Sabrina, aspettami, finisco di caricare il trolley e sono da te, rispondimi subito appena ti citofono! Certi giorni, quando la vita in famiglia appare del tutto insostenibile, un supplizio, mi raggiunge un pensiero liberatorio, dico a me stesso: quasi quasi mo’ chiamo Sabrina Ferilli e le comunico che sto per trasferirmi da lei, esatto, proprio a casa sua. In un rispettabile quartiere di Roma, tra avvocati in loden verde, notai in “Aquascutum”, generali a riposo in grisaglia e perfino il ricordo di eroici trasvolatori del Polo in dirigibile; ce l’avrà sicuramente, l’ospite Sabrina, una stanza con bagno per accogliermi, no? Ogni vera diva morbida e lucente, e Sabrina non fa eccezione, va necessariamente immaginata in vestaglia di seta, frange e ramage, come, metti, un tempo Alida Vali, Clara Calamai, Valentina Cortese e la stessa Anna Magnani, sebbene quest’ultima assai più informale. Mai negarsi certo outfit, possibilmente comprensivo di pantofole piumate d’azzurro e rosa. Ma sì, che Sabrina custodirà tutto questo nella cabina-armadio da immaginare oceanica. Mi aspetto anche un angolo-cottura e un angolo-bagno da destinare all’amico intellettuale gentilmente accolto. Nonostante sia ormai lontano il tempo dei “telefoni bianchi”, candida bachelite littoria, passati anche i giorni della tarda commedia all’italiana con il Siemens S62 (meglio noto come “bigrigio”) in bella vista sui comodini disegnati da Superstudio, l’aria fascio-sovranista odierna consente comunque ogni possibile remake nostalgico. Sabrina ne sarà certamente all’altezza, perfettamente tagliata per il ruolo.
Torniamo però al meschino mio intento residenziale, trasferirmi armi e bagagli presso di lei. Per convincerla le farò dono, sempre al citofono, di una storia di ospitalità più o meno gradita, la stessa che veniva narrata dal pittore Mario Schifano: sono i primi anni Settanta, quando il pittore Tano Festa si piazza al seguito di Patty Pravo, ovunque lei va c’è Tano, proprio ovunque: ai concerti, tra terrazze e privé, lui la segue per ammirazione, forse anche per segreto innamoramento, alla fine però torna da Schifano e, sconfortato, prova a capire meglio: “Mario, ma ce sta sempre ‘n certo Riccardo”. L’amico e collega Mario è costretto a riportarlo alla durezza della realtà: “Tano, quello è er marito!” Si trattava infatti di Riccardo Fogli, già con i Pooh. Ecco, anch’io vorrei fare adesso lo stesso con Sabrina. Sappia comunque la signora Ferilli che in me troverà un residente perfetto… Mai e poi mai, dopo aver fatto la doccia, utilizzerei l’accappatoio di Flavio, il suo apprezzato compagno, e neppure, sempre a quest’ultimo, ruberei le ciabatte, impossibile immaginarmi a ballare, flaconi di Badedas impugnati come maracas, Paola e Chiara o Annalisa in sottofondo. Mai! In caso contrario, qualora la camera per gli ospiti dovesse essere al momento non disponibile, in subordine potrei entrare a far parte della serie in sei episodi con proprio Sabrina protagonista, la stessa che, con la regia è di Fausto Brizzi, sta per andare in onda su Rai1, “Gloria” il titolo. Accanto a lei, un altro amico, Massimo Ghini. La storia è subito detta, anzi, la rielaboro dalla brochure che la assai eroticamente desiderabile Francesca Rizzo Campello, amica, contessa, stella lucente dell’Ufficio stampa Rai, organizzatrice di meravigliose serate cantanti dove si esibiscono spudoratamente i migliori volti di viale Mazzini e Saxa Rubra, il CantaRai, mi ha inviato con estrema sollecitudine. Gloria Grandi, già apprezzata diva del cinema italiano, reputa d’essere sprecata per interpretare una fiction televisiva. Vorrebbe insomma per sé fare soltanto cinema cinema cinema… “una volta abbandonata la tv, tornerà di nuovo protagonista sul grande schermo. Cinque anni dopo, però, si accorge che quelle porte si sono aperte solo per recitare in scadenti spot pubblicitari per le creme alla bava di lumaca. Gloria non accetta che il mondo dello spettacolo l’abbia dimenticata. Gloria si sente sconfitta: il telefono ha smesso di squillare, sembra destinata all’oblio e la concorrenza di attrici più giovani si fa sentire. Finché non ha un’idea tanto brillante quanto meschina…”.
Bene, l’ho detto: in assenza di ospitalità, mi piacerebbe addirittura fare parte della fiction stessa, magari nel ruolo fantasmatico del Narratore. Anch’io insomma tra i personaggi fissi lì sul set, proprio come accadeva (e certamente i boomer ne avranno memoria) con lo sceneggiato su Leonardo da Vinci diretto nel 1971 da Renato Castellani andato in onda sul Programma nazionale, la futura Rai1. A interpretare il genio, Philippe Leroy. Nello stesso lavoro, in abiti non d’epoca rinascimentale, vestendo invece un tre bottoni tinta tortora, articolo da “Davide Cenci a Campo Marzio”, e lenti bifocali, compariva anche Giulio Bosetti, sua la parte appunto del cronista, un tomo tra le mani. Tra i ragazzi che frequentavano allora sia licei sia istituti tecnici, diverrà un tormentone una sua frase recitata in modo ricorrente: “Come scrive il Vasari…”. Bene, sul set di “Gloria” immagino la mia presenza, come già Bosetti allora. In un angolo, magari in pigiama girocollo con taschino, un modello ospedaliero, io che liberamente commento l’insieme della storia, aggiungendo note a margine sul talento umano della protagonista. Per esempio, racconto la prima volta che ho incontrato Sabrina, davvero tanti anni fa. Era la festa di compleanno di Alessandro Haber, a casa sua, a Trastevere, c’era anche Nanni Loy, che nell’attesa dell’amatriciana raccontava il precipizio della qualità nel cinema: “Una volta i produttori leggevano il copione davanti agli sceneggiatori e guardandoli in faccia gli dicevano: ma secondo te questa cosa fa ridere?”. Ora che ci penso, quella sera c’era pure Christian De Sica, mi è venuto incontro, golfino azzurro annodato sulle spalle, dicendo: “Sì, è vero, mio zio ha ucciso Trotsky”.
Tutto questo molto tempo prima che Sabrina avessimo modo di scorgerla lucente sul carro del trionfo della Magica al Circo Massimo, intorno a lei una muta di ingrifati giallorossi adoranti, molti dei quali tornati a casa avrebbero certamente avuto cura di serrarsi in bagno per dedicarsi, pensando al suo carnale bikini, a certe risapute pratiche bassamente onanistiche. Ogni tanto, sempre nel mezzo delle scene, mi piacerebbe raccontare, magari interrompendo il ciak, di quando Sabrina insieme a una cugina, durante le campagne elettorali, andava in giro fuori Fiano Romano, addirittura spingendosi fino a Nazzano: la macchina con gli altoparlanti con “Bandiera rossa” a palla e il simbolo del Partito comunista italiano fissato con lo scotch sulle fiancate, questo per dare un ulteriore, diciamo pure, “colore” politico all’insieme del racconto. Ora personalmente ignoro a chi abbia pensato di identificarsi Sabrina per interpretare Gloria, mi torna però in mente la sera in cui mi è comparsa d’improvviso durante una festa nella terrazza di Roberto D’Agostino affacciata su Castel Sant’Angelo. Una visione. Ma questa è già un’altra storia, dove occorrerebbe Arbasino de “La narcisata” per raccontarla nel migliore dei modi.