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Chili di cocaina, ketamina, alcool e tanta, tantissima rabbia: Charlie Sheen si racconta su Netflix e non chiede scusa a nessuno

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

18 settembre 2025

Chili di cocaina, ketamina, alcool e tanta, tantissima rabbia: Charlie Sheen si racconta su Netflix e non chiede scusa a nessuno
Ha fatto di tutto e non chiede scusa per niente. E tanto meno deve chiedere scusa a noi. Charlie Sheen ha avuto un’infanzia da Bret Easton Ellis, con genitori nudisti e amici come Sean Penn e George Clooney. Poi è cresciuto, ed è diventato peggio di un personaggio di un film. Ora si racconta, a sessant’anni esatti, in una serie in due episodi su Netflix, “Aka Charlie Sheen”. Ed è un ottimo modo per ricordarci che non dovremmo fare la morale a nessuno

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Per il The Guardian il problema è che non si è pentito, almeno pubblicamente, per ciò che ha fatto. Il documentario si apre con un aneddoto. Charlie Sheen racconta di essere entrato nella cabina di pilotaggio di un aereo di linea e, completamente ubriaco, per qualche secondo di aver guidato l’aereo tra le nuvole (anche quelle nella sua testa). Ha fatto la foto con il capitano, un suo fan, ha indossato la sua giacca, il suo cappello, ha preso il suo posto. E viene subito da domandarsi come possa, uno così, chiedere una scusa una persona del genere. Un uomo che, tra le colpe del padre, forse, e le colpe del successo, non ha mai negato nessuna delle sue, di colpe. 

Charlie Sheen a bordo dell'aereo che ha pilotato
Charlie Sheen a bordo dell'aereo che ha pilotato

È questa sua plateale non curanza per ciò che ha fatto, per i chili di cocaina, per la ketamina, per la dipendenza da alcool durata fino a sette anni fa, per le copertine di People, i toni accessi, i comportamenti controversi, i super compensi ai tempi di Due uomini e mezzo e così via… che Charlie Sheen, in Aka Charlie Sheen, la serie in due episodi su Netflix, non chiede scusa. La sua vita è un’enorme evidenza e ammissione di colpevolezza, come a dire, son qui. In un tribunale alla giuria basterebbe guardarlo in faccia e, alla destra o sinistra delle sue spalle, vedrebbe anche che non c’è nessuno a difenderlo, che Sheen non ne ha mai avuto bisogno.

Charlie Sheen in "Aka Charlie Sheen"
Charlie Sheen in "Aka Charlie Sheen"

Aka Sheen si inserisce bene in un filone, lo stesso di Mr. McMahon e Untold: The Liver King, serie che non puntano al facile moralismo, completamente scevre da quella patina a metà tra Alfonso Signorini e club degli alcolisti anonimi a cui ci hanno abituati i pentiti in cerca di riabilitazione. Sheen, a sessanta anni esatti, non cerca più l’approvazione di nessuno né punta a ottenere una seconda chance in un mondo che ha già ampiamente sfruttato, nel bene e nel male. Sa chi è, cosa ha fatto, e sa anche cosa farà d’ora in poi. Cercherà di restare sobrio, quello sì. Ma senza bisogno di fingere di essere una persona che non è. Quando Sheen fece il provino per Platoon, Oliver Stone gli disse che era “troppo educato”. Troppo educato. L’uomo che lancia per rabbia le sedie in piscina. Troppo educato per cosa? Per interpretare un soldato in Vietnam? Poi Stone ha deciso di abbandonarli nella giungla, a mo’ di addestramento. Qualcuno si è infilzato un dito, qualcuno un piede, “abbiamo urlato per chiamare medicini”.

Charlie Sheen in "Platoon"
Charlie Sheen in "Platoon"

Poi l’infanzia à la Bret Easton Ellis a Malibu, i genitori nudisti, almeno per qualche tempo quando aveva cinque anni, i film girati da quando aveva sei anni insieme a Sean Penn e George Clooney, suoi amici di infanzia. E poi la cocaina a bordo di un aereo, mentre Nicholas Cage urlava all’altoparlante. Charlie Sheen è stato tutto questo con coerenza assoluta. La sua fama, figlia della logica di quegli anni, ricchezza, droga, alcool, la verginità persa con una prostituta pagata con la carta del padre. Tutto ciò che potete immaginare, lo ha fatto. E non deve chiedere scusa. 

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