Questo libro dell’improbabile. Alberto Pellegatta, dopo otto anni da Ipotesi di felicità (Mondadori), torna con una silloge pubblicata nella nuova collana di poesia di Guanda, diretta da Mario Santagostini. Piccola estate racconta tutto ciò che si riflette nel vetro della clessidra, dalla parte ormai senza sabbia, nel pomeriggio delle cose. È una sorta di “lirica debole”, alla maniera del pensiero debole di Gianni Vattimo, e cioè un tentativo di rifondare la lirica senza assoluti. È vero, Pellegatta appartiene, in un certo senso, alla scuola milanese, in cui prosa e poesia si accordano lungo un ritmo urbano. Eppure la poetica di Pellegatta sembra fare affidamento piuttosto sui colori di pietra della città che lo ha adottato, Barcellona, terrosa, marina, alcolica, ricca, studentesca, folcloristica. Cos’è questa “piccola estate”? una marea di ricordi, anzi, una risacca. Il modo in cui la vita arretra e lascia spazio alla vita ancora da vivere, a originali corrispondences. Pellegatta dimostra di essere protagonista di quella resistenza solitaria che è la poesia.

La Piccola estate di Pellegatta è un capolavoro di hiit, di allenamento ad altissima intensità intellettuale, ma non cede mai al “culturismo” della ragione, non si dimentica del cuore, degli occhi, dei desideri, della debolezza umana. Tra Garcia Lorca e Luciano Erba, Pellegatta sembra aver corretto le bozze di un lavoro inedito di Ashbery, se Ashbery si fosse goduto una bella vacanza tra El Born e Milano. Torna la tecnica del montaggio, una stratificazione leggera, un lavoro di punta, che intesse trame dalla calligrafia raffinatissima. In Italia è forse troppo presto per una poesia così, che è stata non a caso intercettata da un maestro lungimirante come Santagostini. Ma all’estero qualche altra voce, per altro portata in Italia proprio da Pellegatta, inizia a delineare all’orizzonte quel che potrebbe essere una “piccola repubblica dei poeti”, un’enclave nel panorama nazionalpopolare della poesia. Ella Frears, Jack Underwood, Alberto Pellegatta. È in questa galleria d’arte che vale la pena di immergersi, per tenersi alla larga dall’erudizione modaiola così come da quello che un utente su Facebook una volta definì sotto a un mio post “lirismo senz’ali”. Invece alla lirica le ali servono, come quelle di un gabbiano in una piccola estate.
LA GIURISDIZIONE AMOROSA
Sei andato via senza lasciarmi
e questo causa pianto
ma la causa ci consola
tanto è lieve. La mia gioia
sei tu davanti, per te mi limo le unghie.
Chi sei tu? Quello che mi piace, tutto qui.
Hai solo alzato gli occhi e l’acqua
fredda si è scaldata sui tuoi lombi.
Piangevi ma non era per me.
Sei così bello, le dita nei capelli,
e io così dolorante, che anche questa poesia
è attraversata dai tuoi cani – ma a te chi ti trattiene?
Vederti nudo deve essere come appoggiarsi.
Vederti caldo al buio. Baciarti
è usare le labbra per parlare sotto la doccia.
***
GLI INTERMEDIARI
È appena successo, ho ancora i capelli bagnati
e tutti i verbi di sorpresa fuori uso.
Salite, c’è l’aria condizionata.
Bocca che desidera, petto che le ribatte.
Dirvi di no, sentire
le brunette che girano le lingue.
Vista dall’alto è incompleta
per sconfinato dondolamento
fermarsi prima della melodia
scendere un’altra volta dal cielo.
***
CANZONE
I platani più feroci ricalcati a penna
il rosso degli errori
i ventilatori.
Le foglie diventate gonne
i rami gomiti
un’amicizia tra animali.
Il punto è ciò che manca, sottratto
e non esplicito generatore di forme
cervello distribuito in grilli
che inietta acque reflue
nei tuoi aggettivi intonati.
Parola che sei nei cieli pericolante
moltiplichi i pesci strizzando gli occhi.
