"La mia carriera accademica è stata letteralmente distrutta". Così si è sfogato il professor Alessandro Orsini dopo la partecipazione al programma È sempre Carta bianca, condotto da Bianca Berlinguer su Rete4. "Vorrei rispondere a coloro che dicono che avrei detto le cose che ho detto sull'Ucraina e la Palestina per avere un ritorno personale invocando il mio licenziamento", ha esordito analizzando il conflitto tra Israele e Hamas. È vero che nell’ultimo anno è stato al centro delle polemiche per le sue analisi relative al conflitto tra Ucraina e Russia, ma è anche vero che probabilmente non aveva mai avuto tanta visibilità, quindi, presumibilmente, potendo trattare (al rialzo) per la pubblicazione dei suoi libri e riuscendo a venderli in maggior numero, o ricevendo molte più offerte dalla tv o altri soggetti interessati alle sue analisi. Somiglia, in questo atteggiamento sintetizzato nell'espressione napoletana "chiagni e fotti", a Roberto Saviano, lo scrittore e giornalista appena condannato per diffamazione a una multa da 1000 euro per aver definito Giorgia Meloni “bastard*” nel 2020 durante una trasmissione Tv in cui si parlava di migranti. E anche lui, come ha già fatto in passato, ha spostato la questione sul piano della lamentela: “Perdere oggi è esempio di ciò che accadrà domani e porta ancora di più a capire in che situazione stiamo vivendo, con un potere esecutivo che cerca continuamente di intimidire chiunque racconti le loro bugie”. Così li abbiamo immaginati fuggire insieme, nel racconto semiserio che trovate di seguito, accomunati dallo stesso destino di “incompresi” da parte della nostra società (ma con le tasche piene di s..ogni) alla ricerca del loro posto nel mondo.
“Roberto Saviano, ma come ci siamo finiti qui io e te?”. “Non lo so, il mondo è così strano, così liquido, oggi. Eppure, a volte gli estremi si incontrano”. Così parlavano, a tratti, nel silenzio, mentre il mondo sfuggiva loro all’inverso sotto ai piedi, biondo nel sole d’ottobre come Alessandro Orsini e i suoi capelli al vento, lo sguardo di ghiaccio ed il sorriso era compresso sul volto mentre le sue mani guantate stringevano il volante nero. Il giuoco delle parti li aveva consumati, la televisione s’era fatta ormai un campo di battaglia che aveva iniziato a ferirli per davvero. Forse questo avevano in comune quei due. Sino ad allora era stato tutto sommato divertente, ma la finzione s’era ormai fatta profonda competizione. Ed eccoli lì, un biondo ed un pelato a bordo di un’Aurelia, in fuga dall’Italia, quell’Italietta dove “gira e rigira”, tutti si conoscono. Non gli anni Sessanta del secolo scorso, non il boom economico, non il Sorpasso di Risi, ma il confuso ottobre del 2023, così simile a quello di cinquant’anni prima: quello dello Yom Kippur, della crisi petrolifera, dell’avvento di Ronald Reagan, della Margaret Thatcher, della svolta neoliberista. Un mondo più cupo, eppure, quel giorno, così luminoso...
“Parenzo mi vuole portare in tribunale, ma lo capisco. Fossi al posto suo non potrei che parteggiare per Israele, perché fossi in lui mi arruolerei e andrei a combattere. Ma io sono io, e ‘tutto il mio tesoro è nella Torre di Minerva’, nella mia Cattedra. Forse mi sbaglio, ma chi non sbaglia, in fondo, ad essere egoista. Sbagliare è umano. Forse sto straparlando, e di questo mi vorrai perdonare, ma ho passato una vita nelle biblioteche, tra i Ministeri come consulente, in bilico sul crinale della scienza e i miei testi sono stati tradotti da Foreign Affairs… mi sembra tutto una grossa barzelletta. Tutto mi si è rivoltato contro da un momento all’altro, dal febbraio di quell’annus horribilis. Dopo quel trappolone televisivo, ho dovuto fare all in. E ora eccomi qui, nelle sabbie mobili delle televisioni, tra i canali dell’informazione ormai mi si è fatto il piede da trincea. E come se non bastasse, ci si sono messi pure gli arrivisti, come quella Ipazia. S’è dovuta salvare in corsa, con quell’uscita sugli ostaggi americani, e così per necessità adesso cerca di spodestarmi, anche lei vuole fare all in. Bene, si accomodi. Io sono stanco, non ho più voglia di combattere, voglio solo andarmene lontano da Roma, sono stanco di recitare questa parte”.
“Sai, Sandro…”.
“Nessuno mi chiamava così da tanto tempo… Oh, Roberto!”.
Diceva Alessandro commosso, mentre Roberto lo guardava sorridendogli dolcemente con lo sguardo bruno, la barba sfatta. Un poco rideva, mentre la luce del sole gli si rifletteva acuta sul cranio sferico e levigato. Il sole, batteva su loro due, e allora Roberto riprese a parlare, dopo quell’attimo di tenerezza. “Sandro, io in fondo ti capisco, anche se io e te proveniamo da due valli del pensiero così lontane. Il successo dei miei libri è stato anche l’abisso della mia felicità, una cima abissale per la mia anima, per il mio portafogli, per la mia sicurezza. Io che ho voluto raccontare il male per denudarlo, sono stato denudato della mia innocenza e al male messo accanto, come un Adamo che si riscopre nudo di fronte a Dio. L’Italia è stata per me come il paradiso terrestre, ma io e te, Sandro, ci siamo lasciati tentare dal frutto proibito della scienza e ora siamo costretti a fuggire lontano. Da sopra il crinale illuminato dell’ingenuità siamo caduti tu in quella ed io in questa valle buia del sapere. Tu nel realismo critico, io nel giusnaturalismo. ‘Ferire e incassare, ferire e incassare’, come canta Ivano Fossati, ma è la vita segreta di noi intellettuali, Sandro, il nostro cupo destino. Incassiamo danaro ad ogni ferita inflitta, ed incassiamo i colpi insieme ai debiti verso governi liberaldemocratici di un Occidente sempre più in crisi. A Montecatini, m’hanno multato duscend’euri al rosso e mo so’pure mill’euro pecché a Giorgia c’ho dett’ ch’essa è ‘na bast****. E che sfaccimm!!!”
“E dai, son solo mille euri. Te li do io se non ce li hai"
“Grazie Sandro, sei un amico, ma davvero, non c’è bisogno. Sto chien e ‘sord. È un’accidia che dimora in me quella che mi preoccupa, che mi tormenta, che mi divora l’anima, ma forse è solo il germe del verbo, la debolezza della carne, della mia come della tua, di tutti noi, esseri umani. Con questa guerra nel Vicino Oriente, io e te come per magia ci riavviciniamo, e dico per magia perché questa non esiste senza l’amore. Non fraintendere, Sandro, ma è una dinamica pendolare della politica alla quale da un lato vorrei sottrarmi e dall’altro lasciarmi trasportare. Noi, fanboys e fangirls di Elly Schlein e voi, travagliati 'travaglini', ex grillini. Noi tutt*, che non sappiamo bene dove sbattere la testa, ruotiamo come trottole al trotterellare spaventoso del mondo e dei suoi equilibri sempre più precari. Nella nostra fuga è racchiuso tutto l’orrore del girotondo, l’allegria sardonica dei bambini che giocano nella finzione, che vanno tutti giù per terra quando casca il mondo. Noi che giochiamo in televisione a chi alza più la voce, a chi emoziona di più. Sandro, io di tutto questo non ne voglio più sapere, andiamocene nel mio attico a New York, sono molto triste”.
Seguì una breve pausa. Entrambi tacevano. Roberto aveva il volto rigato dalle lacrime. Alessandro stringeva i denti, insieme al volante tra le mani, cercando di trattenere la commozione, e così affondava il piede sull’acceleratore. Il pomeriggio volgeva ormai alla sera e il cielo azzurro cominciava a rigarsi di scie aeree e nuvole rosse, rosa, arancioni. Quei colori irrecuperabili che precedono il crepuscolo erano gli stessi della vegetazione, della natura, che ormai verso l’autunno, si tingeva anch’essa i capelli per non sembrare poi, tutto sommato, così vecchia. Ad un tratto, Alessandro, con un mesto sorriso di abbandono, chiudendo gli occhi gli rispose: “A Robbé… ma quale attico e attico, ma che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l'età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c'ha, giorno per giorno. Fino a quando schiatta, si capisce”. E così l’Aurelia, ormai giunta verso la Liguria, spariva in una di quelle buie gallerie che traversano i monti, per risbucare poi, chissà dove. Ovunque, purché non qui.