A Sanremo la serata dei duetti di oggi promette di regalare grandi esibizioni, oltre a notevoli emozioni. Tra i tanti, quello che forse è passato finora ingiustamente sottotraccia è quello di Loredana Bertè con Venerus. Non solo grazie al cantautore milanese che la accompagnerà alla chitarra - uno dei giovani artisti più interessanti in circolazione - ma perché porteranno sul palco dell’Ariston un brano come “Ragazzo mio” di Luigi Tenco, che nasconde una storia nella storia (oltre a quella tragica del suo autore) e una evoluzione attraverso uno dei più grandi cantautori italiani come Ivano Fossati. Il tutto sarà condito dalla struggente voce della Bertè, che ha detto spesso di aver voluto fortemente portare questo pezzo al Festival. In mattinata, nel frattempo, Loredana ha fatto irruzione in sala stampa: “Stavolta sogno in grande, è il mio ultimo Sanremo...non come Amadeus (alludendo a una sesta edizione sotto la sua direzione artistica, ndr). Volevo ringraziarvi molto, perché non sono abituata a questi primi posti (per la canzone in gara che si intitola "Pazza"), stupendi e fantastici. La mia comfort zone, lo sapete, è l’ultimo posto, ma meno male che l’altra sera, all’annuncio di Amadeus ero già sdraiata sul letto, non mi sono fatta male, sennò svenivo per terra. Vi voglio bene e grazie, per me è un vero onore”. E ha proseguito scherzando: “Votate per me, io vorrei andare all’Eurovision perché si tiene a Malmö (in Svezia, ndr), così vado a rompere le scatole al mio ex marito (il tennista Björn Borg, ndr). E mi prendo una bella rivincita”. Senza dimenticare la sorella Mia Martini, scomparsa nel ‘95, alla quale vorrebbe dedicare una eventuale vittoria.
Una Bertè particolarmente agguerrita, insomma, come non si vedeva da qualche tempo e che proprio con “Ragazzo mio” potrebbe fare un bel passo avanti per puntare al primo posto. D’altronde questo non è un brano qualsiasi. La canzone, inizialmente interpretata come una lettera indirizzata a un immaginario erede o un testamento spirituale nel quale invita sé stesso a non far mai svanire i propri sogni, nel febbraio del 2013 si è capito che era dedicata ad Alessandro, figlio dell’amico Roy Grassi, come ha provato la testimonianza nel libro Caso Tenco. È stato un suicidio?. Uscito nel ’64 mentre sul lato A del 45 giri che aveva sul lato B “No, non è vero”, è stato poi inserito nell’LP “Luigi Tenco”. Un pezzo che ha conosciuto diverse stagioni, anche perché più volte ne sono state realizzate delle cover, ma certamente la più famosa - e che fece più discutere - fu proprio quella di Loredana Bertè con l’arrangiamento di Ivano Fossati nel 1984. Il critico musicale Paolo Talanca, che abbiamo contattato, ci ha spiegato: “È un brano che la Bertè aveva già inserito nel disco Savoir faire del 1984, esattamente 20 anni dopo l'uscita del singolo di Tenco, fra l'altro era la prima traccia di quel disco. È una canzone pubblicata appena dopo il passaggio di Tenco alla Jolly. Pare fosse dedicata al figlio di un suo amico e, come spesso succede, nella canzoni di Tenco le immagini sono molto chiare. Parla di non farsi influenzare da un futuro in cui incontrerà sempre più gente interessata ai beni materiali, in cui l'idealismo e la coerenza personale, l'impegno, saranno visti con scherno: lo derideranno, lui e le sue radici, ma lui dovrà essere forte. Le similitudini con ciò che rappresenta la Bertè sono evidenti: è una grande scelta, una canzone non scontata, non tra le più conosciute, ma molto rappresentativa, di Tenco e della Bertè. Lo dico sia come membro del direttivo del Club Tenco che come appassionato di canzone d'autore. Farlo al Festival di Sanremo ne aumenta il valore”.
Una versione rock che riesce a mantenere intatta la poesia del testo di Tenco e che valorizza nello stesso tempo lo spirito battagliero della cantante simbolo dell’emancipazione femminile in Italia Ma c’è di più, perché lo stesso Ivano Fossati, recentemente, ha spiegato perché decise di affidare alla Bertè il brano, come ha scritto nella fanzine di Rolling Stone che si trova in edicola: “L’idea che i feticisti bacchettoni della canzone d’autore sarebbero saltati sulla sedia inorriditi mi esaltava. Li ho sempre strapazzati quando ho potuto. Rifeci l’arrangiamento del brano così come mi suonava in testa, ruvido, elettrico e potente, senza riguardi e senza sconti. La band londinese non chiedeva di meglio. “Ragazzo mio” in versione rock e una Bertè dirompente, niente di più adatto a potenziare il disco. Oggi di quell’album rimane forse la canzone più apprezzata. È un brano di lungo corso, nella versione Bertè penso che correrà ancora parecchio. E Luigi Tenco che da parte sua era tutt’altro che un bacchettone – come avrebbe mai potuto esserlo - era con noi, ne sono sicuro. Se si fosse regalato una vita tutta intera ce l’avrebbe suonata ancora lui quella semplice, bellissima canzone. Chissà in quale modo”.