Siete a casa, è sabato mattina, nel weekend non lavorate, quindi in linea teorica vi dovreste star rilassando. Invece avete passato la mattina a fare i mestieri, e avete preso coscienza che così passerete il resto del weekend, troppi arretrati sulla gestione delle faccende, maledetto lavoro che si mangia praticamente ogni minuto del resto della settimana. Avete la tv accesa, nella medesima modalità che un tempo criticavate rispetto ai vostri genitori, seppur questa ultima frase è indubbiamente figlia del politicamente corretto e di una visione del mondo assai più ottimistica della realtà, quasi antipatriarcale, qualcosa che odora di schwa, di Barbie e Ken, ma nella versione delle Gerwig, perché ai tempi dei vostri genitori erano solo le donne a fare i mestieri di casa, le faccende, altro che chiacchiere. Avete comunque la tv accesa, più che altro come sottofondo, quindi con l’audio che vi accompagna mentre vi aggirate per le stanze, quel che succede in video a intercettare il vostro sguardo solo quando passate davanti la televisione, distrattamente. È un po’ quello che i ragazzini fanno con Youtube, del resto, mettono dei video solo per ascoltare gli audio, voi lo fate più che altro per avere una qualche compagnia. A un certo punto sta per partire un servizio da Lucca, introdotto da una delle due conduttrici, Elisa Isoardi, l’altra è Monica Caradonna, l’intro di questo lancio, però, è accompagnato da una canzone, Cola di Lana Del Rey, dall’album Paradise, del 2012. Una parte del testo salta alla vostra attenzione, “My pussy tastes like Pepsi Cola”, e la cosa non può che colpire la vostra attenzione. Per almeno due ottimi motivi. Il primo è che quei versi passino in questo orario sul canale principale del servizio pubblico, Rai1, forse a causa della distrazione di un montatore, o per un gioco di un montatore, che ben sa quale sia il livello di inglese dell’italiano medio, se non della stessa Isoardi, già compagna di Salvini e quindi magari lì a divertirsi alle spalle del governo che ora monopolizza la RAI, vallo a sapere. Il secondo, che già vi aveva assillato a suo tempo, è cosa mai volesse intendere Lana Del Rey con quei versi, posti proprio lì in apertura del pezzo, se cioè fosse qualcosa di vicino alla cronaca, e in caso se avesse fatto un qualche tipo di controllo per risalire all’origine della cosa, o, invece, se non fosse una metafora, e in caso sì che ci sarebbe da essere incuriositi, perché che diamine potrebbe mai voler dire “ho la figa che sa di Pepsi Cola”? E poi, perché la Pepsi e non la Coca-Cola? Questo ovviamente nel caso fosse una metafora, se invece fosse la constatazione di un dato di fatto, beh, Pepsi e Coca-Cola hanno indubbiamente sapori differenti. A tal proposito, ma forse vado fuori tema, in passato, quando ancora ero convinto che nella vita sarei stato uno scrittore e non uno scrittore che pratica anche il mestiere di critico musicale, mi è capitato di frequentare con costanza altri scrittori, tra i quali l’autore spagnolo naturalizzato messicano Paco Ignacio Taibo II, per intendersi quello che ha scritto la famosissima biografia di Che Guevara, Senza perdere la tenerezza, oltre che un altro fottio di libri tra noir e storia rivoluzionaria. Bene, lui era, lo è tuttora, immagino, in grado di riconoscere da che parte del mondo arriva una Coca-Cola, distinguendo quelle prodotte in Spagna da quelle prodotte in un qualche stato degli Usa, giuro, l’ho io stesso messo alla prova. Non oso immaginare cosa avrebbe mai potuto suggerire a Lana Del Rey, anche perché immaginare come avrebbe potuto suggerirglielo, confesso, è abbastanza raccapricciante (anche se la curiosità di sapere se anche le Pepsi hanno sapori diversi a seconda di dove le producono, e in caso a quale specifica Pepsi si riferisse Lana rimane… lo so, ognuno si perde in certi suoi ragionamenti).
Ultima questione, che proprio da Paco Taibo II, mi perdonerà, parte, ma qui entriamo nel campo dell’intimità, se fosse un dato di fatto, altra cosa che mi ha sempre incuriosito è sapere chi glielo ha fatto sapere? Cioè, diciamocelo, Lana Del Rey è personaggio a metà strada tra una certa aria eterea, alla Bjork, e qualcosa di assolutamente corporeo e erotizzato (non che Bjork non lo sia, ricordiamo tutti il suo costume da figa, appunto), ma pensare a qualcuno che stia lì, infilato tra le sue gambe, altra maniera per arrivare a quelle conclusione non credo sia possibile, e a un certo punto, emerso dica , “Oh, Lana, ma lo sai che hai la figa che ha un sapore strano… ecco, sa di Pepsi”, è comunque una scena che fatichiamo a immaginarci, per tutta una seria di questioni, tutte piuttosto facilmente comprensibili. Nei fatti, poi passo al vero argomento di questo pezzo, Lana spiegò ai tempi che quell’informazione, affatto metaforica, le venne data dal suo ragazzo di allora, particolarmente sincero in quanto scozzese (e anche su questo ci sarebbe da interrogarsi), anche se il brano era in realtà una neanche troppo velata perculata di Harvey Weinstein, tirato in ballo in un verso che parodizzando Lucy in the Sky with Diamond dei Beatles, qui a essere in cielo coi diamanti è appunto tale Harvey, parlava di festini, di ricchezza elargita e di ragazze. Lo scandalo del Me Too che ha coinvolto l’ormai ex produttore cinematografico è di otto anni dopo l’uscita del brano, ma proprio per quei riferimenti Lana ha deciso di non eseguire più la canzone dal vivo, canzone che comunque ha perso per strada il nome Harvey, mentre mantiene l’incipit sulla sua figa e il sapor di Pepsi. Uno di voi, e per voi intendo voi che state leggendo queste mie parole, un plurale che potrebbe risultare arrogante, ma che nei fatti è figlio di una statistica, del resto mica sto presumendo che stiate leggendo in chissà quanti tutti nello stesso momento, parlo di un voi generico (tutti voi che lo leggerete, e invece qui uso il plurale perché indubbiamente lo leggerete dopo che io l’avrò scritto, per me un qui e ora che non prevede dei lettori, a meno che non passi mia moglie o uno dei miei figli, quattro, quindi un uditorio già sufficientemente numeroso, e sbrici lo schermo del PC su cui sto digitando), uno di voi, quindi, potrebbe chiedersi del perché io, nel parlare di Tuta gold di Mahmood, o meglio, del fatto che Mahmood torni a Sanremo, in gara, con un brano dal titolo Tuta Gold, singolo di lancio del suo nuovo album, Ne letti degli altri, in uscita la settimana successiva, ecco uno di voi potrebbe chiedersi perché io mi sia a lungo soffermato a parlare di Lana Del Rey e della sua figa che sa di Pepsi, invece che parlare, appunto, di Tuta gold, di Mahmood e di Sanremo. Se lo potrebbe chiedere e avrebbe anche buoni motivi per farlo. Ma a parte che erano giorni che pensavo a dove avrei mai potuto infilare questa faccenda della figa al sapore di Pepsi di Lana Del Rey e del suo passaggio inconsulto dentro un programma mattutino di Rai1, non essendo io uno di quelli che scrive pezzi veloci, quelli che di solito generano un sacco di traffico e di click, va anche detto che aver ascoltato l’anomalo pezzo che Mahmood ha deciso di presentare a Sanremo quest’anno, lui che ai suoi due precedenti passaggi (togliamo quello del 2016, quando non passò il primo turno di Sanremo Giovani, dovendosela vedere comunque con gente come Francesco Gabbani, Ermal Meta e Irama, per dire) ha portato a casa la vittoria, rispettivamente da solo con Soldi, nel 2019, e in compagnia di Blanco con Brividi, nel 2022, va anche quindi detto che aver ascoltato l’anomalo pezzo che Mahmood ha deciso di presentare a Sanremo quest’anno, Tuta gold, ho sentito l’irrefrenabile necessità di partire con una situazione bizzarra e anomala, che però tirasse in ballo una certa dose di erotismo, oltre che di glamourness e anche di spiazzamento, indotto volontariamente, quasi con compiacimento, fatto che ha indotto il cerchio a quadrarsi, parlo di Lana e della sua figa al sapor di Pepsi.
E poi, a dirla tutta, dal momento che raccontare l’irraccontabile, cioè star qui a parlare di canzoni avendo le sole parole come strumento, è esercizio complicato e anche piuttosto inutile, perché le parole arriveranno in maniera differenti a ciascuno di voi, così come arriverà in maniera differente poi la canzone stessa, meglio giocare di suggestioni, incuriosire, e Tuta gold, vedrete, è una delle canzoni col più alto tasso di originalità in gara, su questo forse seconda giusto a Click Boom!, brano di Rose Viallain, che a differenza di Mahmood si giocherà ulteriormente la carta della sorpresa nei confronti del pubblico sanremese, che non necessariamente la conoscerà già, penso che quantomeno a livello di suggestione mi sono mosso sufficientemente bene, fin qui. Mi darei quasi una pacca sulla spalla da solo, come uno degli angeli di Mr Rain. Bizzarria, dicevo. Bizzarria e anomalia, sì, ma soprattutto bizzarria. Anche se bizzarria non è la parola più adatta. Perché, passo a parlare solo di Mahmood, ora, il fatto è che il due volte vincitore del Festival è davvero un fatto a se stante nella discografia attuale. Per due volte ha partecipato a Sanremo e per due volte ha vinto, ok, quindi possiamo dire che ha una fama mainstream piuttosto elevata, ciò nonostante il suo repertorio, parlo del resto del suo repertorio, seppur anche Soldi non è che sia esattamente una canzone canonica, e anche Brividi, che invece è molto canonica, come composizione, aveva un cantato del tutto originale, le voci a intrecciarsi in quel modo così contemporaneo, su una ballad di suo classica, con l’idea di due giovani uomini che si cantano l’amore che, a Sanremo, è pur sempre una cosa assolutamente irrituale, se non nuovissima. Un BIG vero, cui si deve in qualche modo anche lo sfondamento del mainstream, della contemporaneità, in quei lidi lì, Sanremo e il Festival, perché dalla sua vittoria, sotto il regno Baglioni, e con l’arrivo poi di Amadeus, nulla è più stato come prima, un po’ le braccia spalancate di Modugno nel cantare Nel blu dipinto di blu, un cambio epocale, un punto di non ritorno, gli artisti contemporanei ora presenti e felici di esserlo in gara come mai era accaduto prima. Un Big vero che però continua a sfornare canzoni complicate, suo corrispettivo al femminile è Elodie, che spesso lavora non solo con lui, ma anche coi suoi collaboratori, penso appunto a Dardust, entrambi per altro forti di un’estetica assolutamente potentissima, strafottente, per certi versi, fortemente erotizzata, anche, comunque internazionale e vincente. Un Big che non fa l’occhiolino al pubblico,andando a cercare soluzioni facili, ma che decide di alzare sempre il tiro, semmai lo invita a seguirlo incondizionatamente, penso alla sua ultima fatica, Cocktail d’amore, funzionando, che parola orribile, certo, ma anche faticando a farlo, si veda come è forse il solo di questa sfornata di campioni a non aver ancora soldoutato, se si dice così, il Forum se non addirittura San Sirom un european tour comunque in partenza in primavera. Quindi, sì, Mahmood torna a Sanremo con i crismi del pretendente al trono, pur in un anno così pieno di pretendenti al trono, specie sul fronte regine, e lo fa con un brano assolutamente originale, fanculo il “ti piace vincere facile?”. Un brano più dalle parti di Soldi che di Brividi, volessimo giocarci la carta della scorciatoia, ma decisamente altra cosa anche rispetto a Soldi, una strofa più lenta, toh, andiamo di scorciatoie, più in odor di Cocktail d’amore, e un ritornello tribale, con suoni che richiamano l’esotico, il ritmo a farla da padrona anche in assenza di una trovata furba come il clap clap di quel primo successo. Un canzone che, almeno lei, non cerca scorciaotie, va per la sua strada, invitando l’ascoltatore a seguirla senza troppi preconcetti. Ecco, seppur io abbia a volte, spesso, difficoltà a sentire il tipico modo di cantare di Mahmood, quel richiamo a certe sonorità arabeggianti che sfocia nella mimesi con l’autotune, devo dire che l’idea che sia diventato popolare nell’Italia di oggi, quella della Meloni e della negazione costante dello Ius Soli, un artista che si chiama Mahmood, una seconda generazione, ma anche quella dei Pillon e dello stigma ancora appoggiato su chi vive una sessualità non incamerata nel codice binario, un artista che canta palesemente storie fluide, lui talmente fluido da non necessitare neanche di aggiungere didascalie o sottotitoli, usando comunque un linguaggio non canonico, mi diverte parecchio. Sì, mi diverte, e mi compiace anche per una questione ideologica, certo, e ci mancherebbe pure che non fosse così. Tanto quanto mi diverte che il pubblico del sabato mattina di Rai1, per un errore o per uno scherzo, abbia ascoltato di come la figa i Lana Del Rey sappia di Pepsi (sì, lo so che tradurre “pussy” con “figa” è forzare la mano, perché pussy è una parola molto meno urticante e invasiva, ma parlare di patatine o micette non avrebbe affatto reso l’idea, e come quei vecchi traduttori di una volta, penso all’Attilio Veraldi che ha traghettato in italiano le parole dell’Hubert Selby Jr di Ultima fermata Brooklyn, mi sono preso delle libertà). Avrei potuto, certo, rimanendo in patria, citare lo stesso tipo di divertimento, arrivato in realtà ex post, dello scoprire che per anni i nostri genitori, non i miei nello specifico, ma diciamo coloro che erano adulti negli anni Ottanta, dello scoprire quindi che per anni i nostri genitori avevano innocentemente canticchiato Gelato al cioccolato di Pupo, canzone scritta per lui da Cristiano Malgioglio, all’epoca non ancora star della tv, ma autore di brani per dive quali Mina o Ornella Vanoni, brano che vuole leggenda identificasse il dolce e salato del gelato al cioccolato in questione con lo sperma di un qualche tipo di colore, ricordo di una vacanza fatta in Tunisia, il cono del gelato, ca va sans dire, sarebbe il pisello (stavolta lasciamo l’urticazione a casa) del tipo di colore, appunto, seppur il cioccolato, metafora lievissima del colore della pelle, nel cono sta in cima, non intorno, ma queste sono sottilizzazioni capziose, insomma, essendo Gelato al cioccolato una sorta di inno subliminale a una fellatio praticata appunto a un tipo di colore in vacanza, mica per niente la firma di Malgioglio non appare su disco, ma solo nel sito della SIAE. Avrei quindi potuto giocare in casa, ma proprio Malgioglio ha avuto da ridire con Mahmood per quel suo aver utilizzato il titolo Cocktail d’amore, e non volevo riaprire recenti ferite. Meglio quindi partire parlando di fighe al sapor di Pepsi, che coni gelati al cioccolato, in fondo, potrebbero anche avere a che fare, fossi io una versione scrittoria del Marco Ferreri de La grande abbuffata. I capelli spettinati, la pancia prominente e anche la barba lunga, oltre che una certa tendenza anarcoide, ce li ho. Per tutto il resto c’è la Tuta gold con cinque cellulari nelle tasche, i “fra” e i “bitch” di Mahmood o Lana Del Rey e la sua pussy al sapore di Pepsi.