Caro Dario Fabbri, ci hai delusi. E non parliamo del fatto che non sei laureato, perché non abbiamo il mito del “pezzo di carta”. Quanto piuttosto per il fatto che, e chi scrive parla da studioso di geopolitica a studioso di geopolitica, con il tira e molla nato su Twitter con il professor Riccardo Puglisi hai esposto l’intero metodo geopolitico a un grave smacco. Ci permettiamo di rivolgerti direttamente a te, Dario, perché conosciamo la tua competenza e intelligenza, che non si mettono in discussione. Ma la gestione del caso è stata un flop clamoroso. E la toppa, con le risposte alle chiare domande dei colleghi di Dissipatio, peggiore del buco. Sostieni, Dario, che “è stato indispensabile collocarmi fuori dall’accademia per sviluppare un pensiero diverso, estraneo alle relazioni internazionali e alla politologia”. Ognuno segue il suo percorso, dici, ed è legittimo farlo. Bettino Craxi non era laureato e sopravvisse per anni in un mondo di dottori sottili, spesso punitivo e classista, fino a diventare presidente del Consiglio. Giuseppe Di Vittorio spiegò le dinamiche del mercato del lavoro a grandi economisti e industriali da semplice sindacalista. Enzo Biagi e Piero Angela non erano laureati e hanno saputo fare del loro mestiere di giornalisti e divulgatori, in forma pugnace, un mezzo per essere protagonisti del dibattito pubblico e culturale.
"Non rispondo mai ad attacchi personali, come non ho mai rilasciato interviste di tipo personale su mie preferenze politiche o sulla vita privata. Amo essere giudicato solo per il mio lavoro": così avevi risposto a MOW interrogato sulla polemica di Puglisi. Un’uscita che, col senno di poi, non possiamo che definire infelice. Puglisi ha sicuramente sbagliato a ricamare sulle accuse mosse nei tuoi confronti. Ma, lo ribadiamo, l’errore di fondo è stato fornirgli il filo e l’ago. E questa è una tua responsabilità. Non avere una laurea non è uno stigma. Ma rivendicare il titolo di “dottore in Scienze Politiche” su più luoghi e posizionare una disciplina complessa come la geopolitica su un piedistallo diverso senza poi essere pronti ad affrontare le conseguenze delle critiche significa esporre sé stessi e la propria disciplina a un contraccolpo grave. Puglisi ha insistito, con forza e tante volte anche con invadenza, arrivando al parossismo nella caccia alla “laurea di Dario Fabbri”. Ne ha fatto una crociata personale. Sarebbe bastata un’onesta risposta al tweet che ha aperto la faida per placare la questione. Ne saresti uscito con stile. Affidare la risposta a un media percepito come “amico” non appare, in quest’ottica, la migliore delle vie d’uscita. Non è una critica ai ragazzi di Dissipatio: chi scrive conosce da vicino la storia del gruppo ben coordinato dal bravo Davide Arcidiacono e non ha dubbi sulla sua professionalità. Ma affidare questa risposta a una testata che presto ti avrà ospite a Libropolis può creare problemi di fraintendimento, soprattutto in quella giungla feroce che è il mondo di Twitter, X o come diavolo si chiama dove è nata la polemica. L’accademia ha le sue logiche e le sue tare, ma non basta, Dario, proporre meriti acquisiti sul campo come rimedio: si rischia solo di accentuare un presunto sentimento di minorità. Nell’intervista rivendichi i risultati acquisiti che centinaia di migliaia di lettori hanno premiato con la lettura dei tuoi articoli e delle tue analisi. Il metodo che hai importato da autori come George Friedman, lo studio della geopolitica classica unita alla grammatica strategica e la rivendicazione di essere andato oltre una certa costrizione accademica ti sono stati riconosciuti. Ma oggi queste uscite appaiono più come una excusatio non paetita. Scrivi, Dario che la geopolitica umana è stata inserita nel dibattito del Paese. Che sei stato “invitato a presentare la grammatica imperiale, parte della geopolitica umana, ai dottorandi dell’Oriel College di Oxford. Oppure a illustrare strategia e tattica di Stati Uniti, Russia e Cina al management di Microsoft Usa, assieme a personalità come lo scrittore Walter Isaacson, l’astronauta Scott Kelly, il giornalista Dan Rather”.
Ma oltre “io, Dario Fabbri”, cosa esiste? È la domanda che ti poniamo da studiosi della geopolitica, da intendersi come metodo, prassi, terreno di confronto tra discipline prima ancora che come hard science. Da difensori del metodo geopolitico contro lo stizzito ditino alzato dei vari Michele Boldrin, Vittorio Emanuele Parsi e compagnia bella che da tempo attaccano questo modo anticonvenzionale di pensare la grammatica strategica. Grandi accademici hanno saputo parlare, egregiamente, di geopolitica. Chi scrive cita alcuni maestri personali: Aldo Giannuli e Alessandro Colombo. Altrettanto bene è emerso chi sa parlare del metodo geopolitico partendo da studi non necessariamente inquadrati accademicamente. Su Limes Alessandro Aresu ha scritto di geoeconomia e competizione tecnologica con un metodo multidisciplinare; sulla medesima testata che ti ha dato la fama notiamo con attenzione l’approccio di Greta Cristini, “geopolitica” prestata ai reportage che ha ibridato analisi e giornalismo nel suo viaggio al fronte in Ucraina; nel canale YouTube “Parabellum” Mirko Campochiari ibrida pensieri di diverso tipo e spesso chiama l’analista Amedeo Maddaluno, nel cui “Geopolitica – Storia di un’ideologia” si capisce molto del metodo che questa disciplina dovrebbe seguire. Scrive Maddaluno un dato fondamentale nel suo libro: “La geopolitica può fornire, nello smarrimento della post-modernità liquida – per dirla con Bauman – un’interessante chiave di lettura dei rapporti di forza del mondo – anche se non l’unica: sarebbe interessante capire quanto pesino ancora le dialettiche di classe, ad esempio”. Leggi queste parole, Dario: chiave di lettura, mezzo ma non fine, strumento per aumentare le competenze di varie discipline. Questo è la geopolitica: un metodo emancipatorio del sapere. Non un recinto anti-accademico in cui rinchiudersi contro il mondo. Rivendicando di aver lasciato gli studi per seguire la geopolitica, sembri assecondare questo approccio ed esporre la geopolitica all’attacco, citiamo Maddaluno, “di quegli autori che ne sviliscono il valore scientifico – e forse spirituale? – per renderla una semplice cassetta degli attrezzi nelle mani del potentato di turno, o peggio ancora la giustificazione ideologica di qualche sciovinismo momentaneo”. A cui si iscrivono i Puglisi, i Boldrin, i Parsi del Twitter e non solo. Hai fatto un errore, ma non ti vogliamo mettere in croce per questo. Speriamo tu possa ammettere di aver fatto una leggerezza. E di ripartire con forza e spirito. Abbiamo bisogno di capire approfonditamente il presente. E la tua voce può essere una di quelle utili. Purché tu capisca che non è l’unica che vale la pena ascoltare, come dall’intervista sembra trasparire. Sarebbe un assist grave a chi mette in discussione il tuo lavoro tutto questo. E non puoi permetterti di fornirglielo.