Entra contento Stefano Massini, felice e indignato, l’anima tersa e ancora più pulita della piazza spazzata settimanalmente da Corrado Formigli, anche se “facciamo piazza pulita” evoca più le sventagliate di mitra, ma la pancia è quella, della gente, la civiltà della conversazione deve sublimare l’odio feroce, a destra, a sinistra, sopra e sotto. Entra contento e felice nello stesso meccanismo che lui denuncia in Mein Kampf, per sue stesse parole: “La copertina del mio libro vede un bambino dal volto accigliato in una posa hitleriana. Partendo da quella scelta, ho spiegato che nel “Mein Kampf” Hitler scrive che le masse vanno trattate come dei bambini a cui non devi far discorsi ma solo indicare dove è il bene e dove il male, dove il bello e il brutto. E poi ho cercato di raccontare come secondo me quel dogma hitleriano sia entrato nella cultura di tutte le parti politiche, con un processo di semplificazione”. Entra contento e felice e puro come un autore di “razza”, ohibò…
Nasce, scrive, viene strattonato. Stefano Massini scrive benissimo, lo leggo avidamente, sempre, ogni sua stilla di vocale, sì, va troppo a capo e gli regalerei tutte le mie virgole laddove potessi. Luca Ronconi, che proprio al Lingotto, luogo del botto, mise in scena “Gli ultimi giorni dell’umanità” dell’immenso Karl Kraus, gli dedicò la sua ultima regia, grazie a un testo soprendente e funanmbolico: “Lehman Trilogy”, storia dei Lehman, quelli dei “brothers”. Poi portato a Broadway, unico italiano vincitore di Tony Awards, otto. Dico otto. Meritati e strameritati. Date il Nobel a quest’uomo, non scherzo, se avessi voce in capitolo egli sarebbe il mio candidato. Così come esultai al Nobel di Dario Fo. Perché questa è il testo italico: teatro. Ed è per questo che il testo italico, e teatralico, è anche politico. Dal teatro viene, al teatro ritorna, con tutto il dovuto e il risaputo e l’ovvio e il giusto: il tarso, il metatarso e il catarso (è il catasto del catartico). Giacché noi non abbiamo mai avuto neanche la tradizione del “sociale”, in quello son bravi gli inglesi (e i Dickens e i Twain) e anche i francesi (e gli Hugo e i Dumas) e quando gli italiani copiarono, si sedettero, si sforzarono, ma venne fuori il melodramma. Stefano Massini è di un talento e di un mestiere iperbolico, egli è Il Teatro italiano, se posso dirlo e se qualche infimo valore può avere la mia opinione. Per questo ripeto: dategli il Nobel: noi non abbiamo “Letteratura”, la nostra “narrativa” si erge sopra il tinello di coloro che si dicon l’un altro autori, solo quando si incarna nel “Teatro”, e Massini è colui che più di tutti vi riesce.
Ha fottuto tutti, Stefano Massini, ha fottuto Roberto Saviano, ha fottuto Roberto Scurati, li ha proprio ingroppati di brutto, con foia e nitrendo, criniera al vento, mordendoli avido sul collo e innalzandosi (quasi, ovvio) alle vette di Salman Rushdie. Lo hanno tirato per la giacchetta, no lo hanno strattonato, no, aggressione aggressione! Il tessuto stropicciato, certo, non è l’occhio di riguardo che ha, armato di coltello addirittura, ha avuto il destino nei confronti di Salman Rushdie. Ma già dovere mandare la mantella in stireria si avvicina di più alle coltellate delle parole e delle querele e delle censure a parole dei più miseri e oramai dimenticati colleghi ex martiri mai strattonati (vergogna!).
Così, in quella piazza linda di Formigli il nuovo Cristo ha parlato dei suoi giorni intensi, del suo gomito offeso (e ci sovviene in mente altro teatro, Totò…) e di coloro che hanno detto: “Devi fare lo scrittore”. Noi, qui su MOW, lo abbiamo scritto, senza imperativi però (ché ognuno è giusto faccia quel che gli pare), che il Salone del Libro era un Salone senza libri ma con la politica. Era pieno di politica. Non potevi fare un passo che pestavi un po’ di politica (pestare la politica, dicono, porta fortuna). Quindi non sappiamo a chi, di preciso, si riferisse, il Massini, ma non sapendo di preciso ci par giusto precisare.
Massini e compagnia, a destra e a sinistra, di sopra e di sotto (non “a lato” poiché a lato ci stanno gli scrittori) dovrebbero capirlo, una volta per tutte (figurati), che racconto e scrittura son due cose diverse: non agli antipodi, ma agli estremi dell’intenzione per così dire. Narrazione e Letteratura sono vicini di casa, persino di scaffale, di cervello, a volte, ma sono due appartementi distinti: è un condominio sì, ma ci si saluta sul pianerottolo e via. Ed il teatro, nel quale Massini è più che maestro, è narrazione, non scrittura. Egli narra come pochi a questo mondo (leggetelo, è uno dei pochissimi italiani – ma non vorrei limitarmi all’Italia, per quanto riguarda il suo “racconto” - che ne valga la pena), ma, appunto, narra, come il Teatro è giusto che faccia.
Ma.
Scrittori e scriventi sono enti distinti, si prestano gli arnesi, sì, ma differiscono come morti e morenti. Gli scrittori sono morti che camminano, hanno – per così dire - un piede quivi e un piede livi, zoppicano in questo mondo perché combattono guerre metafisiche e la “storia” per loro è solo un minuscolo evento di “questo mondo”, come una pietra che rotola, un acquazzone, un terremoto, un asteroide che impatta la Terra, eventi senza importanza.
Gli scriventi, al contrario, hanno il pie’ lesto, si muovono agili nella “storia”, sono degli esaltati pazzi che cercano di impiccarsi alle loro stesse parole senza – per altro – riuscircivi: essi, alla “storia” ci tengono eccome. Anzi: non vedono l’ora di raccontarvela. Altro che strattoni: vi si avvinghiano al risvolto dei calzoni e vi addentano i polpacci per raccontarvi la loro “storia”. Tu scalci, li bastoni, ma loro lì, ti risalgono verso le ginocchia, muovono il bacino eccitati e raccontano. Essi sono scriventi, lo ripetiamo, non scrittori. Gli scriventi affabulano (meraviglioso lemma che spiega tutto d’emblée), sciolgono le lingue e partono verso nuove e strabilianti avventure. Gli scrittori, poveri loro, lottano con la materia, con Dio, con l’Ente, con l’Esser-ci, con la morte (per uno scrittore la morte per camera a gas e quella “naturale” non si differenziano di un rantolo). Gli scrittori hanno una e una sola domanda in testa: perché l’Essere e non il Nulla? Perché c’è la Materia? Di donde ridonda questa cosa dura?
Per Massini, invece, nella linda piazza leccata a lucido da Corrado Formigli, la scrittura sarebbe parlare di cose belle. Ahi! Del maggio e della primavera. Ahi! Delle ciliegie. Adesso anche basta. Bisogna reagire.
Non starò certo a dire che gli scriventi non si picchiano, perché io, fosse per me, cavalletto, collare, culla di giuda, gabbia sospesa, gogna forca e tutte le delizie della Santa Inquisizione userei: Ma.Sulla.Pagina. Anche perché, forse non te l’hanno mai spiegato, ma a picchiare uno scrivente non picchi mai l’Autore, neanche se lo meni proprio forte.
Così Massini, di cui sono ammiratore e fan, per quanto io scrittore e lui scrivente, per quanto io letterario e lui teatrale, mi ha dimostrato, con questa sua stramba teoria sul maggio (fiorentino) e scrittura che di quest’ultima non ne sa, non è il suo mestiere. Il suo mestiere è il teatro, nel quale è maestro. E lo invidiamo, lui che non combatte con i mostri della fisica teorica che ti fanno contorcere ogni giorno che Dio manda in terra e che potrebbero (incubo, quello sì) ripetersi eternamente ritornando nell’uguale in infiniti mondi paralleli perché è l’infinito, non un “governo” il problema degli scrittori. Per questo, come si diede a Dario Fo, come si diede a Luigi Pirandello, noi oggi sosteniamo che lo si dovrebbe dare, e presto, a Stefano Massini: poiché egli non sa “scrivere”.