Dicono, quelli della quarta di copertina, che Alessandro Baricco abbia fatto con la musica classica ciò che aveva già fatto con la sociologia, la massmediologia, la filosofia e la teoria letteraria (e cioè con Barnum, The Game e Le vie della narrazione). Si può dire, e in effetti lo hanno detto, ma forse non è esattamente così. Se gli altri libri erano il punto di vista di uno scrittore su una materia che non gli pertiene, questi sono il punto di vista di Baricco sulla sua materia, quella che più di ogni altre, e forse pure della letteratura, lo ha esaltato, fino al punto da “costringerlo”, ai tempi dell’università, a laurearsi sì in filosofia, ma in Estetica, mentre prendeva un diploma al conservatorio in pianoforte. E basterebbe ricordare altri suoi impegni nell’ambito musicale, da La grande fuga (dedicato a Gioachino Rossini) a L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, per capire quanto Baricco, che nel 2024 ha anche ricevuto una laurea ad honorem in comunicazione, critica e analisi musicale dal Conservatorio di Como, non solo ne sappia, di musica, ma ne sappia parlare. Per me vale sempre la solita e unica legge. Ogni volta che esce un libro di Baricco quel libro sarà il migliore dell’anno. Anche quando un libro, come questa Breve storia eretica della musica classica (Feltrinelli, 2025), il migliore non è. Ma è una questione di coerenza. Alessandro Baricco è il più grande italiano vivente, come mi chiese una volta Camillo Langone, perché ha fatto del successo una componente della scrittura, che è sempre votata a quella comunicazione che in qualche modo pare segnare un’epoca della cultura italiana. Quell’epoca che va, variamente, da Baricco a Benni, da Bollani a Paolini, dal libro al teatro alla musica. Forse resta fuori il cinema, che tentò lo slanciò con il primo Neri Marcorè, una sorta di Woody Allen d’Italia, ma meno comico e meno ebreo (nel senso che si dà a questo termine, quando si parla di arte e letteratura, in Usa).

Allora il libro, una storia eretica, che poi eretica non è. Semplicemente è una storia da surfisti, che lavora in superficie, come ha sempre dichiarato di fare e preferire Baricco (una volta, chiaramente, lo espresse durante un dibattito con la ben più austera Paola Mastrocola). Si parte da quel “terremoto matematico” che fu la scoperta della musica da parte di Pitagora, una sintesi infelice e imprecisa per dirvi che la musica nasce da una dissonanza tra un Do e un Sol, o da una frazione all'altra di una corda tesa e fatta risuonare, quando, per dirla con Baricco, Dio se ne va senza avvertire. E poi la Prima musica, un tentativo di governare l’ingovernabilità, e poi Giovanni Pierluigi da Palestrina, il Pelè della musica classica, che riuscì proprio nell’intento di gestire qualsiasi pallone difficile qualsiasi scherzo della musica: “Non si era previsto un simile dominio, quasi definitivo, sulle possibilità della polifonia, e quello che sconcertava era come tanta scienza riuscisse simultaneamente a spalancare le possibilità dell’umano e a dargli una misura, dei limiti, un galateo.” E infine il Big Bang, tutto ciò che dava un senso al lungo allenamento di Dio svolto fino a quel momento: “Nel 1714, un editore olandese pubblicò, postumi, i 12 Concerti Grossi op. 6 di Arcangelo Corelli. Otto anni dopo, nel 1722, Jean-Philippe Rameau diede alle stampe, a Parigi, il suo Trattato di Armonia. Nello stesso anno Johann Sebastian Bach rese pubblico il primo volume del Clavicembalo ben Temperato. Otto anni. Ai tempi della Prima Musica, poco più che un battito di ciglia.” E tutta la potenza ordinatrice, della “morbida violenza che il temperato equabile portava nel rapporto con la natura e con la terra”.

Cos’è la Musica classica, se confrontata con la Prima Musica, la musica del disordine, e se la guardiamo attraverso lo specchio, fantastico e distorto come quello di Alice, della sua storia? “La Musica Classica fondò su quel diritto [il diritto di proprietà dei suoni, ndr] la sua ambizione a fare del mondo un giardino.” Eppure è una storia breve, il tempo che quel giardino venisse inondato dal calpestio disordinato e patetico del Romanticismo. “Dunque appare come un incantesimo arrestato, tutta quella musica, la Musica Classica, un attimo di grazia durato un secolo, giusto venato di qualche nervatura nostalgica e illuminato da piccoli lampi di bizzarria”, prosegue Baricco. Allora cos’è che la resa grande, permanente? Baricco lo spiega così: “Mentre declinava eleganza, la Musica Classica, senza troppo dare nell’occhio, portò a termine un ribaltamento che, al contrario, non aveva nulla di etereo e si mostrava piuttosto come una mossa puramente muscolare – qualcosa di affine a sbancare una collina e ridisegnare, con le ruspe, un paesaggio”. E infine: “La mossa che sdraiò il mondo – per così dire”. Be’, a uno come Baricco vale la pena di credere.
