Trovato: Francesco Totti! Per il futuro del Teatro di Roma, a questo punto della sua recente travagliata storia, pensandoci bene, non resta che far brillare un nome, un solo nome, un nome assoluto destinato alla sua direzione artistica: l'ho detto, Francesco Totti! Auspichiamo dunque il suo insediamento, immaginiamolo presto davanti al sipario vermiglio dell’Argentina mentre accoglie l’applauso del pubblico felice di scoprirlo in una nuova veste, certo della sua versatilità, un direttore perfetto, un ruolo cucito sul suo stesso talento umano e professionale, lontano da ogni perplessità circa lo specifico teatrale che finora non sembra essergli appartenuto. Facciamo dunque ritorno alle parole assolute di Carmelo Bene, genio ur-teatrale che collocava Marco van Basten, centravanti, “il cigno di Utrecht”, sul medesimo trono di Shakespeare, di Bertolt Brecht, di Samuel Beckett, di Majakovskij, d’ogni possibile finzione e illusione scenica. D’improvviso, ecco la soluzione, l’unica possibile, perfetta per abbattere sia l’arrembante clientelismo familista della destra-destra di Giorgia Meloni attualmente al governo sia per scongiurare lo spettro non meno modesto dell’amichettismo di una sinistra “con prenotazione obbligatoria”, persa nei suoi ditalini letterari. Le chiavi della direzione del Teatro di Roma siano così affidate a Francesco Totti, il Capitano, l’ottavo re dell’Urbe, un ragazzo cresciuto all’ombra di Porta Metronia, già dominio di gladiatori, reziari e mirmilloni del quartiere di San Giovanni, due passi dal turpe mercato di via Sannio; chi meglio di lui? Ripeto: siamo certi che se Carmelo Bene fosse ancora fra noi ne converrebbe, sarebbe dello stesso avviso, non avrebbe dubbi: Totti. Carmelo Bene, fra molto altro, ragionando esattamente di calcio affermava che “l’amplesso è il dribbling del corpo a corpo ‘amoroso’. Il dribbling è un peccato carnale”.
Totti e soltanto Totti all’Argentina, quindi. E subito. Davanti alle sue credenziali, in pochi istanti ogni altro candidato ministeriale finora proposto al mercante in fiera delle prebende governative verrebbe cancellato, abraso, scartavetrato via, polverizzato. D’altronde che peso specifico volete che possano vantare cognomi da citofono d’ordinaria astanteria politica capitolina quali Cutaia o De Fusco davanti all’imperiale bisillabo To-tti? Qualcuno potrebbe obiettare che il prato di uno stadio, si pensi all’Olimpico ma non solo a quello, è altro rispetto a un proscenio, a una quinta; dubbi inutili, inerzie insignificanti, cose destinate a calpestare la vera fantasia, l’emozione dell’azzardo poetico. Altri potrebbero ancora sostenere con accorato allarmismo che Totti per mostrarsi pienamente adeguato al nuovo compito, decisamente culturale, dovrebbe, possibilmente in tempi brevi, entrare in possesso di una decorosa preparazione teatrale, proprio lui che, come ha crudelmente insinuato giorni addietro l’ex moglie Ilary Blasi ospite di “Verissimo”, non avrebbe mai letto un libro. Sciocchezze, dettagli, piccole insinuazioni che nulla tolgono all’aura del nostro candidato. Nella poesia e nella letteratura della nazione nostra troviamo ampia traccia di poeti e narratori che si siano interessati al calcio in modo quasi carnale, perfino a Giacomo Leopardi si deve, datato 1821, un componimento con pertinenza intitolato “A un vincitore nel pallone”. Da Umberto Saba abbiamo invece “Cinque poesie sul gioco del calcio” presenti nel suo “Canzoniere”, versi che così avanzano verso l’area di rigore dell’emozione: “Anch'io tra i molti vi saluto, rosso-alabardati, sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati. Trepido seguo il vostro gioco… sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari soli d'inverno”. Infine, su tutti, Pasolini che affermava il calcio essere “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. E se lo dice Pasolini, ogni altro dubbio su Totti si annulla in un secondo. Scendendo nel dettaglio del personale in campo, sempre Pasolini, notava che “Riva gioca un calcio in poesia: egli è un ‘poeta realista’. Corso gioca un calcio in poesia, ma non è un “poeta realista”: è un poeta un po’ ‘maudit’, extravagante. Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è una prosa poetica, da ‘elzeviro’. Anche Mazzola è un elzevirista, che potrebbe scrivere sul ‘Corriere della Sera’: ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti”. Che genere di direttore-poeta sarà Totti lì all’Argentina lo sapremo presto. Pensando invece a tempi più recenti, sovvengono gli straordinari versi di Ferdinando Acitelli, “La solitudine dell’ala destra”, dove proprio i calciatori della “Magica”, vengono tratteggiati, lumeggiati in modo imperiale, fiammeggianti sul Carro del Trionfo, semidei, troneggianti come Cesare o perfino l’antagonista Pompeo. Oltretutto la scelta di Totti per sua natura municipale, farebbe brillare la scommessa dell’indicibile, dell’azzardo, cioè la sostanza non meno lucente del teatro stesso, l’Osceno, ciò che finora non abbiamo mai ottenuto dall’illusione teatrale, la stessa emozione che giunge dal contemplare il palleggiatore instancabile che strega, con sottofondo musicale della sigla di “90° minuto”, Sabrina Ferilli ne “La grande bellezza” Paolo di Sorrentino. Lo immagino già Totti a preparare il cartellone degli appuntamenti, quali compagnie accogliere, quali testi mettere in scena, quali palle calciare lontano dal luogo comune di una prevedibile programmazione, con lui il teatro ritroverebbe certamente la sostanza mercuriale.
Se nei giorni scorsi fossi stato presente alla pubblica assemblea autoconvocata da attori e intellettuali preoccupati per il possibile destino clientelare del più significativo teatro cittadino - lo scrittore Christian Raimo a esprimere ogni comprensibile dubbio in prima fila - durante la quale, presente Francesco Siciliano, presidente del Consiglio di amministrazione proprio Teatro di Roma, figlio di Enzo Siciliano, scrittore e biografo di Pasolini, già orgoglioso presidente della Rai, la stessa azienda che il poeta di Casarsa avrebbe voluto invece abolire, non avrei avuto dubbi nel pronunciare già lì il nome di Francesco Totti. Proprio Pasolini, intervistato da Pippo Baudo a “La freccia d’oro” nel 1971, alla domanda: “Se non avesse fatto lo scrittore cosa avrebbe voluto fare?” Rispose: “Il calciatore”. Quanto al ruolo, confessò il sogno d’essere mezz’ala. Allo stesso modo e Totti potrebbe fare sue queste stesse parole invertendo l’ordine della scelta. Così come “c’è solo un Capitano” anche in questo caso c’è un solo direttore artistico possibile, il suo nome è, appunto, Francesco Totti. Ah, dimenticavo: Anche Osvaldo Soriano applaudirebbe la sua designazione.
P.S. Anche il drammaturgo, regista e attore Daniele Timpano, già allievo di Francesca Romana Coluzzi, Premio Ubu, ha subito accolto con estremo ammirato calore la nostra proposta, e questo fa ben sperare per la fantasia presente e futura.