Il mio parere su Sanremo è assai articolato, per adesso condivido un pensiero legato alla connessione tra canzone e conflitto bellico. C’è una guerra in corso in questi tempi, e c’è un clima di guerra da anni, da dopo il Covid, compreso il Covid, e vedere una generazione di menefreghisti depensanti che cantano stupidaggini mentre vengono trucidati bambini no, non mi interessa, è squallido. È vero che lo show è intrattenimento, ma questo non significa che non possa avere intelligenza o coscienza, anzi è proprio attraverso le forme di intrattenimento di massa che deve passare il messaggio libertario che non può altrimenti. Chaplin faceva ridere ma sbeffeggiava il nazismo, qui siamo di fronte al vuoto, non allo show, non all’intrattenimento, non c’è nulla di piacevole nel vedere abbruttita una forma dell’arte importante come la canzone. Il disinteresse ovvio nei confronti di questa forma musicale da parte di chi ha gestito per cinque anni il festival deriva dall’incompetenza. La canzone è un veicolo di espressione della civiltà ormai da oltre duecento anni ed è forse la più diffusa forma d’arte che ci sia, non può essere così svilita in un Paese che l’ha inventata. Ecco appunto, la canzone è una forma d’arte che può parlare del mondo e dell’umanità in modo utile e intelligente. Beethoven metteva canzoni nelle sinfonie facendo qualcosa di totalmente innovativo perché aveva l’esigenza di risvegliare le persone e toglierle dal soccombere, Giuseppe Verdi scriveva il Va pensiero sotto la dominazione austriaca. Ci sono canzoni geniali scritte nell’Ottocento da un proto-cantautore anarchico che fu arrestato a sedici anni e uscì a venti, Ulisse Barbieri, e scriveva quando gli austriaci invadevano. Rodolfo De Angelis a Napoli scriveva le canzoni durante la Prima guerra mondiale e sotto il fascismo quando in America intanto Gershwin scriveva canzoni per infondere l’ottimismo in tempo di guerra e mentre gli anarchici scrivevano canzoni per abbattere la monarchia, quando erano condannati a morte cantautrici e cantautori facevano canzoni su di loro. Intanto gli africani venivano deportati oltreoceano e scrivevano canzoni e poi una volta diventati schiavi scrivevano canzoni per liberarsi e una volta liberati scrivevano canzoni per combattere la violenza e il razzismo.
Nella seconda guerra Kurt Weill scriveva le canzoni contro la Germania da cui scappava, e i partigiani scrivevano e cantavano canzoni mentre andavano a morire per la libertà, e dopo che l’Olocausto avvenne e la guerra cessò, Jaques Brel con le canzoni ridava speranza e dignità di tornare a sognare a un continente annichilito. Guccini scrisse canzoni che raccontavano tutto quell’orrore e ne conservavano la memoria. Anche Pasolini si dedicò alle canzoni e contribuì pesantemente a rialfabetizzare un popolo azzerato. Nel frattempo la radio trasmetteva a chi la possedeva il festival delle canzoni e gli autori della “cricca” dell’epoca (cherubini-Bixio) vincevano il festival con la hit Vola colomba, tutt’altro che futile visto che fu scritta a Trieste quando era sotto la protezione della Nato come territorio indipendente e parla di quello. Mentre Tenco giovane la ascoltava alla radio e la traduceva in inglese per puro esercizio e piacere e senso della sperimentazione linguistica, infatti non la cantò mai, ma lo feci io nel 2003, presentandola proprio al Premio Tenco. Negli Anni Sessanta i gruppi beat italiani scrivevano le canzoni di protesta sociale, Ferrer scriveva Né Dio né padrone, Brassens scriveva Morire per delle idee, Lennon e Dylan scrivevano durante il Vietnam, durante gli anni di piombo si scrivevano le canzoni e De André faceva Storia di un impiegato. Finardi, Lolli, Rocchi, Guccini, Della Mea, Vecchioni, Dalla, Venditti, Bennato, Paoli, Lauzi, Fossati, De Gregori, Camerini, Pfm, Banco del mutuo soccorso scrivevano durante le br, Amodei scriveva Il Tarlo sulle lotte sindacali, Virgilio Savona scriveva durante gli scontri studenteschi armati, Giovanna Marini scriveva durante le proteste operaie, Nanni Svampa scriveva durante le guerre civili in Africa, Peter Gabriel e Paul Simon scrivevano durante l’apartheid, Battiato scriveva Povera Patria durante la Guerra del Golfo e andava a cantare a Baghdad sotto le bombe, Jannacci scriveva di Israele e Palestina (Lungometraggio) negli ultimi anni della sua vita, Baglioni scriveva di piazza Tienammen, durante la Guerra Fredda Sting scriveva Russians (“Mister Reagan says we will protect you I don't subscribe to this point of view”). Gli U2 scrivevano mentre c’erano gli spargimenti di sangue degli indipendentisti irlandesi, David Sylvian scriveva dei minatori inglesi quando era primo in classifica e Bowie andava in Cina a cantare del regime mentre invadevano il Tibet, e negli scontri razziali di Los Angeles faceva cantare i rappers di colore sui suoi aristocratici album sperimentali, Roger Waters ha sempre e solo scritto della guerra. potrei continuare all'infinito sull'argomento “canzoni durante la guerra”, perché la canzone è il solo sacrosanto antidoto; indistruttibile, umano, comprensibile, potente, consolatorio, rivoluzionario, terapeutico mezzo di espressione e comunicazione nella disperazione. Ma non ne sa nulla Amadeus di tutto questo perché non è affar suo la canzone, egli non sa cosa sia né cosa può essere né dove sia, tantomeno come sia. Finché non capiremo quanto è scandaloso e abominevole questo massacro a cielo aperto e non la smetteremo di assolvere il crimine culturale l’Italia resterà priva di canzoni e di musica più in generale.