Tommaso Graziani è figlio d’arte (il padre è Ivan Graziani), ma è anche un batterista dal carattere modesto (“Ho fatto cose buone, ma non eclatanti; non ho suonato con Vasco o Ligabue, ecco”) e baciato da quel piglio frizzante tipico dei romagnoli (“però, allo stesso tempo, so che non andrò mai in tour con Tananai”). In realtà Tommaso ha suonato con tanti nomi del pop-rock italiano, da Gianluca Grignani a Zucchero passando per Tricarico e Andrea Mingardi. Da quindici anni circa, insieme al fratello Filippo, porta in giro i brani del padre (“alcuni pezzi li abbiamo eseguiti più noi di lui”). Oggi, in attesa di fare alcune date con Sarah Jane Morris, si gode la pubblicazione di “Per gli amici” (Numero Uno/Sony Music), un album di inediti di Ivan Graziani che emerge a distanza di 30 anni dall’ultimo lavoro in studio ("Malelingue") del cantautore che ha firmato “Firenze”, “Lugano addio” e “Agnese”.
Come nasce questo progetto così intrigante?
Fra il 2018 e 2019 io e mio fratello abbiamo recuperato diversi nastri che da anni giravano per casa senza che ci prestassimo la giusta attenzione. Materiale risalente, grosso modo, alla metà degli anni ’80 (sono canzoni difficili da datare con esattezza, ma si tratta di brani composti fra il 1983 e il 1990) che mio padre aveva registrato prima di convertire il vecchio granaio proprio davanti alla nostra casa di Novafeltria (Rimini) in uno studio di registrazione casalingo. Questi nastri erano cassette Stereo8, e guardarci dentro è stato come recuperare dei filmini delle vacanze mai visti prima. Abbiamo scoperto alcuni pezzi fatti e finiti, altri incompleti, come delle bozze, degli appunti. Io e mio fratello Filippo abbiamo così deciso di salvarli dall’oblio (utilizzando anche macchinari piuttosto rari) ripulendo il suono e aggiungendo qualcosa che rendesse il tutto più fluido. Un’operazione non facile, dal punto di vista tecnico. Ma ne è valsa la pena.
Come siete intervenuti?
Le voci e i cantati di papà – come quasi tutte le chitarre – sono rimasti tali e quali, sebbene la qualità sonora non fosse sempre impeccabile. Abbiamo quindi deciso di occuparci di questo aspetto con puro spirito restauratore. Filippo ha curato gli arrangiamenti e ha mixato l’album; anch’io, ovviamente, ho dato il mio contributo alla batteria. Abbiamo cercato di completare ciò che papà aveva abbozzato rispettando il suo approccio alla canzone. Il disco è stato poi finito in uno studio qui vicino, il Numeri Recording Studio di Cristian Bonato.
Quale pensi, ancora oggi, sia la tangibile eredità artistica di tuo padre?
Credo che papà abbia ben rappresentato un tipo di cantautore non ordinario. Cantava, scriveva, ma suonava – e anche molto bene – la chitarra (che ha suonato, per esempio, in “La batteria, il contrabbasso, eccetera”, album del 1976 di Lucio Battisti). Non dimentichiamo che lui, artisticamente, nasce proprio chitarrista. È stato un cantautore rock, un menestrello rock, cosa rara in Italia. E poi aveva un modo molto particolare e preciso di raccontare le cose nelle sue canzoni. Le donne di cui parla – Isabella o Agnese – te le vedi davanti, perché i suoi pezzi erano brevi racconti che catturavano un momento, un pezzo di vita. I suoi brani erano pieni di storie e di personaggi, oltre che di strumenti e di suoni interessanti.
Ascoltava molta musica a casa?
Di dischi ne aveva, ricordo il giradischi e varie copertine. Purtroppo non ho vissuto tanto mio padre, è mancato quando avevo solo 22 anni e avrei voluto imparare molto di più da lui. Di certo era un beatlesiano. Ed è stato svezzato da quelli che oggi sono considerati classici del rock, i Led Zeppelin ad esempio. Credo che sia stato ispirato dalla musica che valeva la pena ascoltare.
Torniamo per un attimo all’ormai arcinota gaffe di Francesca Michielin, che a X Factor, rivolgendosi a Colapesce e Dimartino chiede loro come sia stato collaborare con tuo padre, scomparso ormai da 27 anni.
Mah, involontariamente questa cosa ci ha fatto molta pubblicità. Diciamo che alla fine ci ha fatto comodo (sorride, nda). Michielin ha il diritto, come persona, di non sapere chi fosse mio padre. Come conduttrice, forse, avrebbe dovuto essere informata o adeguatamente preparata. Ma non è successo nulla di grave, siamo seri. Mi è spiaciuto, per dire, che Morgan, il giorno seguente, abbia bacchettato Michielin.
Pensi mai che artista sarebbe oggi tuo padre?
A volte mi chiedo come avrebbe vissuto questo momento storico sovrabbondante di musica che tende a sfuggire via, a non lasciare segni indelebili. L’ultimo cd che gli regalai fu “Under the table and dreaming” della Dave Matthews Band. Lo ascoltammo insieme, in studio, prima di andare insieme in tour, e gli piacque molto.