Leggo: “Le dive presenti sul red carpet del film 'The Apprentice' e poi 'The Shrouds', sono state accomunate da una scelta di stile: svelare un dettaglio del corpo o indossare tessuti 'nude'”. Il nudo dunque fa ritorno a se stesso, nuovamente manifesto pubblico della propria evidenza narcisistica e spettacolare: uffa, mi rivoglio così, nuda!
Tempo fa, su queste pagine, ho provato a raccontare la rivelazione dei capezzoli femminili sotto il tessuto leggero nella “bella stagione”; ermeneutica, ontologia, del disvelamento dei capezzoli stessi. Messi tuttavia in discussione dalle ragioni del “mee too”. Il nudo femminile come concessione servile al maschio, poco importa se voyeur o soltanto voglioso. E adesso che proprio il meetoo nella sua variante penitenziale e, sia detto, perfino sessuofica in nome di un femminismo claustrale, non meno "familiare", sebbene un tempo si sia già detto quanto la famiglia sia "ariosa e stimolante come una camera a gas" (era un manifesto di "Re Nudo", rivista underground del tempo di Parco Lambro, dove infatti i ragazzi erano tutti nudi a ballare sul cadavere della militanza già leninista), sembra declinare, viva quindi la nudità liberatoria. Siano dette a supporto ulteriore di questo nuovo giorno della liberazione le parole del presidente francese Macron, contro la cultura woke, contro il politicamente corretto, in difesa anche della blasfemia, liquidatorie rispetto all''Indice moralistico di un femminismo giunto da Oltreoceano con le sue "pecette" nere.
Nel mio articolo sui capezzoli, comunque, da riflessione sull’assoluto, come usano dire i filosofi, estensionale, è stato associato a un titolo che ne attribuiva la suggestione secolarizzata a Victoria De Angelis, bassista dei Måneskin. Il girmi dell’algoritmo ha virato tutto sullo spettacolare contingente.
L’ermeneutica dei capezzoli è stata sconfitta in quel caso dal minotauro dell'ordinario pop. “Minotaure”, si sappia, era anche una rivista surrealista: Picasso, Giacometti, Bellmer, Max Ernst, Man Ray, Magritte, Duchamp, Miró, tra le firme. Sensazione ennesima di perdita della complessità poetica, del divagare gratuito stesso. Ho provato allora a immaginare uno spareggio tra argomenti “forti” e “colti”, probabilmente un ingombro per la mente contemporanea, e ciò fa invece immediata breccia sull’attenzione della “neo-plebe” social. Ne è nata un catasto di temi presto decapitati, condannati dal pessimismo sia dell’intelligenza sia della ragione, al “cestino” virtuale del desk.
Theodor Adorno rimarrà tramortito dalla provocazione di alcune studentesse a seno nudo
Tornano così in mente i coetanei di quartiere degli anni palermitani del liceo. Incrociati nei pressi del bar “Catalano”, gestito dagli orgogliosi fratelli del ciclista Antonino, che, sebbene solo 71° alla Parigi-Roubaix del 1959, pochi mesi dopo avrebbe vinto l’8ª tappa del Giro d’Italia (Ischia, cronometro); gli stessi che notando fra le mie mani un saggio Gallimard, “L’espace littéraire” di Maurice Blanchot, sfrontati e gne-gne domandavano: “Cosa hai lì?” Alla risposta: “Non conoscete ‘L’espace littéraire’ di Blanchot?!”, replicavano coralmente: “E ‘sta minchia?”.
Devo a loro, con gratitudine, di avere acquisito il senso del limite e dell’umano ridicolo; un dottorato esistenziale. Così adesso, sebbene volessi ragionare proprio sull’affermazione di Blanchot, secondo cui “la solitudine dell’opera d’arte e letteraria ci svela una solitudine essenziale. Chi scrive l’opera è messo in disparte, chi l’ha scritta è congedato. Colui che è congedato, inoltre, non lo sa”, infine scelgo un altrove meno impegnativo.
Anche di Walter Benjamin avrei voluto trattare, non del suo “Angelus Novus”, marxismo ibridato di ebraismo, suggerito da un disegno di Paul Klee. Un testo preso in prestito nel giugno 1986 anche da Laurie Anderson, per un concerto romano subito premiato dall’ammirazione delle pischelle allora dark, le palpebre truccate di un nero da orsette lavatrici. Semmai Benjamin che nella tragica impossibilità di passare la frontiera francese, così da raggiungere la Spagna per mettersi in salvo dai nazisti occupanti. Parigi era ormai presidiata da Wehrmacht, SS e Gestapo. Allora Benjamin fugge e raggiunge Portbou, spera da lì imbarcarsi per gli USA, dove già sono rifugiati i colleghi filosofi dell'Istituto per la ricerca sociale; Theodor W. Adorno tra loro. Si vede però ritirare il visto di transito. Temendo d’essere catturato dalla polizia di frontiera spagnola, costretto quindi a fare ritorno nel territorio francese, si suicida con un'overdose di morfina la notte del 26 settembre 1940. Più nulla sappiamo della valigia dove custodiva molti manoscritti incompiuti. Tragica ironia della sorte, il pomeriggio successivo i suoi anonimi compagni di viaggio otterranno dall’alcalde locale il permesso di proseguire per la loro destinazione.
Nel mattino del giorno dopo della Storia, assente ogni Angelus, Adorno, in pieno Sessantotto, precipiterà in una crisi profonda, inefficaci gli strumenti che fino a quel momento gli erano giunti dall’elaborazione teorica della “Scuola di Francoforte”. Il colpo di fiocina definitivo arriva dai “giovani”, i “contestatori”. Il filosofo che aveva cercato di dare ordine ai faldoni del marxismo insieme a Max Horkheimer e allo stesso Benjamin verrà a sua volta sconfitto, tramortito dalla “provocazione” di alcune studentesse presenti a seno nudo durante la sua ora di lezione. Inutile perfino cercare conforto presso Herbert Marcuse. Il collega proverà ugualmente a consolarlo, mettendolo al corrente dei nuovi soggetti apparsi sulla scena politico-antropologica; il Situazionismo, la dimensione “desiderante”, la rivoluzione come "orgasmo collettivo". Non è un caso che la tomba di Marcuse a Berlino, Cimitero di Dorotheenstadt, dove riposano anche Hegel, Fichte e Bertolt Brecht, rechi incisa una frase decisamente possibilista: “Weitermachen!”: Continuare!
Abbandonata l’idea dell'amaro racconto di Benjamin, avevo inizialmente pensato di restituire invece Yves Klein, l’esecuzione della “Symphonie Monoton-Silence” durante la realizzazione pubblica delle “Anthropométries”: modelle nude, cosparse del suo blu alchemico utilizzate come “pennelli viventi”, le impronte dei corpi sulle tele bianche. Oppure, restando sempre su Yves Klein, la cessione di alcune “Zone di Sensibilità Pittorica Immateriale” a Dino Buzzati pagati con minuscoli lingotti d’oro, che lo stesso artista avrebbe gettato nella Senna, così come la ricevuta a garanzia dell’assegnazione dell’immateriale sarebbe stata bruciata dall’autore del “Deserto dei Tartari”. Anche in questo caso un inutile ingombro per l’attenzione.
Avrei voluto raccontare ancora un’altra storia, magari più avvincente. Ossia quando i citati residenti sul muretto del bar “Catalano” avevano fatto credere a un coetaneo che nel pisello d’ogni maschio crescesse, testuale, “l’unghio”.
Così asserivano, per poi, rivolti ancora all’altro, aggiungere: “E tu quando te lo sei tagliato l’ultima volta, l’unghio?” Di fronte allo smarrimento del malcapitato, si rassicuravano tra loro di avere appena provveduto, cavando il Trim fuori dal taschino dei jeans. Il ragazzo, tornato a casa, si sarebbe chiuso in bagno a constatare la presunta menomazione: nessuna traccia, tra scroto e glande, del necessario, doveroso “unghio”.
Forse, grazie a quest’ultima narrazione poco commendevole, ci stiamo davvero avvicinando al mondo reale, alla conquista dell’attenzione altrui. Pronta ad abbattere Blanchot, Adorno, Klein e Buzzati, issando invece l’esibizione di chi, decapitando ogni possibile ermeneutica, sicuramente pronipoti di chi presidiava un tempo il locale degli ormai compianti Catalano, avevano cura di scoreggiare accostando l’accendino al gas appena fuoriuscito nonostante lo spesso denim, così da creare una minuscola eppure apprezzabile vampa; fuoco fatuo capace tuttavia di suscitare entusiasmo nei protagonisti della performance. Testo a fronte di tale olimpiade rionale, “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” di Mel Brooks: i cowboy intorno al falò notturno, sinfonia di peti dopo una cena a base di fagioli.
Volgarità liberatoria vince sempre su ciò che è complesso; convincente, praticabile, ermeneutica sui possibili utilizzi di un accendino Bic.
Walter Benjamin si è forse suicidato invano? Scoreggia che determina vampa, nel dominio social, regna su ogni altra possibile opzione dialettica. Le pagine delle ultime dispense di filosofia appaiono ormai interamente bianche. Inutile perfino rimpiangere i manoscritti incompiuti del filosofo; semplice disperso bagaglio, come sovente accade ai nastri dell'aeroporto di Fiumicino.
Ah, se solo Adorno potesse essere ora presente a Cannes.