Si chiama #backwardsbooks, con l’hashtag (perché ormai sono tutti pazzi) ed è la nuovissima tendenza: mettere i libri, nelle librerie, al contrario; dalla parte delle pagine e non del dorso, fantasmi di titoli di cui restano soltanto come i fantasmi. Ne parla persino Architectural Digest, quindi la cosa deve essere molto seria, anche se AD dice che molte “celebrities” espongono sui social questa maniera di posizionare i libri ma poi mettono soltanto foto di persone sconosciute e per nulla celebri. Ma comunque. Io sono d’accordo: i libri servono oramai soltanto per riempire le librerie che i designer di mobili continuano a disegnare, ancora per poco (mi auguro per loro), probabilmente devono smaltire l’invenduto, e mettere i libri al contrario (che li rende praticamente inutilizzabili) dovrebbe essere il passo precedente alla scomparsa delle librerie dalle case. Intendiamoci: i lettori cosiddetti forti hanno sempre avuto un problema con i libri e la polvere e le varie forme di catalogazione, gli ebook reader ci hanno dato una mano; io – che viaggio verso i venti libri al mese – tengo in copia cartacea soltanto i Thomas Pynchon, i William Gibson, i Tibor Fischer, e sì, anche qualche Roberto Calasso e qualche Adelphi (ma quelli li tengo chiusi in dispensa, accanto alle scatole di fagioli da apocalisse perché non vorrei mai che qualcuno pensasse che io sia intelligente: non sono pronto a prendermi questo tipo di responsabilità).
C’è un senso in questo sparire dei libri a favore dei mobili: è ovvio che se ti trovi davanti a una libreria con i libri tutti faccia a muro, come fossero in punizione, non puoi certo dire “che belle letture che fai” ma, al massimo, che bella libreria che hai. Perché una volta, quando si entrava in una casa per la prima volta, si guardavano subito le librerie e i dorsi dei libri per capire con chi si aveva a che fare; adesso – come è giusto che sia in quest’epoca senza pensiero – un’idea del padrone/padrona di casa te la devi fare da quella cosa che si chiama, credo – se il termine non è già stato soppiantato, sono un boomer, un vecchio rincoglionito, abbiate pazienza – interior design, che a me ricorda immediatamente una colonoscopia. Non siamo più quello che leggiamo, siamo come arrediamo. D’altronde, oggi, a che serve leggere? Sono d’accordo: una persona si capisce da come arreda e quindi evviva il #backwardsbooks.
Ovviamente anche l’arredamento, ormai, è in mano all’algoritmo: tu vedi il salotto e capisci già come sarà la cucina o la camera da letto. Mentre i libri, in qualche maniera, seguivano qualcosa che all’algoritmo sfuggiva, seguiva l’intuizione, la deduzione, l’analisi, se un lettore passava da Nietzsche ad Aristotele comprendevi subito che c’era una qualche forma di ribellione attiva in atto, così come chi metteva i libri sul bosone di Higgs accanto ai David Foster Wallace ti faceva capire di avere compreso l’errore fondamentale dell’autore impiccatosi sul patio di casa che, nonostante fosse un cultore della matematica, non era riuscito a spingersi sino alle estreme conseguenza della fisica teorica restando intrappolato nell’eterno ritorno del linguaggio che gli si era avvoltolato al collo come un cappio. La scomparsa del dorso dei libri, dei titoli e dei loro autori, della loro catalogazione (che era una scienza) sancisce la definitiva trasmutazione della mente dell’uomo in uno scanner per algoritmi. Una volta si diceva: è una persona “ricercata”, non è più così, siamo tutti non più “ricercati”, non facciamo più nessuna “ricerca”, ma semplici persone “cercate” dagli algoritmi e quasi sempre trovate: il #backwardsbooks questo rappresenta; l’interior design si è abbassato – dalla mente alle reazioni istintive e bestiali, alla colonoscopia, come già detto. Siamo un po’ come le oche o le anatre del fois gras. Detto questo, non ho proprio nulla contro il #backwardsbooks. L’Apocalisse è in corso e non c’è niente da fare. Gli ebook reader ci salvano dalla polvere, ma anche dal mostrare chi veramente siamo. Non siate ricercati e neanche cercati. Datevi alla latitanza del pensiero.