Sia chiaro: non siamo né stupiti, né scandalizzati. Però fa un certo effetto sapere che sta per iniziare la 73esima edizione del Festival di Sanremo e che dentro questo grande contenitore di “intrattenimento benpensante misto indignazioni minuziosamente architettate misto messaggi edificanti per palati biascicanti il chewing gum del più facile progressismo” ci sarà anche Salmo, in collegamento stasera e sabato 11 direttamente dal “palco sul mare”, la nave Costa Smeralda. Il suo nome – più che quello di Gué, Takagi & Ketra e Fedez, gli altri protagonisti del teatro galleggiante – fa sorgere qualche prurito di matrice forse antica. Perché Salmo ha sempre investito su un certo fattore anti-Sistema percepito come assolutamente “credibile” e “genuino” da chiunque si sia divertito con “The Island chainsaw massacre” (2011) o abbia memorizzato le strofe di “Hellvisback” (2016). Uno “vero”. La cui crew si chiama Machete, mica Fiorellino di campo. Uno da cui ci si aspetta un no a Sanremo (siamo all’inizio del 2020 e su Instagram afferma: “Vorrei ringraziare di cuore Amadeus e tutto lo staff di Sanremo per avermi invitato come superospite della prima serata del Festival ma non sarò presente al Festival, non me la sento, mi sentirei a disagio. Vi ringrazio ancora di cuore. Vorrei dirvi che tra i due santi, Sanremo e San Siro, scelgo San Siro”). Da cui ci si aspetta un dissing a Fedez (“Mi stai sul caz*o, sei un artista o un politico?”, gli disse nell’estate del 2021). Da cui ci si aspetta, persino, la strafottenza punk di quel concerto gratuito a Olbia che, durante l’emergenza Covid, si fece beffe di distanziamenti e mascherine. "Vorrei ricordarle – recitava il testo della lettera che in quella occasione Salmo scrisse niente meno che allo Stato – che quasi tutti i settori lavorativi in Italia sono ripartiti. L'unico settore dimenticato da Dio e dallo Stato è quello dell'arte e dello spettacolo. Non possiamo fare i concerti. Ci hanno detto di fare i live con poche persone, tutti distanziati e seduti. Signor Stato noi vogliamo alzarci e saltare. La musica, la cultura e l'arte sono importanti quanto lo sport". Tutto bene, fin qui. Salmo artista, Salmo personaggio, Salmo polemista, e Salmo – nel bene e nel male – vero.
Poi ci svegliamo nel 2023 e ce lo ritroviamo, per nulla apocalittico e molto integrato, sulla Costa Smeralda, dove l’anno prima, per capirci, c’erano Orietta Berti e Fabio Rovazzi. Appunto, svegliatevi direte voi, più cinici di noi, magari. Da quanti decenni la cultura pop è affollata da personaggi che si fanno largo a gomitate hardcore – fase durante la quale, in genere, se sollevi mezza critica passi immediatamente da parruccone del neolitico – per poi decidere che… ehm, basta con tutta questa rigidità, meglio fare business perché il business è business e il business è quasi sempre una buona cosa? Ok, avete ragione voi. Ci siamo svegliati tardi con Salmo, ma questo non toglie che forse preferivamo dormire. Sognare un’ipotesi diversa: ossia che nel moderno star-system ci fosse ancora una spina, viva, in grado di dire no alla più plateale omologazione. E invece, in Italia, alla fine vince sempre Sanremo. Solo Fabri Fibra si chiederà se avrà fatto bene, ormai, ad aver rimbalzato tutte quelle proposte, puntuali e insistenti, di fare il giudice a un talent. Gué, per esempio, per restare nel perimetro di un mainstream che non rinuncia a ritagliarsi una posizione propria, è grosso modo dai tempi di “Mi fist” o “Penna capitale” che si è staccato da istanze che invece Salmo ha fatto proprie fino all’altro ieri. Come si presenterà quindi a Sanremo? Forse citerà i suoi stessi versi, direttamente da “Alex” (siamo sempre nel 2021), banger firmato da Gué e Harsh in cui facevano capolino questi versi: “C'è chi vende l'anima e fa prezzo pieno. Gli altri vissero infelici perché costa meno”. Boh, forse ha solo ragione lui e stasera ci metterà tutti a dormire.