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Ok, celebriamo i 60 anni
dalla morte di Hemingway,
ma siamo sicuri
che oggi verrebbe apprezzato
(o anche solo pubblicato)?

  • di Matteo Cassol Matteo Cassol

5 luglio 2021

Ok, celebriamo i 60 anni dalla morte di Hemingway, ma siamo sicuri che oggi verrebbe apprezzato (o anche solo pubblicato)?
Ernest era un macho, un donnaiolo, un amante della caccia, della corrida, della guerra, della boxe, dell’alcol, con una nomea (probabilmente mal riposta) di conservatore. E si è pure suicidato sparandosi in bocca con un fucile. All’epoca vinse il premio Nobel per la letteratura, ma oggi sarebbe accusato di misoginia, omofobia, razzismo, violenza e chissà quali altre nefandezze. Un “cattivo esempio” sia sulla pagina che nella vita, vedi anche il capitolo mogli cornute e mazziate. Per “fortuna” ormai nessuno legge più e dunque pare che a nessuno sia ancora venuto in mente di provare seriamente a cancellarlo. Con tutta probabilità però oggi non solo non troverebbe un editore, ma avrebbe vita dura anche solo da semplice cittadino sui social. Ai quali peraltro chissà se si iscriverebbe

di Matteo Cassol Matteo Cassol

Sono passati sessant’anni da quando Ernest Hemingway ha caricato il suo fucile e si è ammazzato sparandosi in bocca. Ora tutti celebrano quell’anniversario (di solito omettendo la parte del fucile, perché pare brutto). Del resto, era un premio Nobel per la letteratura, no? Ma se fosse vivo in quest’epoca e digitasse assieme a noi, lo sarebbe ancora? Sarebbe considerato un grande scrittore? Verrebbe almeno pubblicato? Pare più che lecito dubitarne, purtroppo.

“Ernest Hemingway – si legge in un articolo sul Washington Post – è il volto macho della prosa del XX secolo. La sua nascita nel 1899 segnò l'arrivo di un uomo che voleva dissociare la letteratura dalla macchia di femminilità che aveva acquisito sotto l'influenza di Oscar Wilde e allinearla invece con una sorta di mascolinità pelosa. Gigli e carta da parati erano finiti. Al loro posto? Sangue, battaglia, sesso, caccia, morte. Cose virili. E per trattare bene le cose virili, la letteratura richiedeva uno stile virile appropriato. Via aggettivi femminili, similitudini estatiche, metafore elaborate, eteree elucubrazioni. Ecco osservazione secca, frasi semplici, ripetizione gelida”.

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Su Medium si trovano pezzi su Hemingway di questo tenore: “Ci sono molte ragioni per odiare Hemingway. La maggior parte di loro sono buone ragioni e solo alcune sono cattive: la mascolinità tossica, gli hobby da macho da cartone animato, la sua incapacità di scandagliare la vita interiore delle donne. Soprattutto, c'è l'unione di questa vita emotiva stentata con uno stile di prosa minimalista”. E ancora: “La prosa di Hemingway è la prosa di uomini dal cuore cattivo che hanno paura delle proprie emozioni, e la sua scrittura sostiene l'estetica delle vite emotive sommerse così tanto sotto la superficie che solo le punte dei sentimenti sono evidenti al di sopra della linea di galleggiamento”. E poi: “Sono offeso da Hemingway, certo («troppo bianco, troppo maschio, troppo privilegiato», si fa pure notare, ndr). È un cacciatore di trofei che ha sostenuto la corrida e ha fatto commenti omofobici disinvolti in Fiesta”. 

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Sia l’Ernest scrittore che l’Ernest uomo non sono visti di buon occhio: “Incontrare Hemingway da adulto – prosegue Matthew Adams sul Post – significava trovarsi di fronte a un uomo il cui appetito per attività presumibilmente maschili era così assiduamente coltivato da rasentare la parodia. Gli piaceva fare shadowboxing (pugilato a vuoto, normalmente un esercizio di allenamento della boxe, ndr) mentre camminava per strada. Trascinava regolarmente i suoi amici sul ring per impegnarsi in prove di forza. Ha sviluppato ossessioni per la corrida, la caccia, l'eroismo, la guerra, i liquidi corporei. Ha avuto per tutta la vita paura di essere considerato gay. Poteva essere crudele e violento con le donne”.

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Si parla anche di un documentario sulla vita di Ernest: “Mentre Dearborn racconta la sua storia, vediamo Hemingway comportarsi con cattiveria compulsiva, disonestà congenita e petulanza sconcertante. Se non aveva successo con le donne, minacciava di suicidarsi. Se un amico lo aiutava in una questione letteraria (F. Scott Fitzgerald il caso più notevole), quell'amico veniva quasi sempre eliminato. Se le sue mogli (ne ebbe quattro, non contemporaneamente… ndr) non si comportavano con la dovuta deferenza, erano oggetto di abusi verbali e fisici. Le offese minori venivano regolarmente trattate come trasgressioni grossolane. Gli animali erano sia venerati che trattati con terribile crudeltà. Una volta si era vantato di aver sparato a un cane in modo tale da assicurarsi che ci sarebbero voluti giorni per morire dissanguato”.

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“Come verrebbe accolto uno come Hemingway – si chiede Francesco Specchia su Libero – nell’era della cancel culture, del pacifismo nei cuori e nelle piazze, del genere fluido, del Black Lives Matter? Il machismo di Hemingway lo bloccherebbe alla soglia dei principali editori americani - quelli per intenderci che censurano i «negri» di Mark Twain e lasciano sradicare le statue di Colombo -; quel suo trattare le donne come oggetti sessuali e quel suo virilismo («Un uomo si scontra con le forze del mondo, chiamate destino, e le affronta con coraggio», dice di lui Steinbeck) riempirebbero le piazze di femministe impazzite. Solo l’idea di voler misurare il pene dell’amico Scott Fitzgerald per considerarne l’adeguatezza amatoria messa in dubbio dalla di lui moglie Zelda, attizzerebbe il dibattito pubblico sulla prevalenza fallica. E – anche se poi il nipote allungò l’ombra della bisessualità sul nonno proprio nel rapporto con Fitzgerald – le associazioni Lgbt rispolvererebbero la sua presunta omofobia; magari ripescandone la famosa lettera del 1925 in cui il giovane romanziere utilizzava uno dei suoi animali preferiti, il toro, per sbeffeggiare e attaccare, tra gli altri, uno dei suoi mentori, lo scrittore-critico Ford Madox Ford. Hemingway si lanciava, nella lettera inedita, in un paragone «tra le virtù dei tori e i vizi, le immoralità delle frequentazioni omosex» di Ford e di altri colleghi letterati. E il vecchio Ernest […] verrebbe sicuramente accusato d’esser un guerrafondaio solo per essersi offerto come corrispondente dei giornali su tutti i fronti. «Sappiamo che la guerra è brutta eppure a volte è necessaria» scriveva «ed è il miglior soggetto possibile»”.

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E poi c’è il suo uso delle parolacce e del vilipendio: “Hemingway gioisce quando, finalmente, il direttore di una rivista smette di tormentarlo per l’abuso dell’epiteto «figlio di puttana» nei dialoghi. E c’è un momento in cui lui, inferocito, scrive una lettera al senatore Joe McCarthy, sfidandolo: «In realtà non penso che lei abbia il fegato per battersi con un coniglio; figuriamoci con un uomo. Sono vecchio ma mi piacerebbe darle una lezione veloce», che è un po’ come inviare, oggi, una minaccia via social a Letta o al gruppo parlamentare di Leu. Hemingway, oggi, verrebbe massacrato dagli ambientalisti e dagli animalisti. […] La sua passione per l’alcol («una mezza bottiglia di Champagne avanzata è un pericolo per l’uomo») e il tabagismo lo renderebbero il nemico numero uno dei Verdi e dei vegani. E, se negli anni ’50, poteva evocare riti e voluttà ancestrali, oggi brucerebbe nel decoro sociale la sua cocciuta difesa della caccia («è particolarmente pericoloso non cacciare»). Una difesa impressa in mille fotografie appese al muro sotto il naso di un’antilope imbalsamata, da dove lo scrittore sovrasta animali ammazzati sotto il sole africano. Anzi, la sua stessa idea del continente nero viene in questi giorni messa in discussione dalla Nobel sudafricana Nadine Gordimer; la quale l’accusa di non avere «mai veramente compreso l'Africa»”.

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Incorreggibile fino alla morte, Ernest. Nella sua ultima intervista prima del suicidio (altro gesto che gli sarebbe valso il biasimo perlomeno di una parte dei cattolici), concessa al New Yorker, Hemingway disse: “Mi piacerebbe vedere nuove battaglie, cavalli, balletti, dame, toreri, pittori, aeroplani, figli di puttana, personaggi da bar, grandi puttane internazionali, ristoranti, fiumi di vino, cinegiornali, e non dover mai doverci scrivere una riga a riguardo”.

Su di lui invece qualcuno continua a scrivere, come una certa Jeana Pierson: “Hemingway – sostiene costei su Decaturian – scrive delle donne come se fossero oggetti. Non ha quasi mai nulla di positivo da dire su di loro, né contribuiscono mai positivamente alla trama. […] Nella sua vita, Hemingway ha avuto quattro mogli diverse. Hemingway ha tradito ciascuna delle sue mogli e ha finito per sposare la sua amante poco dopo aver divorziato dalla moglie precedente. […] Per Hemingway, il sessismo è solo la punta dell'iceberg. È anche problematico per la sua rappresentazione della mascolinità tossica, essendo razzista, estremamente egoriferito ed essendo un "bullo" […] Aveva un modo unico di scrivere che ancora oggi influenza gli scrittori. Ma questo non significa che dovremmo parlare di lui come "uno dei grandi". Voglio dire, Hitler aveva forti capacità di leadership, ma non lo consideriamo uno dei più grandi leader di tutti i tempi. […] Guardando i suoi scritti attraverso la lente del 2021, la sua morale è stonata e assurda, le sue descrizioni dei personaggi sono offensive per tutte le donne e i suoi personaggi maschili misogini e cavernicoli sono esagerati, ripetitivi e francamente noiosi a questo punto. Ecco perché ho deciso di cancellare Ernest Hemingway”. Per fortuna Jeana Pierson non se la filerà quasi nessuno, perché scrive sul giornale universitario della Millikin University di Decatur, in Illinois, ma si potrebbe scommettere che prima o poi (più prima che poi) l’appello alla cancellazione arriverà anche da (o comunque a) qualcuno di più autorevole.

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