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Né con Hamas, né con Netanyahu? Conte e il Movimento Cinque Stelle vogliono la pace tra palestinesi e Israele, ma in Italia...

  • di Andrea Muratore Andrea Muratore

11 ottobre 2023

Né con Hamas, né con Netanyahu? Conte e il Movimento Cinque Stelle vogliono la pace tra palestinesi e Israele, ma in Italia...
Giuseppe Conte non affonda nella critica a Hamas e il Movimento Cinque Stelle è più tiepido sul sostegno a Israele. È solo calcolo elettorale, pacifismo di facciata, o c’è qualcosa di più? Quello che è certo è l’insofferenza di molti (governo e Terzo Polo in testa) nei confronti di posizioni più sfumate e complesse…

di Andrea Muratore Andrea Muratore

La guerra a Gaza e Israele come il conflitto in Ucraina: il Movimento Cinque Stelle si smarca dalla linea “mainstream” della politica italiana e pone dei distinguo. La mozione proposta assieme a Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra in Parlamento che dà priorità alla difesa della vita degli ostaggi di Hamas e alla condanna dei militanti palestinesi va di pari passo con una ridotta propensione del leader ed ex premier Giuseppe Conte ad arruolarsi nella crociata occidentalista a cui si sono ascritti la maggioranza di destra, il centro liberale di Matteo Renzi e Carlo Calenda e settori del Partito Democratico.

I parlamentari a Cinque Stelle hanno mostrato solidarietà a Israele, prima che al premier Benjamin Netanyahu. “Siamo con voi” ha scritto la vicepresidente della Commissione Esteri della Camera Federica Onori su X mostrando solidarietà al “popolo israeliano”. Non a Netanyahu. La posizione di Conte e dei Cinque Stelle sembra essere chiara: assoluto pragmatismo e no alle crociate. “Mi cadono le braccia perché ricominciamo con la solita tiritera, cioè con l’applicare criteri morali a questioni che non c’entrano nulla con la morale. La morale l’avrebbe potuta fare in questi casi Gino Strada ma nessuno dei governi che si fronteggiano può fare la morale o dire ‘non ho bambini sulla coscienza’. Pensiamo solo all’operazione Piombo Fuso di Israele a Gaza o alle guerre in Libano: il commento di Marco Travaglio a Otto e Mezzo ben esemplifica quanto una base fondamentale del (l)ettorato de Il Fatto Quotidiano e del consenso a Cinque Stelle, un elettorato di ex sinistra radicale o moderatamente antisistema che in politica estera guarda con occhio critico all’occidentale, pensa: e cioè che il no al terrorismo vado inteso in senso bipartisan. No alle barbare azioni di Hamas, no all’armiamoci e partite da totale solidarietà a Tsahal per la sua campagna.

L'attacco da parte di Hamas a Israele
L'attacco da parte di Hamas a Israele

Questa posizione è stata stigmatizzata da chi ritiene il Movimento Cinque Stelle eccessivamente appiattito su posizioni filopalestinesi. Il Foglio, avanguardia del “sionismo liberale” italiano, ha rilanciato un vecchio articolo sulla presunta simpatia di frange del Movimento Cinque Stelle per Hamas, datato 2017, in cui si accusa gli ex grillini di cavalcare una vera e propria “intifada” con legami a organizzazioni simpatizzanti per i militanti di Gaza. Tesi ovviamente ridicole, che piuttosto possono essere lette nel concetto della “mezza condanna e mezza solidarietà” di cui ha parlato l’Huffington Post: Conte e i suoi stanno cavalcando una posizione che può apparire ambigua per non fornire carburante politico a un leader, Netanyahu, ritenuto troppo di destra e sovranista. Dunque un doppleganger della rivale Giorgia Meloni, a cui il Movimento appare l’opposizione più agguerrita. Nelle chat dei parlamentari a Cinque Stelle circola attivamente l’editoriale di fuoco di Haaretz sulle responsabilità del premier israeliano nel governo della sicurezza pubblica del Paese che hanno prodotto l’ecatombe del 7 ottobre.

Questa posizione ricalca quella ambigua, contro Vladimir Putin ma non con l’Ucraina, sul conflitto in Est Europa e può essere ritenuto limitante per l’amalgama complesso tra posizioni umanitarie a parole e un pacifismo politico volto a consolidare nicchie elettorali dall’opposizione. Dunque ascrivibile a tatticismo, anche per non scontentare una base elettorale sospetta sull’occidentalismo. Ma ridurre la manovra di un partito a lungo primario nel contesto nazionale, prima forza di governo dal 2018 al 2022 e oggi terzo partito d’Italia a mero tatticismo e rendita di posizione sarebbe semplificatorio.

Giuseppe Conte
Giuseppe Conte

La posizione a Cinque Stelle, in entrambi i casi, ha il vantaggio di lasciare mano libera alla comprensione della complessità e all’emersione di una lettura “italiana” della crisi. Permettendo che si sedimentino elementi di valutazione strutturali e si compenetrino più visioni. Non a caso, sull’Ucraina come su Gaza il Movimento Cinque Stelle guarda molto a posizioni quali quelle di Papa Francesco, che Conte da cattolico democratico guarda come riferimento politico oltre che spirituale, nell’obiettivo di andare oltre l’Occidente e le sue logiche e nel parlare, a tutti i costi, di pace. Anche quando questo impone il nuotare controcorrente. Conte interpreta e dà voce tramite il suo Movimento rinnovato come forza socialdemocratica con tinte populiste e di lotta a un mondo che si è depositato nell’associazionismo cattolico e di sinistra, nei sindacati, nei movimenti ecologismi, che sulle grandi questioni internazionali interpreta un pacifismo pressoché strutturale anti-strategico e anti-geopolitico perché innervato nell’animo profondo della società italiana. Quello stesso mondo pacifista a cui, negli ultimi mesi di vita, anche Silvio Berlusconi ha strizzato l’occhio.

Sull’Ucraina questo ha permesso a Conte di tenersi le mane libere per far emergere una proposta autenticamente italiana sulla pace in Ucraina: “Pace”, ha detto ad Avvenire in un’intervista, “non può essere una parola associata alla debolezza. E le parole di papa Francesco non indeboliscono certo la comunità internazionale”, anzi. Per Conte “l’Europa deve farsi promotrice di una conferenza internazionale di pace, da svolgersi in sede europea sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il pieno coinvolgimento del Vaticano”. Non giudichiamo sulla bontà o meno dell’idea, ma sul fatto che questa risponde a una concezione della politica distante dal tifo da stadio e che impone la risoluzione delle controversie. Se su Israele e Hamas l’ex premier farà emergere una posizione autenticamente italiana distante sia dall’ignavia anti-israeliana di frange radicali di entrambe le parti che dall’appiattimento sulla dottrina Netanyahu e delle possibili conseguenze disastrose sul fronte umanitario e geopolitico in caso di guerra totale a Gaza il tatticismo sarà perdonabile. Citando il Vangelo di Matteo, valga per tutti i leader e i partiti italiani sulle grandi questioni mondiali quanto Gesù diceva dei profeti del suo tempo: “Dai loro frutti li giudicheremo”, intesi dalle dinamiche politiche che le prese di posizione garantiranno. Non dalle parole di maniera.

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