Le favole, per essere tali, prevedono un lieto fine. A meno che non si voglia essere di quelli pignoli che sottolineano come nei fatti i fratelli Grimm fossero dei sadici intenti a raccontare di sbudellamenti e avvelenamenti e che Angela Carter non si è poi dovuta inventare chissà che. Mettiamola allora così, le favole che finiscono nei film animati di Dreamworld, Disney, Pixar o quel tipo di aziende lì, prevedono un lieto fine. Quel “e vissero tutti felici e contenti” che così tanto ci rassicura, perché è un canone, e i canoni stanno lì proprio per diventarci familiari e farci stare tranquilli, tutto nei binari, e perché sapere che alla fine tutto andrà bene è un ottimo modo per tenere a bada le ansie che già la vita di tutti i giorni ci getta addosso come acqua fresca se si è ciclisti intenti a scalare l’Izoard (sono a conoscenza che i ciclisti scalino l’Izoard, e quindi dell’esistenza dell’Izoard, perché da giovane ho ascoltato Fausto Coppi di Gino Paoli, lo dico a scanso di equivoci, non sono un ciclista, la fisiognomica parla chiaro, e non seguo sport nei quali non sia previsto lo scontro fisico volontario, e ho anche una certa cultura musicale che mi fa citare un brano minore di Gino Paoli, diciamolo). Dicevo delle favole e dei lieto fine. Proprio grazie a quella compagnia di giro della Pixar, Dreamwordl e affini, le favole hanno continuato a avere lieto fine, ma anche sequel. Anzi, più si è andati avanti negli anni, più si è ben pensato di lasciare lì, nel grande schermo (anche nel piccolo, ormai al cinema ci vanno davvero in pochi), finali aperti, un po’ come capita con le serie tv. Sei lì che stai guardando, che so, Il gatto con gli stivali 2, e il finale, che spesso capita dopo che sono partiti i titoli di coda, perché già i film animati ne prevedono almeno un paio, uno ufficiale e uno per gli spettatori più pazienti e avveduti, e la parola fine, metaforica, quasi più compare esattamente la parola fine, arriva su qualcosa che rimanda chiaramente a un prossimo episodio, a una puntata numero 3, nel caso del Gatto con gli stivali, sia chiaro, per non dire dei vari spin off, penso all’universo Marvel, che più che alle favole si rifà alla mitologia antica, e mi tocca prendere un OKI. Quindi sì, le favole, per essere tali, prevedono un lieto fine, ma lasciano anche aperta la porta a nuove avventure.
Ho fatto tardi, ieri sera. Ho fatto tardi perché sono andato in discoteca. Io non vado mai in discoteca. Credo che in vita mia ci sarò andato neanche una decina di volte, mai per mia scelta. Ieri ho fatto tardi perché sono andato in discoteca per mia scelta e sono andato in discoteca per mia scelta perché una favola, ora ci arrivo, è ripartita, dopo che un lieto fine, a dirla tutta, non c’era stato. Paola e Chiara si sono rimesse insieme. Quello che, rullo di tamburi, nello specifico, rullo di drum machine, magari, è stata la nostra più importante realtà di pop internazionale a cavallo tra fine del Novecento e inizio del nuovo millennio, generatrici automatiche di hit ancora oggi amate e replicate è tornata sulla scena. E per celebrarlo ha fatto un party in quel del Plastic, locale storico di Milano, molto amato dalla comunità LGBTQAI+, come del resto le nostre. So che dire che Paola e Chiara sono state la nostra più importante realtà di pop internazionale in quel periodo potrebbe indurre a pensare che io stia esagerando. In realtà, personalmente non ho mai smesso di seguire la carriera di Paola Iezzi, che del duo Paola e Chiara è la mora, inutile dirlo, sorella Iezzi più piccola di un anno della bionda, Chiara, appunto, in realtà penso di aver giocato al ribasso, e l’ho fatto perché mi piace spillare le carte, anche se non sono uso giocare, come del resto non sono uso partecipare a eventi mondani, ma il party di celebrazione di Paola e Chiara e della loro Furore, titolo del brano del ritorno sul palco che ventisei anni fa le ha lanciate, quello dell’Ariston di Sanremo, in gara alla settantatreesima edizione del Festival della Canzone Italiana dopo che proprio nel 1997 lo vinsero nella catetoria Emergenti con Amici come prima, quando sembravano un duo dedito alla musica irlandese, prima cioè di esplodere con la loro carica pop, di lì a breve, salvo poi tornarci ne 2005 con A modo mio, brano che finirà nel mirino del Moige, poi ci torno su, in qualche modo incrinando qualcosa di perfetto, il party di celebrazione di celebrazione di Paola e Chiara e della loro Furore non me lo sarei perso per niente al mondo, e infatti non me lo sono perso, fanculo la mia ritrosia a stare in mezzo alla gente.
Il fatto è che ritengo, l’ho già detto più volte, lo specifico chiaro e tondo ora, che Paola e Chiara non siano state la nostra più importante realtà di pop internazionale in quel periodo, la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, ma lo siano senza restrizioni temporali, e lo siano state anche nel decennio che corre tra il 2013 e oggi, lasso di tempo nel quale, ufficialmente e nella realtà dei fatti, Paola e Chiara, come realtà pop, non sono esistite più, distanti tra loro le sorelle e quindi le artiste. E lo credo, credo cioè che Paola e Chiara siano una parte importante della storia della nostra musica leggera, ripeto, lo dico da sempre, perché hanno provato con successo a mettersi in ballo, è il caso di usare questo termine, su un fronte che era quello del pop internazionale, con suoni, canzoni, estetica assolutamente di largo respiro, scrivendo hit che hanno resistito, è evidente, l’incedere del tempo, non fatemi tornare sul fatto che è chiaro come Tribale di Elodie sia una sorta di cover non dichiarata della loro Festival, nei suoni, nella struttura, anche nella melodia, oltre che nelle intenzioni, ma soprattutto ci sono riuscite facendo sostanzialmente tutto da sole, come una vera e propria azienda familiare. Sì, perché Paola e Chiara, ai tempi del loro esordio due ragazzine milanesi che si erano fatte le ossa come coriste di Max Pezzali, che ieri era presente al party, giustamente, e che è in qualche modo responsabile, Dio gliene renda gloria, di questa tanto attesa reunion, hanno iniziato a dar seguito alla loro visione, cioè a quello che ritenevano dovesse essere il loro percorso dentro la asfittica discografia italiana, una discografia, diciamolo a voce stentorea, che dopo aver conquistato il mondo negli 80s, di colpo ha cominciato a claudicare, perdendo proprio in visione, l’idea che il successo si potesse pianificare non perdendo di vista l’arte visto come una sorta di sogno irrealizzabile.
Così Paola e Chiara non hanno solo messo su un repertorio che, a distanza di una decina d’anni dallo scioglimento, il lieto fine che non c’è stato, ma soprattutto di una ventina, poco meno, del periodo per loro più aureo, sta perfettamente in piedi, Tribale docet, ma lo hanno fatto imponendo uno stile, le loro Vamos a Bailar, la già citata Festival, Viva el amor, Kamasutra se la sono giocata senza timori con le hit di popstar d’oltremanica e oltreoceano, sensualità e ritmo, attenzione alla melodia, quella che ti si pianta in testa, e all’originalità (quel guardare ai suoni di altre parti del mondo, dal sud America all’oriente, appunto), il tutto infiocchettato con un lavoro sull’immaginario e quindi sull’estetica che non aveva pari ai tempi, e, per molti anni, non avrà proprio seguito. Sì, perché proprio il grande successo ottenuto a Sanremo 2005 con A modo mio, che in gara si piazzerà male, eliminato al primo turno, salvo poi spopolare in radio e risultare il più trasmesso tra quelli passati dall’Ariston, trainando inizialmente il Greatest Hits che lo conteneva, segnerà in qualche modo il primo passo verso lo stallo. Il tutto a causa di un video che ancora oggi è a ragione considerato iconico, quello di Kamasutra, nel quale le nostre, giocando di sensualità come mai nessuno ai tempi, e mai nessuno probabilmente da quando su quel fronte giocavano le giovani Loredana Bertè e Patty Pravo, si mostravano senza veli (in realtà per pochi frame si vedono un paio di topless), fatto che farà andare su tutte le furie il già citato Moige, l’associazione dei genitori che ai tempi, sulle orme di Tipper Gore, volevano censurare qualsiasi cosa potesse non essere bigotto, con conseguente ritiro del lavoro dal mercato, il cd era accompagnato da un dvd che conteneva anche quel video, e ritorno con un adesivo che indicasse la presenza di contenuti espliciti.
Ora, diciamolo, ai tempi la rete c’era ma era altra cosa rispetto a adesso, non c’era Youtube né c’erano tutti i vari social, ma se da una parte quel video ha proiettato le due sorelle Iezzi nell’empireo delle popstar a la Madonna, dall’altro, fosse uscito ora, avrebbe avuto una viralizzazione tale che probabilmente sarebbero potute stare al passo con i Maneskin in giro per il mondo. Giro per il mondo dove comunque Paola e Chiara si sono mosse, le loro hit dell’epoca sono state hit anche in Sud America, chi ieri era al Plastic non ha potuto esimersi da muovere il piede su Vamos a Bailar (esta vida nueva), neanche se a rischio di essere riconosciuto, ma come il critico cattivo che balla una canzone pop? Comunque, tornando a noi e a noi oggi, Paola e Chiara sono tornate con una mina, a giorni la potrete ascoltare in gara al Festival, dal titolo Furore, nome quantomai sintomatico. Sono tornate coperte di paillette e con luci stroboscopiche sopra la testa, e già è evidente che saranno loro a farci ballare per tutta l’estate. Un ritorno che è quindi un nuovo inizio, nuovo inizio che si meritavano e ci meritavamo proprio per l’assenza di un lieto fine nel 2013, quando si sono momentaneamente lasciate, e che comunque non ci sarebbe dovuto stare. Il fatto che ancora oggi, prima cioè che Furore sia di tutti, siano considerate iconiche e seminali, uso un termine proprio della critica rock, la dice lunga su come la loro momentanea assenza sia stato un danno per la nostra discografia, seppur entrambe impegnate nelle loro singole carriere, Paola da cantautrice, sempre in chiave pop, Chiara più in quella da attrice, ma è al futuro che vien da guardare con ottimismo, pensando alla loro ritrovata presenza nel nostro show business, di colpo tutti a bussare alle loro porte, col calore di chi in fondo le ha sempre coccolate anche mentre non c’erano, specie la comunità LGBTQAI+, per la quale si sono sempre molto spese.
Vien da sperare, e lo dico cosciente di quel che dico, io che per anni ho dedicato parte del mio impegno professionale a studiare il femminile nella canzone e anche il corpo delle donne nella poetica e nell’immaginario del mondo musicale italiano, che il loro ritorno segni anche un nuovo importante contributo sul fronte estetico, se Kamasutra ha in qualche modo sancito per qualche tempo un autocensura rispetto alla rappresentazione del corpo della donna nel nostro show business, complice la quasi concomitante esplosione del filone olgettine-Corpo delle donne della Zanardo- movimento Se non ora quando, auspico che Furore e quel che ne seguirà possa riaprire un discorso lasciato sospeso e riaperto, va detto, proprio da quella generazione di cantanti che sono cresciute con le canzoni di Paola e Chiara, penso proprio a Elodie, per dire, o a Miss Keta, che non a caso con Paola ha collaborato a più riprese, loro a lungo osteggiate da un pubblico femminile che quasi mai è incline a guardare con favore, in Italia, alle popstar donne, anche quelle internazionali, ma che ora, dopo averle amate da bambine, non può che sostenerle e seguirle con amore.
Ieri, mentre ero al Platic, con mia moglie, ho pensato che le frasi con cui, scherzosamente, Diego Passoni le ha presentate al pubblico, dicendo che erano il motivo per cui molti dei presenti erano diventati gay, fosse ovviamente un gioco, ma che invece la loro presenza ha sicuramente contribuito a regalare un immaginario a tanti dei presenti, anche a un etero appassionato di hardcore e punk come me. Mica tutte son capace di compiere un miracolo così, ho concluso, mentre facevo una foto alla copertina di Furore, tutta paillette e strobo, proiettata sulla facciata del palazzo di fronte alla discoteca milanese, guadagnando la via di casa prima della mezzanotte, come una Cenerentola che però guida la macchina, al party ho incrociato vecchie conoscenze, dal già citato Max Pezzali, con la moglie Deborah, a Giusy Ferreri, Niccolò Fragile, che per ultimo ci aveva lavorato, a Giungla, prima dello scioglimento, e che dirigerà l’orchestra per loro a Sanremo, passando per due terzi dei Ministri, che con le sorelle condividono lo stylist Nick Cerioni, parte del team Varco di luce che ne cura il management insieme a Pietro Camonchia di Metatron, ma non ho potuto non notare anche Filippa Lagerback, Melita Toniolo, Luca Biachini, La Pina e tanti altri personaggi che animano il nostro mondo dello spettacolo, tutti accorsi a celebrare un doveroso ritorno. Perché questa è una favola che finalmente riparte, la favola di Paola e Chiara, le nostre popstar più popstar di sempre, unica risposta plausibile, perché a fronte della musica, della sensualità, dello stile c’è anche la testa, cosa rara in questo ambiente, a gente come Dua Lipa, Tove Lo (mica è un caso che Paola abbia passato parte degli ultimi anni a Stoccolma), Charli XCX. Bentornate, avevamo proprio bisogno di voi.
PS. Siete a capo delle mie squadre di Fantasanremo, e ho già espresso il mio tifo per voi, non fate scherzi.