Duole doversi occupare nuovamente di Roberto Saviano e delle sue esternazioni, che si fanno sempre più eclatanti, ma l’articoletto apparso su La Stampa sembra superare la soglia che separa l’improbabile dall’assurdo. In questo breve pezzo, firmato da una certa Sofia Li Crasti, veniamo informati del desiderio manifestato su Instagram dallo scrittore, da tempo nominatosi martire nazionale, di conferire i tredicimila volumi della sua biblioteca a un fondo pubblico accessibile a tutti. Lodevole intenzione, ovviamente, degna di un benefattore: ma nell’articolo si riporta un virgolettato che lascia quanto meno interdetti, se non si è abituati a credere agli unicorni: «Ecco la mia biblioteca, in cui ho raccolto circa 13.000 volumi durante tutta la mia vita. È il mio tesoro; sono tutti libri su cui ho studiato, che non ho ereditato, ma sono tutti miei, acquistati o ricevuti. Per via della mia difficilissima situazione di vita non so più come gestirli: mi sposto spesso, ed è sempre più difficile riuscire a gestire i miei movimenti e il mio tesoro». Sono tutti libri su cui ha studiato, abbiamo capito bene? Tutti e tredicimila? Abbiamo riletto più volte, per essere sicuri, ma sappiamo che Roberto Saviano, nella sua proverbiale sicumera, non ammette equivoci: temiamo sia convinto davvero di aver studiato su tredicimila volumi, come se fosse un novantenne che in tutte le ore della sua vita non ha fatto altro che quello.
Ora, cerchiamo di capire come questa boiata colossale possa essere uscita su un giornale come La Stampa. Immaginiamo che la povera articolista abbia ricevuto una velina con le scarne linee guida per offrire la notizia: - Saviano vuol conferire al pubblico la sua biblioteca; - è vessato dal governo del Paese; - è uno dei maggiori intellettuali italiani (l’ha detto Fabio Fazio); - ha una vita molto impegnativa e difficile. Ecco dunque che l’articolista imposta il breve pezzo basandosi su queste direttive, senza farsi domande: “Saviano fa riferimento, dunque, ad una vita in continuo movimento, sicuramente tutt’altro che monotona: basti pensare ai recenti avvenimenti, che lo hanno visto coinvolto in un processo per diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni, al seguito del quale lo scrittore è stato condannato ad una multa di mille euro”, e qui abbiamo la vittima, “o alla cancellazione del suo programma «Insider – Faccia a faccia con il crimine», trasmissione sulle mafie che sarebbe dovuta andare in onda a partire dal 4 novembre ma che è stata cancellata, a detta di Saviano, a seguito di una censura da parte del governo”, e qui abbiamo la terribile censura politica. Poi arriva l’incoronazione: “Sull’esclusione di Saviano dalla Rai si era espresso anche Fabio Fazio, definendo assurda la decisione: «Roberto è uno dei più grandi intellettuali contemporanei, uno scrittore protetto dallo Stato che però non può andare sulla tv di Stato, è assurdo»”.
In realtà, qui di assurdo c’è l’intero articoletto, una farsa servita come vino sofisticato, che perde di vista la follia dei “tredicimila volumi” sui quali il martire avrebbe “studiato”. Ma il colpo di teatro arriva col virgolettato alla fine: «So che l’Italia è un paese nemico dei libri, per questo mi appello anche all’estero, ma so anche che ci sono tantissimi bravi bibliotecari e librai: scrivetemi sulla possibilità di rendere pubblica la mia biblioteca». L’Italia nemica dei libri? Con un’affermazione del genere si ha l’impressione che si sia persa la cognizione del reale. Ma la stagista o articolista o quello che è, dovendo seguire le direttive, gli dà corda e conclude: “Il riferimento è velato ma presente: laddove lo Stato è nemico dei libri, Saviano si appella all’onestà dei privati, dei singoli cittadini. L’invito al cambiamento è rivolto, ancora una volta, a loro”. Questo sarebbe l’invito al cambiamento, avete capito? Il guaio è che l’unico cambiamento gradito a Saviano sembra essere una impennata di vendite dei suoi libri, che da troppi anni segnano il passo e ne indicano il declino. È forse per questo che l’Italia sarebbe un paese nemico dei libri? Perché non ne compra abbastanza dei suoi?
Dunque, dopo la follia dei “tredicimila volumi studiati” abbiamo l’idiozia dell’Italia che li odia. Un’affermazione che non sta da nessuna parte e che confligge con la realtà: su la Repubblica del 28 settembre un personaggio come l’editore Giuseppe Laterza confutava con forza il quadro «di un Paese abitato in maggioranza da persone incolte e governato perlopiù da persone indifferenti alla cultura», ricordando che «tutti i dati smentiscono questo quadro desolante. Le indagini annuali dell’Istat ci dicono infatti che gli italiani che dichiarano di aver letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi sono oltre venti milioni: non proprio “una nicchia”… E se aggiungiamo anche la lettura dei manuali e delle guide turistiche – che sono libri a tutti gli effetti – a leggere libri risulta essere la maggioranza degli italiani, oltre il 60%». È chiaro che simili statistiche vanno prese per quello che sono: non sappiamo quanti intervistati direbbero senza vergognarsi di non leggere mai niente, e quanti invece si spacciano come “minimamente lettori” solo per non fare brutta figura. «Certo, gli italiani leggono meno che in Germania o in Svezia – prosegue Laterza – ma sono quattro volte superiori a quanti erano solo sessant’anni fa, quando leggeva libri appena il 16% degli italiani. E gli acquirenti di libri non sono meno dei fruitori di cinema, teatro, musica e musei, tanto che se guardiamo al fatturato, quello del libro, con un venduto superiore a tre miliardi di euro, è tra i più rilevanti mercati culturali del nostro Paese».
In ogni caso, le sparate di Roberto Saviano megafonate da La Stampa sono quasi demenziali. Come ci si può ridurre a diffondere assurdità ideologiche di questo genere – piene di risvolti grotteschi – solo per assecondare la propaganda di un personaggio che si sente al di sopra di ogni critica ed è uso a ricevere genuflessioni? Il delirio di onnipotenza non porta mai a buoni risultati, giova ricordarlo, e fa danni innanzitutto a chi ne soffre. Non ci sembra che chiedere ai giornali coerenza e attendibilità – in una parola, serietà – sia chiedere troppo. Si controlli ciò che si pubblica, si evitino ridicolaggini, e possibilmente non si alimenti il culto della personalità in questo modo. Siamo all’abc, in fondo.