Le Dame del Faubourg (21lettere editore) è il primo libro di una trilogia che ha venduto in Francia più di un milione di copie. Il romanzo è ambientato nel Faubourg Saint-Antoine – uno dei più antichi e importanti sobborghi di Parigi – dove l’autore Jean Diwo è nato. Protagonista è la famiglia Cottion-Thirion, falegnami del Faubourg che renderanno il mobile francese rinomato in tutto il mondo. Una saga familiare che si snoda nei secoli, un viaggio nel tempo che inizia nel 1471 nella Francia di Luigi XI e si conclude con la presa della Bastiglia. Grazie all’accurato lavoro di ricerca e ricostruzione dell’autore, il lettore scopre scene di vita quotidiana della Francia rinascimentale, i rapporti tra politica e clero, le difficoltà del popolo, le simpatie e le antipatie fra nobili, le usanze, le credenze, le discriminazioni. Le Dame del Faubourg è la grande storia della Francia raccontata attraverso la più piccola - ma non meno avvincente - storia degli ebanisti del Faubourg Saint-Antoine. Lungo le pagine si incontrano personaggi familiari, re, nobili e intellettuali, da Luigi XI a Luigi XIV, Caterina De Medici, Colbert e Voltaire; grandi artisti come Gianbologna, Vasari e Pinturicchio; ma anche personaggi dal sapore più quotidiano come artigiani, borghesi, militari, operai e rivoluzionari. Con la sua opera, Jean Diwo celebra soprattutto le grandi donne che con le loro scelte e le loro azioni mettono in moto la trama. Dalle Badesse dell’Abbazia di Saint-Antoine, le vere dame del Faubourg, alle artiste, le imprenditrici, le mamme, le mogli e le figlie, ad ogni snodo della grande storia de le Dame sono le donne a prendere le decisioni e le responsabilità più importanti. Un grande romanzo storico che prosegue la tradizione di Dumas e Victor Hugo. Dettagliato e avvincente, un libro che si legge tutto d’un fiato grazie allo stile vivace e diretto dell’autore.
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Jean pensava che la Parigi di Luigi XI fosse una città allegra e crudele al tempo stesso. Il re era sulla bocca di tutti: col suo farsetto di fustagno e il suo vecchio berretto, che si diceva puzzasse di grasso, appariva un “brav’uomo” agli occhi del suo popolo. Gli piaceva chiacchierare coi suoi sudditi, approfittare degli incontri casuali per rendersi conto del modo in cui la sua politica veniva valutata e constatare di persona se le sue ordinanze venivano rispettate. Talvolta si autoinvitava persino a cena a casa di qualche borghese. Così, il 22 settembre, di ritorno da un pellegrinaggio a Saint-Antoine-des-Champs, si fermò dal suo panettiere, Denis Hesselin, nei pressi della Bastiglia. Il giorno seguente, la notizia fece il giro del quartiere. Le comari commentarono il menù che fu servito al re dopo il bagno che il suo ospite, secondo l’usanza, gli aveva fatto preparare. Tali buone maniere, tutte politiche, nascondevano un’insensibilità piuttosto mostruosa che, bisognava ammetterlo, derivava tanto dalle consuetudini dell’epoca quanto dalla cattiveria del monarca: la folla si crogiolava in un sadismo abitudinario e assisteva volentieri alle esecuzioni e ai pubblici supplizi, considerati spettacoli divertenti. Jean Cottion, invece, non era affatto tentato di andare a vedere un poveretto messo alla gogna o un condannato bruciare sulla piazza del mercato dei maiali. Tuttavia, una domenica si recò al famoso patibolo di Montfaucon, che si ergeva da più di due secoli con le sue sedici colonne di pietra e dalle cui travi penzolavano inquietanti “brillocchi”. Un altro giorno, Paul lo portò al cimitero degli Innocenti a vedere le celle di pietra all’interno delle quali alcuni devoti si facevano volontariamente murare. Il becchino di turno, compiaciuto, raccontò loro che nel 1442 una donna di nome Jeanne La Vadrière aveva fatto costruire una cella per farvisi segregare. Dopo aver pronunciato un sermone, il vescovo di Parigi l’aveva rinchiusa di persona e dei muratori avevano cementato la porta lasciando una piccola finestra per far passare l’aria e un po’ di viveri. La folle di Dio era così rimasta per due anni a macerare nei propri escrementi prima di rendere l’anima. Alcuni mesi più tardi, una notizia filò come il pallino di un archibugio da Vincennes a porta Saint-Antoine: il re aveva appena firmato un’ordinanza che riconosceva ad Arti e Mestieri il diritto di gestirsi liberamente sotto il controllo della badessa. In altri termini, l’enclave e le terre appartenenti all’Abbazia di Saint-Antoine divenivano territori di lavoro libero per chi operava nelle professioni utili alla manutenzione del convento. La lettera patente riguardava in particolar modo i carpentieri e i falegnami, gente “di grande e di piccola ascia”, che avrebbero così potuto erigere le proprie botteghe vicino ai cantieri di Bercy, luogo in cui da due secoli arrivava il legname destinato alla costruzione di case e mobili. Fatto fondamentale: passando sotto la giurisdizione della badessa, dotata dei poteri di alta e bassa giustizia, i lavoratori di Saint-Antoine avrebbero cessato di essere in balìa delle corporazioni parigine e delle loro regole rigide e restrittive. Ora sarebbe bastato loro essere riconosciuti dalla badessa e impegnarsi a fornire prodotti onesti, in legno di buona qualità e ben seccato e solidamente assemblati; ma questo gli aristocratici delle professioni manuali, come si consideravano coloro che lavoravano il legno, lo davano per scontato. Luigi XI aveva firmato l’atto di nascita del faubourg di Saint-Antoine, patria del mobile, reame del legno, Stato sovrano della sega e della pialla.