Perché alcuni sono perdonabili e altri devono invece subire la ghigliottina della condanna morale (non metto ovviamente in discussione le condanne “legali”)? Questo mi sono chiesto guardando il video di Roberto Saviano in difesa di Geolier. Roberto Saviano ha fondato la sua carriera e il suo successo sul manicheismo (“estens. Tendenza a contrapporre in modo rigido e dogmatico principî, atteggiamenti o posizioni ritenuti inconciliabili, come fossero opposte espressioni di bene e male, di vero e falso” – Treccani). Sin dal 2006, quando gli fu assegnata la scorta per avere detto, in piazza a Casal di Principe, rivolto ai camorristi: “Non valete niente, ve ne dovete andare da qui”. Nessun perdono, nessuna redenzione, nessuna pietas, addirittura nessun tentativo di comprensione: io sono il Bene, voi il Male. In questo senso sfiorava, come atteggiamento mentale, posizioni simili a ideologie del secolo scorso: tutte. Per non usare termini che potrebbero risultare offensive, diciamo che Saviano è diventato Saviano grazie al suo “assolutismo”. Beffa del destino, le sue opere hanno innalzato la camorra a “style”, le tute (abbigliamento standard del carcerato italiano) sono diventate un capo da esibire, la pacchianeria adesso è fashion. La stessa domanda “perché Saviano difende Geolier se i testi del cantante inneggiano alla Camorra?” se l’è posta Maurizio Belpietro su La Verità. Curiosamente dimostrandosi molto simile a Roberto Saviano. In buona sostanza, la querelle Belpietro-Saviano (che è anche la punta dell’iceberg di un dibattito che è diventato politico), si riduce a un “io sono contro la camorra più di te”. Hanno torto entrambi. Tempo fa scrissi alcuni articoli in difesa di Niko “King” Pandetta e di Andrea Zeta, due neomelodici e rapper catanesi imparentati con la mafia. Invitavo tutti, allora come adesso, a guardare quel capolavoro di Dangerous Mind (“Pensieri pericolosi”), con una splendida Michelle Pfeiffer, basato su una storia vera, la cui colonna sonora è forse l’inno del gangsta rap, ossia Gangsta’s Paradise di Coolio (feat L.V.).
Io, ancora oggi, forse perché siciliano, forse perché ho avuto una mamma insegnante di musica nelle scuole cosiddette “a rischio” catanesi, non riesco a guardare quel film, o il video della canzone senza commuovermi fino alle lacrime. È una storia di redenzione, di ragazzi afroamericani e ispanici, cresciuti in strada, attraverso l’arte. Perché così è la vita, fatta di tanti toni di grigio, tante melodie, tanto “noise” anche. Fatta di cadute e rinascite e ancora cadute e altre rinascite, come nell’evoluzione dello storytelling di un’opera, di una canzone, di un romanzo. In Gangsta’s Paradise, Coolio, dopo avere descritto il Paradiso dei Gangster, fatto di soldi e potere, Coolio infila questa frase: “Dimmi così ciechi da non vedere che quelli a cui facciamo del male siamo io e te?”. Ed è in quel “Dimmi”, in quel “Spiegami” che sta il senso della canzone e del film, la cui protagonista è un’insegnante di lettere a cui affidano la classe più difficile della scuola. Il gangsta rap, da sempre, e alcune canzoni di Geolier fanno senz’altro parte di questo “genere”, è sempre stato un racconto in bilico tra una richiesta di aiuto e una storia di emarginazione alla quale si reagisce con la violenza. “Dicono che devo imparare, ma non c’è nessuno a insegnarmi”, canta ancora Coolio. Ecco, credo che si debbano ascoltare queste canzoni, ma ascoltarle davvero. Senza le facili, facilissime indignazioni dei Belpietro e dei Saviano, che, mi sembra, siano lì invece con il ditino alzato a raccontarci di quanto sono buoni loro e cattivi gli altri. E per questo non riesco a capire il video di Roberto Saviano in difesa di Geolier. È solo perché Geolier “ce l’ha fatta”? Perché la vita, o il talento, o qualcuno che ha saputo “dirgli”, “spiegargli”, lo hanno messo sulla retta via? Insomma, solo perché è stato più “fortunato”? E gli altri? Quelli meno fortunati, “non valgono” niente? Oppure, forse, lo spero, qualcuno è riuscito a “dire”, a “spiegare” a Roberto Saviano che la vita non è fatta di bene e di male. Forse si è redento anche lui. Dall’odio che lo ha fatto arricchire.