Alla fine “Vultures 1”, l’album di Kanye West e Ty Dolla $ign è atterrato anche sul pianeta Terra. Dopo aver stazionato per qualche settimana in quell’ambiguo limbo del web collocato fra la blogosfera e YouTube in versione malandrina (quella in cui sono caricati i pezzi rubacchiati), l’album ha conquistato le piattaforme streaming e la prevedibile curiosità di chiunque abbia speso tempo ad analizzare le 16 nuove tracce del mitomane West, talento urban che ha provato in tutti i modi a vedere che effetto possa fare colpire a cannonate una carriera brillantemente strutturata almeno fino a “My beautiful dark twisted fantasy” (2010). Il più recente Kanye – o quello comunque ormai radicato nella labile memoria popolare – è un piantagrane antisemita con strabordanti manie di grandezza (la presidenza americana), non il passaporto migliore per continuare a prosperare su riviste, siti, radio e tv che si vogliano tenere lontane da polemiche rischiose anche a livello politico-legale.
“Vultures 1” è appena uscito, ma la sua tassa con la controversia l’ha immediatamente pagata. Il caos, questa volta, è esploso quando sul profilo Instagram ufficiale di Donna Summer è stata condivisa una storia in cui si affermava che il brano “Good (don’t die)”, contenuto nel nuovo album di West, utilizzasse un campionamento non autorizzato della storica “I feel love”. Per ora Spotify ha eliminato il brano incriminato dalla tracklist di “Vultures 1”, mentre iTunes finora ha tenuto duro. Un’eventuale assenza, quella di “Good don’t die)”, che certamente non stravolge la sostanza di un disco – polemiche a parte – abbastanza ordinario, non fosse – ma è il nostro punto di vista italico a rendere la cosa particolarmente succosa – per i due brani, “Carnival” e “Stars”, che contengono i campionamenti degli imperiosi cori della Curva Nord interista, peraltro indicati nei crediti ufficiali. Due sample in cui è percepibile tutta la carica dell’urlo della Nord. A parte questo, a parte la solita hype, a parte il pendolo che per settimane ha oscillato fra “ma l’album uscirà?” e “quindi l’album non uscirà?”, il disco scorre via senza troppe scosse.
E qui si gioca il più trito degli equivoci: intestardirsi nel credere che le follie mediatiche di West possano specchiarsi in una parabola artistica altrettanto folle, obliquamente stimolante e sfidante. Quando forse potrebbe essere l’esatto contrario, ossia che Kanye si ritrova da anni a corto di carburante, ma mai – grazie alle polemiche e a questa benedetta follia – a corto di attenzioni. Abbastanza stravolto rispetto alla prima versione data (parzialmente) in pasto al pubblico (MOW ne parlò qui), “Vultures 1” suona oggi più coerente, meglio prodotto, più ambizioso. West reinventa la ruota almeno quattro volte, ma più spesso rimane incastrato in brani più banali di quanto una produzione particolarmente precisa e pertinente faccia sperare (bella l’idea di tenere vicini l’old school di “Burn” e il robo-funk di “Fuk sumn”). Il roster degli ospiti è lì per stupire (Freddie Gibbs e Travis Scott fra i feat; Timbaland e James Blake fra i produttori), ma il loro contributo non trasfigura nulla. Kanye, a un primo ascolto, pare aver anche tenuto a freno la lingua, evitando scivoloni ideali per qualche titolone accusatorio. Saggio, forse, da parte sua, solo che “Vultures 1”, per quanto ben concepito, a stento spicca il volo. E quando lo fa, di mezzo c’è soprattutto Ty Dolla $ign (“Problematic”).