I Negramaro ricominciano tutto, e ricominciano tutto da Sanremo. Ecco, una partenza più banale di questa non la si potrebbe trovare. Perché Ricominciamo tutto è il titolo del brano che presenteranno tra un paio di settimane sul palco dell’Ariston, palco che in qualche modo li ha tenuti malamente a battesimo nel 2005, poi ci torno, e perché in fondo la loro storia musicale e non è sempre stata fatta di nuovi inizi. Nuovi inizi, ci ha tenuto a sottolinearlo Giuliano Sangiorgi nell’incontro fatto oggi con la stampa nella sede della loro casa discografica, la Sugar di Caterina Caselli, che prevedono ogni volta un azzeramento, una pulizia di tutte quelle asperità che la vita ci regala quotidianamente. Ogni giorno una nuova persona, questo ha detto che vorrebbe essere, con una nuova possibilità. Ma andiamo con ordine, sempre che sia possibile farlo evitando i virgolettati, ognuno ha le sue idiosincrasie (parola che per altro ho imparato, giovane, proprio seguendo il Festival, inserita da Fabrizio Berlincioni nel testo di E quel giorno non mi perderai più, per dire), una delle mie è verso i virgolettati, appunto. Sempre che sia sensato farlo, più che altro, visto che stiamo parlando di qualcosa che voi non avete ancora avuto modo di ascoltare, la canzone che i Negramaro presenteranno al Festival, e che io ho definito, con cosciente responsabilità, un capolavoro. Una canzone che parla appunto di ricominciare, e parla di errori, quelli di cui sono costellate le vite di tutti quanti. Errori, ha detto Giuliano (durante l’incontro con la stampa ha giocoforza parlato quasi sempre lui, che non a caso dei sei è la voce), che nel brano si pretende di poter imparare a fare, rovesciando in qualche modo quel vecchio modo di dire: fare bagaglio dei propri errori. Una canzone, il capolavoro di cui sopra, che è stata scritta in Abruzzo, vicino alla mia terra, le Marche, poi arrivo anche su questo, in montagna, un giorno che intorno era tutta neve, tutto bianco, e di fronte a lui, a Giuliano è apparso quello che lui definisce l’immagine più bella: la sua compagna e la loro piccola bambina, Ilaria e Stella. Bambina nata in un periodo tosto, la pandemia, quando tutti eravamo categoricamente diffidenti e quando questa diffidenza era data ormai per scontata. Le mascherine, le distanze, qualcosa che siamo miracolosamente stati capaci di lasciarci alle spalle. E tornando a quella immagine, nata nei monti abruzzesi in un giorno di neve, quell’immagine poi divenuta canzone è via via diventata un’immagine più potente tra le mani e i cuori degli altri cinque Negramaro, e poi lo è diventata ancora di più sotto le cure di Davide Rossi, chiamato a lavorare con la band salentina agli archi. Non oso immaginare cosa ne sarà con l’orchestra sinfonica di Sanremo. Un piccolo miracolo, questo credo di poter dire senza paura di smentita, una canzone che azzera le distanze tra corde e cuore: le corde del pianoforte e delle chitarre su cui le note sono state scritte e quelle dei cuori di chi la interpreta, prima, e di chi la ascolta poi. Una canzone che usa tutte quelle caratteristiche un tempo erano proprie della forma canzone, l’armonia, per partire, e di lì la melodia, la dinamica, ovviamente anche il ritmo, pur rientrando di diritto nel novero delle ballad, una perfetta ballad alla Negramaro. Tanto bella da potersi permettere di citare La canzone del sole, parte integrante di un passaggio del racconto. Perché quando Giuliano scrive racconta, si sa, non solo senza sfigurare, ma andandoci a dialogare alla pari.
Nel parlarne, nel parlarcene, si capisce come questa seconda esperienza sanremese, la prima, nel 2005, fu per certi versi tragica o tragicomica, passati a tarda notte, come sempre capitava ai giovani allora, Giuliano più volte ha sottolineato come un tempo i giovani cantassero alle due, anche su questo tornerò. Ci furono subito problemi tecnici, al punto che il brano venne fatto eseguire una seconda volta, ma arrivò altrettanto velocemente l’eliminazione. Era il 2005, vinse il Festival Francesco Renga con Angelo, e chi vi scrive, sia messo agli atti, è appunto l’angelo del video in questione, guardare per credere, e tutti, ma proprio tutti capimmo che quei sei ragazzi così scalmanati, parole loro, avrebbero fatto molta strada. Strada che in effetti hanno iniziato a fare subito dopo essere eliminati, andando a vincere il Premio della Critica, la canzone che presentavano è Mentre tutto scorre, ormai un classico che, ci ha raccontato sempre Giuliano, inizialmente era stata affidata a Mina. Anzi ci è stato chiesto di fare un appello alla Caselli perché faccia ascoltare quella prima preziosa versione ai ragazzi della band, da sempre tenuti all’oscuro a riguardo probabilmente per non ferirne l’amor proprio, hanno scherzato. Poi, vinto il Premio della Critica, andando a sbancare in classifica, quella di vendita e quella delle radio, andando a lavorare con il compianto regista Alessandro D’Alatri alla colonna sonora del film La febbre, premiato coi Nastri d’Argento, e soprattutto andando a dar vita a una carriera talmente fitta di successi e soddisfazioni che difficilmente riusciremmo a riassumerla qui, seppur io sia solito scrivere pezzi piuttosto lunghi. Una esperienza che si pensava non sarebbe più stata replicata, perché quella eliminazione sulle prime fu uno shock, ma che oggi, col Festival che sotto le cure di Amadeus ha definitivamente cambiato pelle, sembra quantomai naturale. Anche perché, questo è stato sottolineato perentoriamente, questo è un ritorno che viene vissuto sì con le solite ansie del caso, ma senza quella pressione che andare col solo scopo di vincere comporta. La speranza, ha detto Giuliano, è quella che vinca un diciannovenne, corrispettivo odierno di quel che i Negramaro erano allora, quando suonarono alle due di notte e in quel modo. Nel parlare delle nuove generazioni, certo non mancando di sottolineare come oggi si tenda un po’ troppo a polarizzarsi, il pollice in su o pollice verso vissuto da tutti, o almeno da molti, come definitivo, le carriere, questo lo ha sottolineato Andro, l’uomo delle macchine e delle tastiere. Le carriere spesso progettate quando già sono in essere, a volte quindi anche buttate via, Giuliano si è unito al discorso chiedendo alla stampa di essere meno tranchant nel giudicare i giovani, dando loro quella possibilità che spesso è già costretta a muoversi in spazi angusti.
Aver speso la parola capolavoro nel parlare di Ricominciamo tutto, lo so, mi sono preso una grossa responsabilità, proprio perché in un’epoca così polarizzata come questo si tende in genere a parlare di talenti e di miracoli ho sempre pensato che toccasse fare un metaforico passo indietro, provando a volare il più basso possibile. Per questo, non solo per questo ma anche per questo, indicare come capolavoro un brano significa dargli un peso, parlo per quel che concerne il mio essere un critico musicale, decisamente importante. Ma se pur io sia stato parco nei giudizi di un po’ tutti, considerando ingeneroso l’esprimere giudizi troppo radicali vista la condizione poco agevole delle canzoni sanremesi, trenta ascolti in poco più di due ore, tutti filati e con poco tempo per analizzarli, una bella canzone la si riconosce anche in mezzo al caos, perché ti spettina e ti scalda il cuore, e questo è quello che Ricominciamo tutto sa fare, grazie al cuore e al talento dei Negramaro. Cuore e talento, e torno a parlare della mia terra, tanto cara a Giuliano e soci da averci allestito l’ultimo tour, che a suo modo è entrata in una sciocca polemica in occasione di Italia Loves Romagna, concerto benefico per raccogliere fondi per quella terra colpita dall’alluvione nel 2023. Salito sul palco di Campovolo, infatti, Giuliano ha voluto ricordare anche le Marche, regione a sua volta colpita da quel disastro dovuto ai cambiamenti climatici. Un gesto di vicinanza a un’altra terra ferita, che però è stato oggetto di polemiche, come se ci fosse una qualche gerarchia di dolori e danni, e se mettere una buona parola per altri dolori fosse in qualche modo un problema. Grande Giuliano, e grazie da parte di tutti i marchigiani, anche quelli che quella terra hanno dovuto abbandonare, come me. Tornando a Sanremo, c’ero nel 2005, quando la loro fugace comparsa su quel palco, alle due di notte, appunto, diede il via a una carriera che in Italia, parlo di band, ha forse nei soli Pooh un precedente plausibile, pur con tutte le differenze del caso. Ci sarò anche quest’anno, ben felice di vederli tornare, come rasserenati rispetto a un contesto che pur avendone sancito una frettolosa eliminazione ha comunque portato loro tanta fortuna. Quanto al suonare alle due, mi sono sentito in dovere di farlo notare ai ragazzi, con trenta brani in gara potrebbe benissimo ricapitare anche quest’anno. Come direbbero Adami e Simoni sulle musiche di Puccini, Nessun dorma, e almeno stavolta non ci sarà alcun rischio eliminazione, solo la certezza che l’album che verrà inciso agli Studi Hansa di Berlino dopo la fine del Festival, nei medesimi luoghi dove si sono mossi prima David Bowie e Lou Reed, capitanati da Brian Eno, poi, sempre con Brian Eno, gli U2 di Achtung Baby, non a caso indicato da Giuliano come l’album che ha segnato il passo della sua generazione. L’idea di incidere l’album è nata anche lì da un viaggio, tutti i lavori della band sembrano ruotare intorno ai viaggi, un viaggio fatto in Germania, dove appena arrivato, sempre con famiglia accanto, è nata una canzone che di quel lavoro sarà altro cuore, e i concerti che la band andrà a fare negli stadi, l’estate prossima: saranno l’ennesimo successo di un gruppo di artisti che dimostra come le band non siano la somma dei singoli elementi, ma semmai la moltiplicazione dei loro talenti.