Enrico Mentana, o del fact-checking solo quando fa comodo. Non amiamo il giornalismo col mito della “fondatezza” sui fatti e sull’unica, certa verità. Ma non possiamo fare a meno, alla luce del servizio de Le Iene sulla (non) laurea di Dario Fabbri, sottolineare l’eccessiva durezza della risposta data al bravo e pungente Antonino Monteleone dal Direttore per eccellenza della televisione italiana.
Il servizio de Le Iene è un programma in cui il Nostro in questione, Dario Fabbri, sembra parlare a cose fatte dopo l’intervista a Dissipatio in cui ammette di aver lasciato la Luiss di Scienze Politiche a 23 anni. Rinnoviamo, alla luce della comunicazione di Fabbri al programma Mediaset, il nostro invito al direttore di Domino a una comunicazione più attenta e ponderata. La competenza conta, ma serve anche attenzione. Fabbri, a Monteleone, risponde che non è laureato, esplicitamente, aggiungendo che è il “primo” a cui risponde giornalisticamente circa il suo titolo di studio. Sbagliato, perché la nostra Giulia Sorrentino glielo aveva chiesto esplicitamente in tempi non sospetti, ricevendo una vaga risposta: “Non rispondo mai ad attacchi personali, come non ho mai rilasciato interviste di tipo personale su mie preferenze politiche o sulla vita privata. Amo essere giudicato solo per il mio lavoro”.
Ma su Fabbri, ormai, la frittata è fatta e d’ora in avanti vogliamo giudicarlo sul suo lavoro. Chi nel servizio fa una pessima figura e ci delude è Mentana. Il quale ci delude due volte: innanzitutto per i toni della risposta a Monteleone e poi per il “contrappasso” che impone al metodo del giornalismo fact-checking su cui ha fondato l’intero suo approccio comunicativo da editore di Open.
Mentana dapprima sottrae il telefono che Monteleone sta usando come microfono, tradendo un grande nervosismo di fronte alla richiesta esplicita del giornalista circa verifiche da parte del suo staff sull’effettiva laurea di Fabbri. Sarebbe bastata una risposta diretta: che no, Dario Fabbri andava valutato per i meriti sul campo. Che i cento giorni di dirette su La7 sull’Ucraina avevano convinto Mentana ad affidargli un progetto editoriale. Ma Mentana tira dritto e dopo aver cercato di camminare sugli specchi sulla differenza tra “curriculum” e biografie pubbliche di Fabbri, aggiunge: “il fact checking su Fabbri” e la sua laurea “lo abbiamo fatto” ma gli esiti sono “caz*i nostri”. Testuali parole. Tutto questo in nome di una libertà di dare le notizie che preferiscono.
Eh no caro Mentana, non funziona così. Monteleone, con un’uscita da Oscar, sottolinea che su Open “se Fragolina31 scrive una caz*ata su Twitter” subito arrivano i fact-checker guidati da David Puente a castigarla. Spesso partendo da notizie effettivamente circolanti in piccole comunità web o evidentemente grossolane. Ma in alcuni casi pretendendo di arrivare a dare lezioni a esperti di giornalismo come Seymour Hersh, come successo in occasione del dibattito sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel Baltico. Molto spesso il fact checking pone l’autore, in forma consapevole o meno, nel ruolo di censore delle opinioni e dei giudizi altrui. Non si tratta di rispondere “cazzi nostri” quando una richiesta di chiarimento arriva dall’esterno. Forse la risposta del fact-checking sta nella lettera-fiume di Mentana a Riccardo Puglisi, che ha aperto il Fabbri-gate? Ha scritto Mentana: “Non mi sono mai chiesto, né ho chiesto a lui, per chi votasse e se fosse laureato. E mai fino a oggi mi sono posto il problema, che per me non rileva: senza fare improponibili paragoni, il più grande divulgatore scientifico italiano, e primo animatore del debunking antibufale, Piero Angela, non era laureato”.
Ma Mentana a Monteleone non ha fatto nemmeno “fact-checking” di sé stesso, ovvero commentato se le affermazioni rivolte a Puglisi erano già esaurienti per chiudere la polemica. A ritroso, fondare il giornalismo sul fact-checking può portare a un loop infinito. Ma pretendere che chi compie questo operato, che per avviso di chi scrive è solo una parte e non può esaurire l’intera schiera dei modi di fare giornalismo, si possa ergere a un livello tale da non ricevere una contro-critica in tal senso crea scenari problematici per la stessa professione. E vedere Mentana, icona e ispirazione per moltissimi giovani aspiranti giornalisti nei suoi oltre trent’anni di onorata carriera, ridursi a falli di reazione e arrampicate sugli specchi, oggettivamente, non ci è piaciuto. Ed è doveroso sottolineare che dopo Fabbri a deluderci è stato lui. Sia Fabbri che Mentana, possiamo dirlo, hanno avuto lo stesso peccato originale: sottovalutare Riccardo Puglisi e la sua caccia alla risposta. Puglisi può piacere o no, lo si può amare, odiare e biasimare. Ma sarebbe bastata una calma, trasparente e pacata risposta per chiudere una questione da cui i due volti di punta del gruppo Open-Domino escono decisamente ammaccati.