L'economista Riccardo Puglisi non si ferma nella sua “caccia” ai titoli di studio dei volti noti della divulgazione e dell’informazione. Dopo l’assalto frontale a Dario Fabbri, “star” della geopolitica, sul quale l’inchiesta via Twitter del professore di Pavia ha mandato in testacoda, per interposta inchiesta de Le Iene, perfino il direttorissimo Enrico Mentana, Puglisi ha riacceso i riflettori sulla società di comunicazione Elastica, agenzia che rappresenta molti volti noti presenti nei talk show e non solo. E nella giornata di ieri sul suo profilo Twitter (ci perdoni Elon Musk: X come nome non si può sentire) ha lanciato una nuova fatwa al suo ampio parco di follower: “Mi vengono segnalati altri casi di 'esperti' e 'giornalisti' che sembrano laureati ma che in realtà non lo sono”, scrive sul suo profilo, aggiungendo poi che gli è stato suggerito di indagare, nel mondo giornalistico, su un certo C.S. nel nome e nel cognome. Puglisi getta l’amo e noi di MOW, da inguaribili curiosi quali siamo, esploriamo e arriviamo alla conclusione che C.S. potrebbe essere Cecilia Sala, giornalista inviata di guerra e redattrice de Il Foglio che ha realizzato diversi reportage dell’Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani al potere, dall’Iran durante le proteste contro il governo della Repubblica Islamica e dall’Ucraina dopo l’invasione russa (e ora si trova in Israele). E, cosa più importante, è tra le personalità le cui pubbliche relazioni e i cui engagement sono gestiti proprio da Elatica.
Cecilia Sala, 28 anni, nata giornalisticamente alla scuola di Michele Santoro, autrice giovanissima di un podcast di successo, Polvere, con Chiara Lalli, specializzata nella sua narrazione giornalistica dal campo più sulle storie umane (dalle donne iraniane alle vite quotidiane dei soldati ucraini) che alle grandi dinamiche geopolitiche, è di recente uscita in libreria con un volume, L’incendio, rivelatosi il più venduto online nella fine dell’estate, eccezion fatta per il fenomeno-Vannacci. Spinti dall’informazione di Puglisi, abbiamo approfondito se potesse essere Sala la giornalista la cui laurea, come quella di Fabbri, viene esposta da chi la introduce o la intervista ad eventi, ma non dalla diretta interessata.
Soltanto un mese fa Radio Deejay, presentandola allo show di Alessandro Cattelan, definiva la giornalista “laureata in Economia Internazionale all’Università Bocconi” di Milano. Stesso discorso, tra il 2021 e il 2022, per testate come Mondo Internazionale, Professione Reporter e 1000miglia.eu, che ha indicato nel 2018 l’anno del graduation day della Sala presso l’ateneo di Via Roetgen. Affari Italiani l’ha definita "la nuova Oriana Fallaci” specificando che “dopo la laurea si è specializzata in reportage dall’estero, prodotti per “Vanity Fair”, “Wired” e “L’Espresso”, insieme a diversi articoli per “Il Foglio” e “Will Media” e all’ingresso nella redazione di “Otto e Mezzo”. Negli anni Sala è stata dunque presentata come una studentessa bocconiana passata al giornalismo e al reportage internazionale (che tramite il podcast Stories e i suoi articoli sottolineiamo padroneggia molto bene). Ma tutto questo cozza con quanto, con grande chiarezza, la diretta interessata ha specificato un anno fa al podcast Tintoria: parlando a Daniele Tinti e Stefano Rapone, con franchezza, nella puntata del 21 giugno 2022 Sala ha dichiarato (si può vedere da poco prima del minuto 7 del video) di aver scelto la Bocconi per i suoi studi come garanzia per uno sbocco occupazionale sicuro visti gli incerti scenari del giornalismo, ma di aver lasciato il corso di laurea dopo aver sostenuto 26 esami su 32 del piano previsto.
Sala, sul profilo che le ha dedicato Elastica, va sottolineato che non è presentata come laureata. Si legge che ha iniziato a collaborare “durante gli studi” con la Rai e Vice. E la questione è certamente più sfumata rispetto a quella di Dario Fabbri, perché in questo caso esiste un’affermazione pubblica della diretta interessata circa la sua mancata conclusione degli studi ed è effettivamente giornalista professionista, come dimostra il portale dell'Ordine del Lazio dove risulta che ha superato l'esame l'11 gennaio del 2019. Resta comunque un dubbio fondamentale, ovvero: da dove proviene l’informazione che vedeva Sala presentata come “laureata”, con addirittura l’indicazione dell’anno del conseguimento del titolo (2018) prima del boom della sua visibilità? Dai curriculum della stessa Sala o da un’informazione circolata, magari per errore, nei media poi divenuto un errore ripetuto e mai smentito? E soprattutto, perché Sala, nonostante la pubblica ammissione, viene ancora presentata come laureata senza mai correggere pubblicamente chi scrive che ha conseguito il titolo?
La questione può sembrare di lana caprina, ma non è così: parliamo di una giornalista che sa fare il suo mestiere e ha dimostrato sul campo di creare engagement e audience, usando lo smartphone come mezzo di comunicazione diretto per raccontare storie umane di grande impatto. E anche in questi giorni, le va riconosciuto, si sta distanziando dal clamore guerrafondaio di buona parte dei media italiani sul tema Israele-Hamas prendendo coraggiosamente posizione sul caso dei bambini che igli jihadisti avrebbero decapitato. Ma il tema di fondo risiede nella selezione dei professionisti che arrivano, con indubbi meriti, al grande pubblico: perché presentarli come titolari di una laurea, di fronte alla mancanza di prove esplicite o alle smentite degli stessi? Delle due l’una: o la titolarità di uno studio accademico è secondario ai meriti conquistati sul campo o, comunque, almeno come porta d’accesso al mondo del lavoro, presentarsi o essere presentati come laureati dà comunque ancora una mano. Come dovrebbe essere, del resto, in un Paese a istruzione meritocratica. Fermo restando che per molti personaggi il vero trampolino di lancio è la promozione da parte dell’agenzia “giusta”, parafrasando Guccini, di fronte alla capacità di ognuno sul campo “anche il direttore vuol l’autore dottore” per presentarlo al meglio come figura competente in ambiti in cui, poi, la selezione la fa la strada. Il dubbio che emerge, però, in casi come quello di Fabbri e di Sala è essenzialmente uno: se sono stati presentati da molte testate e programmi come laureati, in fin dei conti, qualcuno gliel’avrà pur detto. E al netto di smentite di vario tipo o dell’assenza di rivendicazioni formali, è su questo punto che si gioca la grande ambiguità di un sistema in cui, nonostante un ascensore sociale generalmente bloccato, dire di avere un “pezzo di carta” forse conta ancora qualcosa.