Angelina Mango ha meritatamente vinto la settantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Geolier ha vinto la serata dei duetti con un 50% del televoto, facendo sbroccare parte del pubblico all’Ariston, in maniera molto maleducata poi lì a abbandonare la sala mentre il rapper eseguiva giustamente la sua canzone. L’indomani in Sala Stampa una giornalista, poi spero di non dover più spiegare perché orgogliosamente, per dirla alla Fiorella Mannoia, non faccio parte dell’albo, ha chiesto a Geolier se non si sentiva a disagio a “aver rubato la vittoria a Angelina Mango”, andando poi a dire, a noi di MOW, che la Sala Stampa avrebbe fatto in modo di rimettere le cose a posto, cosa in effetti accaduta. Così Geolier, col 60% di televoto, record dei record, è arrivato secondo. Non è la prima volta che accade. Era successo con Mahmood nel 2019, su Ultimo. La Sala Stampa è uno degli elementi in campo per decidere chi vince il Festival, quest’anno in buona compagnia delle radio, o di una parte delle radio, e del televoto, appunto. Tre parti che alla fine formano il totale dei voti. Piccola postilla, sei ho detto parte delle radio è perché non partecipa a questo voto il gruppo Rtl 102.5, insieme a Radio Freccia e Radio Zeta, perché Lorenzo Suraci ha poco gradito lo sfratto che la Rai ha imposto al gruppo di Cologno Monzese dall’OVS, a due passi dall’Ariston, dalle cui vetrine storicamente trasmettevano, incontrando gli artisti in gara lì a due passi, e quest’anno finita a Radio Rai 2.
Tornando al televoto, e chiarito che chi scrive tifava sin dai preascolti per Angelina Mango, l’ho scritto ovunque, pur riconoscendo a Geolier un ovvio talento, e al medley eseguito con Guè, Luchè e Gigi D’Alessio un grande valore, di fatto sabato sera è successo qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Da una parte il televoto è stato stranamente messo in standby, chi scrive come buona parte degli italiani non è mai riuscito a votare (provavo perché sui social girava voce che il televoto fosse impossibile), fatto che desta meraviglia, proprio per i casini accaduti la serata della cover. Un televoto che comunque, questo ha detto Amadeus sul palco, è stato talmente alto in termini di numeri da aver creato appunto un intasamento dei cervelloni, e che alla fine ha decretato la parziale vittoria di Geolier, parziale solo perché il televoto pesava per il 34%, contro il 33% della Sala Stampa e il 33% delle Radio. Azzerato tutto con la finalissima, che vedeva Geolier giocarsela con Angelina Mango, Annalisa, Ghali e Irama, la faccenda non è cambiata, ancora impossibilità televotare, e infine vittoria andata, ripeto, meritatamente a Angelina Mango. Ma c’è un però grosso come il monte Rushmore. Perché col 60% di televoti, tanti o pochi che siano stati, Geolier è arrivato secondo, come la giornalista aveva appunto annunciato. Allora, proviamo a fare un ragionamento, anzi, provo a fare un ragionamento, e nel farlo parto da un aneddoto che riguarda anche me. È il 2016, la Rai ospita un solo talent, The Voice, che nonostante faccia numeri quattro volte superiori ai vari X Factor, viene considerato un po’ un figliastro del genere. Io mi impunto di seguirlo, perché mi piace l’idea di vedere come funziona da dietro un programma del genere. Per farlo approfitto dell’amicizia di Dolcenera, che è una delle coach. Sono il solo giornalista presente. E lo sarò per tutte le puntate, ospite del suo camerino. Seguendo il programma mi appassiono della voce di una delle concorrenti, Alice Paba da Tolfa. Una cantautrice molto giovane, classe 1997, ai tempi venti anni, che ha già partecipato anche a Amici. Comincio a scriverne, ai tempi ero firma del sito del Fatto Quotidiano e de Linkiesta, facendo anche parecchio casino. Ne tesso le lodi, e invito a votarla, anche per il gusto di sparigliare le carte di un format che mi sembra, in effetti, logoro. La faccio breve, nonostante la stampa, cioè i miei colleghi, forse anche per contrastare la mia posizione radicale, ne parlino in maniera non esaltante, Alice Paba vince.
A quel punto agisco su due fronti, da una parte, sempre scrivendo pubblicamente, invito la Universal, che era la casa discografica che aveva l’appalto su The Voice, a non tenerla ferma come aveva fatto in precedenza coi vincitori, dall’altra scrivo una lettera aperta a Carlo Conti invitandolo a dare un senso al fatto che la Rai avesse ai tempi un solo talent. Cioè, in sostanza, chiedo che la inviti a prendere parte del cast di Sanremo, è lui che conduce e fa il direttore artistico, esattamente come in passato era capitato a Lorenzo Fragola dopo aver vinto X Factor, ancora nel servizio pubblico. La faccio breve davvero, Alice Paba entra nel cast del Festival 2017, in coppia con un altro artista Universal, Nesli. A produrli Brando, che di Nesli è ai tempi produttore e manager, e che seguiva come delegato per conto della Universal The Voice. La canzone che i due presentano si intitola Do retta a te. Mi piace giocare con l’ironia, e non ho alcuna stima dei miei sedicenti colleghi, per cui quando Carlo Conti lancia i nomi dei concorrenti al Festival 2017, indicando l’accoppiata, scrivo un pezzo, pubblicato da Linkiesta, che comincia con un serafico “Sucate”, rivolto proprio a chi in genere a Sanremo occupa la Sala Stampa. Proprio per questa disistima, immagino convidisa anche nei miei confronti da parte loro, decido che non andrò lì, durante il Festival, allestendo una postazione esterna in una villetta, è l’anno in cui comincio a collaborare con Rtl 102,5 e da lì la sera racconto le serate in compagnia di Pio e Amedeo e dei concorrenti che non sono all’Ariston a cantare (OVS alle 19.30 chiude, quindi Rtl 102.5 non aveva più un punto di appoggio), e andando poi di giorno a intervistare i cantanti a bordo di un van a dodici posti nero con la mia faccia e la scritta Monina Against the Machine sulla fiancata, svuotato e trasformato in studio televisivo. Mi dilungo ma ha un senso. È ancora vigente la regola dell’eliminazione, dettaglio non irrilevante, e oltre che il televoto, ci sono i voti della Sala Stampa e quelli della cosiddetta giuria demoscopica. Io spingo per Alice e Nesli, in fondo li ho voluti io, e in parte io ho contribuito a portarli lì, perché mai non dovrei farlo. Spingo per Alice e Nesli, ma lo faccio alla mia maniera, cosa che innervosisce i miei colleghi, che come me hanno quel simpatico voto che influisce sulla vittoria finale. Oltre che sull’aiutare le agenzie di scommesse a stabilire le quotazioni, poi ci torno, e a assegnare il Premio della Critica.
Io spingo per Alice e Nesli, ma io sono uno, e per di più non esercito il diritto di voto perché ritengo che far votare la Sala Stampa sia un grave errore, per almeno un paio di seri motivi. Il primo è che conosco buona parte di chi scrive di musica, gente cui non chiederei un parere su una canzone neanche se fossimo ubriachi al bancone di un bar, figuriamoci se lascerei loro di decidere chi dovrebbe o non dovrebbe vincere un Festival. Il secondo è più etico, se i voti delle pagelle dei preascolti contribuiscono in maniera fondamentale a decidere le quotazioni dei cantanti in gara al Festival, mi sono sempre detto, come è poi possibile che ai giornalisti sia consentito anche di contribuire di decidere chi infine vincerà, oltre che di scommettere? Perché la stampa potrebbe decidere di dare voti bassi a Tizio, nei preascolti, andando a contribuire a una quotazione molto alta dei bookmaker verso di loro, funziona così, salvo poi rovesciare il voto e portare Tizio alla vittoria, non prima di averci scommesso su dei bei soldoni, vinti facilmente. Certo, uno potrebbe dire che la cosa è impossibile, perché la Sala Stampa non è un singolo, ma un insieme di firme e nomi autonomi, quindi una simile organizzazione è praticamente impensabile. Però, nel 2017 succede che mi viene detto in faccia che ho rotto il cazzo. Da parte di qualche Senatore di quella Sala Stampa. Chi era al DopoFestival di Villa Ormond, dove quest’anno eravamo noi di MOW dentro il contesto del Villaggio del Festival, ancora ricorda come io e un altro senatore della Sala Stampa siamo quasi arrivati alle mani, per dire. Mi viene anche detto, da altra firma, non parte dei senatori, che gira voce che Alice Paba e Nesli, debbano pagare per quel mio “sucate”, e per il mio tifo. Come? Non dando loro neanche un voto e facendoli precipitare all’ultimo posto della classifica, eliminazione diretta. Così succede. Zero voti, addio. Proprio recentemente Nesli, intervistato da Fabio Fiume di AllMusicItalia, ha raccontato proprio di essere stato eliminato per il mio tifo, e al momento io e Nesli non è che siamo proprio quattro chiappe in una mutanda, per dirla con poesia, anche per quella eliminazione. Oggi si ritorna a parlare di una Sala Stampa che si muove come un sol’uomo, decidendo chi far vincere, e di conseguenza, chi far perdere. Come? Evidentemente alla stessa maniera. Non una cosa ufficiale, ci mancherebbe altro, quanto piuttosto un passaparola, un bisbiglio. Che magari non riguarderà tutti, conosco qualche firma che non si piegherebbe a quelle logiche, ma le immagini di fischi verso alcuni, e di ovazioni e balletti per le vittorie di altri le abbiamo viste tutti, negli anni. Lo sbrocco a suo tempo di Ultimo, che dava delle merde ai giornalisti presenti al Roof dell’Ariston per aver fatto vincere il “ragazzo Mahmood” (“voi avete solo questa settimana pe’ conta’ qualcosa, e voi dovete sempre rompe il cazzo”, suppergiù le sue parole, più che condivisibile), per di più dopo aver scritto tutta la settimana che era lui il vincitore sicuro del Festival, parla proprio di questo. Il che apre di nuovo a due criticità. La Sala Stampa decide le quotazioni dei bookmaker, può scommettere e decidere poi chi vince. Sicuri che non ci sia conflitto di interessi? La Sala Stampa, a prescindere dalle scommesse, fa ingerenze nei confronti delle gare, aggiustando il tiro, parole loro, votando in massa contro qualcuno, più che a favore di qualcun altro. E anche fosse a favore di qualcuno, e non contro, sta comunque lì a fare e disfare come vuole, pesando per un 33%. La Sala Stampa è frequentata, lì possono votare, da un sacco di gente che di musica sa poco e niente, in prevalenza giornalisti che durante il resto dell’anno si occupano di altro, costume e società, spettacoli in generale, a volte anche di cronaca o di fiori e piante, ha senso dar loro questo peso in una gara canora di tale portata? Parlando di Geolier, tutti, hanno sottolineato come il problema sarebbe stato un sospetto numero di televoti. Sicuri che il problema sia solo quello? E dire che non ha manco mai detto “sucate” ai giornalisti, educato come si è dimostrato.