato ai negozianti la fiducia e la certezza che avremmo davvero fatto rimanere Barbie un giocattolo per sempre, che ne avremmo fatto un prodotto sempre più importante per Mattel. E ovviamente abbiamo fatto una enorme pubblicità con: "hey ragazza, con Barbie puoi essere tutto ciò che vuoi essere", secondo la strategia che abbiamo usato per 15 anni".
Le vendite di Barbie iniziarono dunque ad aumentare, fino ad arrivare alla cifra di 42 milioni di dollari a 550 milioni. Il successivo product manger di Mattel, Jill Broad, ha fatto crescere i numeri dalla bambola fino a quasi due miliardi di dollari, praticamente utilizzando la stessa strategia ideata da Tom Kalinske: un'idea che ha permesso a Barbie di diventare il "big brand" ricco di accessori, che oggi è al cinema. Anche se, finiti i tempi d'oro del secolo scorso, la famosa bambola di Mattel oggi è un prodotto che "alza" circa un miliardo di dollari. Mica bruscolini.
E Tom Kalinske dopo l'avventura con la Barbie, che fine ha fatto? Il manager ha traslocato le sue competenze altrove, fino all'azienda di software e console di videogiochi Sega, dove ha dato i natali negli anni '90 al velocissimo porcospino blu: il mitologico Sonic. Era il rivoluzionario concorrente, made in Usa, del celebre Mario: l'idraulico italiano, nonché icona del colosso giapponese Nintendo, campione di incassi e di insert coin. Lo scontro è denonimato la "guerra delle console" e si è svolto durante la seconda metà degli anni '90: i nipponici di Nintendo vinsero, Sega America e Sonic furono sconfitti e infatti scomparvero dal mercato. Ma fu una sconfitta con sommo onore. Come racconta in "Console Wars" l'autore Blake Harris, che ha dedicato il volume alla storia underdog che si cela dietro al personaggio di Sonic. Un'altra storia di prodotto e un altro capitolo della vita di Tom Kalinske, l'uomo dietro al successo commerciale del "fempower" di Barbie.