Anche in Italia sono esplose le proteste degli agricoltori che da settimane incendiano l’Europa, partendo dalla Germania e dall’Olanda. Ma in quest’ottica la protesta nazionale sta avendo una piega particolare, che contribuisce a ridimensionarne la portata, ma al contempo ne appesantisce in prospettiva il peso politico: la rappresentanza sindacale del mondo agricolo, soprattutto la Coldiretti, non è dalla parte dei protestanti, ma nel mirino di chi scende in piazza. Dallo sdoganamento del movimento “Vanghe Pulite”, alla bruciatura di bandiere di Coldiretti dalle parti di Viterbo, il sindacato guidato da Ettore Prandini, bresciano di antica stirpe democristiana e iper-governista verso il centrodestra dopo esserlo stato con Mario Draghi, è nel mirino. “L'ultima settimana di gennaio è iniziata con cortei in varie città: Ravenna, Udine, Viterbo, nell'Avellinese, nel Catanzarese e ancora nei pressi del casello dell'A1 di Orte. E oltre al Cra (comitato agricoltori traditi), ora sta organizzando azioni di protesta anche il 'coordinamento riscatto agricolo', composto in gran parte da giovani agricoltori, che ha diffuso un manifesto in dieci punti”, nota la rivista Terra e Vita. Il governo Meloni, Coldiretti, l’Unione Europea: le proteste, che hanno avuto in Foggia il vero epicentro hanno bersagli diversi. C’è chi protesta in primo luogo contro l’Unione Europea, sulla scia di quanto succede nei Paesi del Vecchio Continente, per lo stop all’uso massiccio dei pesticidi e la riduzione dello spazio agricolo potenzialmente sfruttabile; chi rivendica la scarsa rappresentanza di Coldiretti e il suo entrismo eccessivo nel governo, visto di pari passo con il rifiuto di combattere per controllare maggiormente l’equiparazione dei prodotti in entrata dall’estero a quelli nazionali. Chi agisce per spirito d’emulazione. Eccezion fatta per l’epicentro di Foggia, dove per strada è sceso anche Matteo Tamburrelli, presidente dell’Apima Foggia (’associazione delle imprese agromeccaniche del territorio), le istituzioni sono in secondo piano in questo moto di “forconi” assai decentralizzato. Altrove, in Europa, sono i sindacati agricoli a guidare le manifestazioni. Le sigle contadine hanno svolto un ruolo predominante in Germania, ove le preoccupazioni per il settore agricolo sono state amplificate dal deficit di bilancio di circa 60 miliardi di euro, emerso a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale tedesca, che il governo Scholz intende colmare tramite tagli severi alle sovvenzioni e aumenti fiscali, molti dei quali avranno un impatto diretto sull'agricoltura. Sono state determinanti anche per fomentare gli agricoltori olandesi, per i quali la fonte primaria di frustrazione è la direttiva europea volta a ridurre drasticamente le emissioni di azoto, principalmente attribuibili agli allevamenti intensivi, che costituiscono uno dei settori chiave dell'economia olandese.
Gli agricoltori polacchi e romeni, tramite le loro sigle confederali, hanno protestato e fatto lobbying contro l'importazione di prodotti agricoli dall'Ucraina. Infine, in Francia, le proteste si sono concentrate principalmente sulla difesa dei sussidi per il gasolio, che il governo francese intendeva tagliare. Nonostante gli incontri tra il nuovo Primo Ministro Jacques Attal e le delegazioni degli agricoltori, le richieste non sono state soddisfatte, alimentando ulteriormente la rabbia dei "trattori" francesi, guidati dai principali sindacati agricoli: la Federazione Nazionale dei Sindacati Agricoli (FNSEA) e i Giovani Agricoltori (JA). In Italia Coldiretti ha tentato un tardivo recupero sui temi delle proteste appena scoppiate la scorsa settimana, quando il dominus di Coldiretti, Ettore Prandini, si è rivolto alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen chiedendo “di dire basta alla concorrenza sleale dei Paesi terzi ed introdurre con decisione il principio di reciprocità, per fare in modo che tutti i prodotti che entrano nell'Unione rispettino gli stessi standard dal punto di vista ambientale, sanitario e le norme sul lavoro previsti nel mercato interno”. Una retromarcia notevole: Prandini chiede all’Europa aiuto ora, dopo aver chiesto al governo Meloni e al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida di cozzare contro la normativa europea sulla carne coltivata in nome di quel “sovranismo alimentare” periferico e provinciale che contraddistingue la gestione del maggior sindacato agricolo. Il settore agricolo italiano ha punte di eccellenza ed è formato da una base industriosa di produttori, che hanno sfidato i marosi della globalizzazione producendo prodotti d’avanguardia. Coldiretti ha avuto, in passato, il limite di puntare soprattutto a espandere il numero di Doc, Igp e altri marchi tutelati come via maestra per valorizzare l’agricoltura italiana, dimenticando di spingere su quei settori che potevano permettere agli agricoltori italiani di avere accesso a fondi e investimenti strategici per portare finalmente nel nuovo millennio un settore strategico e fondamentale.
Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, dell’innovazione di prodotto e dell’integrazione tra settore agricolo e filiera produttiva alimentare, basti pensare a dove Coldiretti ha rivolto il suo potere di lobbying negli ultimi anni, per capire quanto le priorità che potevano minacciare maggiormente il sistema italiano siano state messe in secondo piano. Negli anni Coldiretti ha sostenuto battaglie come il rifiuto del Nutriscore, un sistema di etichettatura nutrizionale basato su criteri scientifici e validato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Coldiretti ha anche espresso scetticismo verso il cibo sintetico, come la carne coltivata in laboratorio, sostenendo che sia una minaccia per la salute dei consumatori e per la biodiversità. Inoltre, Coldiretti ha anche criticato l’accordo commerciale tra l’Unione europea e il Mercosur, affermando che favorirebbe l’importazione di prodotti a basso costo e a bassa qualità, con rischi per la sicurezza alimentare e l’ambiente. Queste posizioni sono state accusate di essere motivate da interessi economici e corporativi, e di ignorare le evidenze scientifiche e le sfide globali, come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la salute pubblica, oltre che l’interesse degli agricoltori stessi, come imprenditori che necessitano di fare profitto dall’attività di impresa. Alcuni esperti hanno sottolineato che il cibo sintetico potrebbe offrire vantaggi in termini di efficienza, riduzione delle emissioni e del benessere animale. Inoltre, il Nutriscore è stato riconosciuto come uno strumento utile per informare i consumatori e prevenire le malattie croniche legate all’alimentazione. Infine, l’accordo commerciale tra l’Ue e il Mercosur potrebbe aprire nuove opportunità di mercato e di cooperazione per il settore agroalimentare europeo, a condizione che vengano rispettate le norme sanitarie e ambientali su cui l’Ue, prioritariamente, non deroga nei rapporti commerciali. E mentre molte energie venivano spese su battaglie in cui non si pregiudicava l’abbraccio tra Coldiretti e governo, sull’agricoltura italiana arrivava il treno della nuova Politica agricola comune (Pac): come spiegato da Wired, nel 2020 la Pac europea “ha introdotto obiettivi ambiziosi, tra cui la riduzione del 50% dell'uso di pesticidi e del 25% dei terreni agricoli biologici entro il 2030. Questi obiettivi, sebbene mirino a promuovere la sostenibilità ambientale e la salute, sono stati criticati dagli agricoltori per la complessità delle procedure richieste per conformarsi alle nuove normative. La percezione è che tali misure impongano un carico amministrativo significativo agli agricoltori, contribuendo così all'aumento della burocrazia nel settore agricolo”. Prandini nel 2020 era possibilista, pur con riserve, sull’applicazione del programma Farm to Fork, salvo poi cavalcare le famose questioni bandiera sull’etichettatura del vino, la farina di grillo e la carne coltivata di cui si è parlato nell’anno passato mano a mano che Coldiretti e governo Meloni arrivavano a una crescente convergenza. Il “sovranismo degli Igp” dell’asse Prandini-Lollobrigida, ha criticato fuori tempo massimo le pur discutibili prescrizioni generaliste di Bruxelles, ma poco è stato fatto per promuovere nel sistema-Italia incentivi e investimenti per rendere più competitivo il sistema di fronte a un mercato, dove è impossibile competere sulle grandi quantità. Coldiretti e ministero potevano, ad esempio, stimolare la digitalizzazione e l’agricoltura moderna e “smart” con maggiori stimoli; potevano favorire la conversione dalle monocolture cerealicole a forme di produzione con maggior valore aggiunto; potevano, infine, non opporre unicamente delle grida alle forme di innovazione capaci di creare valore aggiunto, Pil e filiere risparmiando, inoltre, spazio e terreni per riconvertire ulteriormente campi e fondi verso prodotti diversificati. Si è scelta la via corporativa e l’alleanza sindacato-governo. E gli agricoltori protestano cavalcando lo spontaneismo già noto nel 1997, ai tempi della convocazione dei famosi “Cobas del Latte”, continuati per anni contro le quote di produzione decise da Bruxelles e avallate dai governi nazionali. Gli agricoltori protestano innanzitutto per l’assenza di (vera) rappresentanza. Per fortuna l’Italia ha, dalla frutta al vino, una situazione di maggiore eterogeneità e la situazione, per quanto complessa, non è critica come nel resto d’Europa. Ma il vento di rivolta deve preoccupare, innanzitutto chi gli agricoltori dovrebbe rappresentare. E, al netto di episodi disdicevoli come le bandiere bruciate, le proteste sono innanzitutto un grido per dimostrare il vuoto di questa rappresentanza. Decisiva nell’era del Green Deal guidato dall’Europa, che può stravolgere i sistemi agroalimentari europei, e in cui, forse, è meglio concentrarsi su altri temi prima di parlare di carne coltivata.