La risposta naturale alla vicenda Fabbri dovrebbe essere una soltanto: «Chissenefrega». Dei suoi titoli di studio e del suo rapporto con gli accademici, francamente, non si sa a chi possa interessare. Il subbuglio nato su X e cresciuto a valanga fino alla deflagrazione ha fatto felici i suoi detrattori, motivati da una malcelata insofferenza verso l'ars oratoria di colui che è diventato il volto pop della geopolitica in Italia. Il vuoto che costoro vedono nelle sue parole è lo specchio del vuoto che si trova dentro di loro. Incapaci di scontrarsi nell'arena delle idee si sono dati al bullismo su Internet, non troppo differente da quello che Donald Trump muoveva contro i giornalisti blasonati o gli infotainer televisivi che la pensavano diversamente da lui.
Ciò che non si perdona a Fabbri è di aver reso l'approccio realista in politica estera sostanzialmente mainstream nel dibattito pubblico, e così giustificando l'idea che l'Italia stia facendo poco o niente per cercare una propria via nel gioco politico internazionale. Mainstream sono diventate anche espressioni come sfera d'influenza, oltre a teorie più propriamente etnografiche che vedono nei fattori ambientali la mano modellatrice della psicologia collettiva di un popolo (per una volta inteso con accezione neutra) e quest'ultimo, di conseguenza, come attore determinante nel decidere il corso della storia. Roba che diceva Tolstoj centocinquant'anni fa. Peraltro uno che per via dello scarso profitto non riuscirà mai a ottenere la laurea, provvedendo da sé alla propria istruzione.
Di tutte le argomentazioni uscite in queste settimane si fa fatica a trovarne una che non sia insensata. «Come si fa a fidarsi di uno che ha mentito?», scrive un utente. Probabile che Fabbri abbia buttato il vetro nell'umido più di una volta, si spera che anche questo spiacevole episodio non contribuisca ad inficiarne la carriera. I punti centrali rimangono due. Si dice: «Abbiamo l'obbligo morale di verificare le competenze di un analista che ha essenzialmente co-condotto gli speciali La7 durante i primi mesi della guerra in Ucraina». Primo cortocircuito: equiparare la competenza con il conseguimento di un titolo di studio. Come se lo svolgimento di quegli esami mancanti fosse davvero la validazione mancante per rendere le sue idee degne di essere ricevute. L'idea che si vuol far passare fra le righe, nei fatti, è che Fabbri sia stato uno studente svogliato, con molti esami lasciati indietro e con la preoccupazione di dover avvertire casa che il momento di lanciare per aria il cappello non sarebbe arrivato mai.
Constatata l'inconsistenza di un simile scenario si passa al vero punto focale della questione. Ossia il muro di gomma che le agenzie di comunicazione avrebbero frapposto alle richieste del professor X di ottenere risposta. I poteri forti che, nell'ombra, impediscono il raggiungimento della verità per fini economici. L'agenzia di Fabbri si chiama Elastica e fra i suoi speakers si leggono nomi di rilievo come Roberto Saviano, Vittorio Emanuele Parsi, Roberto Burioni, Federico Rampini e Carlo Cottarelli. Questi e molti altri non condivideranno le idee di Dario Fabbri, non c'è dubbio. Ma qui non si parla di idee, ma di visibilità. Il professor X non fa parte di Elastica, e sicuramente non ci tiene a farne parte, avendo palesato un sentimento d'insofferenza verso il potere che le agenzie hanno nell'influenzare il dibattito pubblico. C'è da sorridere però nel notare che la stragrande maggioranza dei commentatori geopolitici trova il proprio pubblico su Internet. Lo stesso Dario Fabbri nasce su YouTube e si sviluppa nel cartaceo, mentre la televisione rimane semplicemente una vetrina dove consolidare un successo popolare conquistato altrove. Il professor X vanta quasi cinque milioni di visualizzazioni su Twitter al mese. Dov'è dunque la sproporzione di forze e mezzi?
Se tutta la vicenda poggia le fondamenta nel complottismo sulle motivazioni dietro le mancate risposte, sarà concessa una ulteriore speculazione. Al professor X Dario Fabbri sta sulle pal*e, tutto il resto viene di conseguenza. Gli dà fastidio il suo tono di voce e il modo assertivo con cui esprime i propri concetti. Sarebbe utile dire, forse, che la battaglia riguardi l'idea che si possa assurgere al ruolo di esperti di una materia solamente tramite i canali classici (ovvero quelli accademici), e non facilitati dal consenso di pubblico. Ma sarebbe altresì facile notare la contraddizione interna di una polemica nata sfruttando un tesoretto (quantitativo, non qualitativo) di circa 100mila follower. Un numero non indifferente, probabilmente destinato ad aumentare nelle prossime settimane. I blastatori di professione (e su X non mancano) che utilizzano la conoscenza come clava per schiacciare la virgola fuori posto riuniscono attorno a loro un coacervo informe e inespressivo, che si adatta al nemico di turno rendendo tossico il dibattito e l'ambiente che li circonda. Perdenti per vocazione, anche quando credono di aver vinto.
Qualche colpa Fabbri ce l'ha? Certo. Per cominciare quella di aver costretto tanti a guardare Le Iene per circa un'ora e mezzo. Poteva correggere gli interlocutori che lo chiamavano Dottore durante le conferenze, questo sì. Ma probabilmente dentro di sé pensava, come tanti, «Chissenefrega».