Diciamo che L’italiano di Toto Cutugno non rischia di essere spodestato. Quell’inno identitario dal sapore nazionalpopolare forse non unì in un unico abbraccio proprio tutta tutta la nazione, ma la radiografia di “chi eravamo in quel momento” (1983) fu ampiamente azzeccata. Solo un quinto posto al Festival di Sanremo di quell’anno, ma il successo esplose dopo. Radio, servizi tv, concerti. Film, addirittura, visto che divenne il tema di “Al bar dello sport” con Lino Banfi e Jerry Calà. Ecco, L’italiano non trema se il competitor dell’anno 2024 si intitola “Tricolore” ed esce per mano di Pupo & Il Cile. La prima differenza tra le due canzoni è che “Tricolore” a Sanremo non ci andrà. La mannaia di Amadeus ha colpito impietosa. Pezzo scartato, addio Festival. Ma è un male?
L’idea di fondo non sarebbe neppure da buttare. Da quanti anni l’Italia – o buona parte dello Stivale – non canta in coro un inno identitario? Domanda naif, dal momento che l’identità di questo paese è sempre stato un problemino cultural-politico di quelli insidiosi. Domanda naif una seconda volta dal momento in cui l’Europa di oggi è un crocevia di etnie e culture che sfida il concetto medesimo di identità, soprattutto se questo è figlio di un periodo storico in cui era ancora possibile individuare “il dna di un popolo o di una nazione”. Ma tiriamo corto, Pupo & Il Cile la fanno più facile. Prodotto da Andrea “Boom.Bo” Palumbo, Tricolore parte con Pupo che flexa come un boss: “Sono nato attaccante, altro che resiliente. Ho una storia alle spalle perché ho avuto le palle”. Electro-pop brioso, tutto scalpitante, ma il ritornello suona più vecchio del pezzo di Cutugno di 41 anni prima: “Io sono un italiano che parla ad alta voce. Mi basta una chitarra e il segno della croce”. Sul serio?
Per qualche secondo il brano svetta grazie a una voce campionata che recita l’Agnus Dei, ma poi tutto torna nel reame del blando e del generico, fatta eccezione per il verso in cui Il Cile si qualifica come “un cisgender depresso”. “Io sono un italiano come la scorta di Saviano” (!?) è un’altra trovata che, al di là della rima baciata, siede scomoda in mezzo a versi indecisi se tratteggiare un italiano d’antan o un nuovo italiano digitale (“poeti santi ed eroi, navigatori di siti for girls and boys”). Il tutto scorre via senza farsi ricordare ed è questo il delitto, perché stiamo parlando di una canzone che vorrebbe essere un inno. Ora sta ai brani in gara al Festival confessare la definitiva verità su Tricolore, che potrebbe essere d’incanto riabilitato se il livello medio di Sanremo 2024 fosse davvero discutibile (cosa peraltro non da escludere a priori). Non fosse così, a Pupo & Il Cile non restano che le radio. O aprire i commenti sotto il video pubblicato sul canale YouTube di EnzoGhinazziPupo: lì ci si potrebbe divertire.