Red Canzian, considerato per coincidenza o no il “bello dei Pooh”, ha portato in scena quest'anno Casanova Operapop (vincitore del Premio Flaiano a luglio), dal romanzo di Giacomo Casanova; un miracolo di ostinazione e inventiva, che vede ormai il traguardo delle 90 repliche (con tante richieste ancora, in Italia e all’estero) e presentato in versione lungometraggio fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Un'altra scommessa vinta, come il ritorno sul palco insieme agli Amici per sempre, come diceva la canzone. Dopo Sanremo e gli stadi, ora l'Arena di Verona e ancora un tour nei palazzetti (quasi ovunque sold out) che porterà i Pooh su e giù per l'Italia. Cosa li ha spinti a tornare insieme dopo la rottura del 2016 che celebrava i 50 anni di carriera? “L'amore del pubblico ci ha travolto”, spiega il bassista e voce della band, che ci riserva poi una lunga serie di aneddoti...
Red, com'è nata l'idea del film su Casanova?
“A convincermi sono stati i messaggi delle persone che non lo avevano visto, eppure abbiamo fatto 88 repliche. Nel frattempo a Roma Carlo Vanzina suggeriva: sai che il tuo spettacolo ha un taglio cinematografico? E così è andata”.
Bando alla modestia: s'aspettava questo successo?
“Ci speravo, come in ogni lavoro, ma essendo un assoluto principiante in tale ambito, non lo immaginavo. Il merito è della gente, che è stata molto benevola e ha permesso allo spettacolo di diventare il successo teatrale dell'anno”.
Qual è, se c’è, il segreto del trionfo?
“Venezia è meravigliosa e crea una suggestione già particolare, supportata dalle immagini di realtà immersiva. Per non parlare della storia: Casanova perde il suo ruolo di tombeur de femmes e diventa un uomo che per amore cambia la sua vita. Che dire poi dei 120 costumi realizzati da Stefano Nicolao, che riempiono la scena, e la musica realizzata con l'orchestra sinfonica…”.
Si sente un po' Casanova? Detto “il bello dei Pooh”...
(Se la ride). “Non ho mai contato su quest'aspetto; più che donnaiolo col tempo sono diventato come il mio Casanova, uomo di scienza, poeta, e persino spia a protezione di Venezia. Chi lo impersona nella nostra opera, Gian Marco Schiaretti, è straordinario, e fedele alla nostra storia”.
Un musical anche su altri personaggi?
“Di personaggi forti ce ne sono; penso a Michelangelo o Van Gogh, altro uomo pieno di contrasti, e stimolante da portare in scena”.
Passiamo ai Pooh, la reunion improvvisata è diventata una tournée: che è successo?
“L'amore del pubblico ci ha travolto, e da Sanremo a San Siro abbiamo messo su un'altra ventina di date, compresa l'Arena di Verona, tutte sold out, segno di quanto bene ci vuole la gente”.
Lei che è rockettaro, che dice dei Måneskin?
“Sono straordinari, li ho conosciuti quando suonavano per strada”.
Cioè?
“Un giorno li ho incontrati in via del Corso a Roma: lasciai anche una mancia di 10 euro. Colpito dalla loro personalità e bravura, dobbiamo essere orgogliosi del loro successo”.
Dureranno anche loro 50 anni come i Pooh?
“È una previsione imprevedibile, ma sono talmente capaci che non vedo limiti”.
Ma come se la passa la musica italiana?
“Non amo molto ciò che sento in radio, faccio fatica a capire. Sarà un fatto generazionale? I giovani sono fagocitati da questo sistema usa e getta, compresi i talent: un talento come Marco Mengoni lo scovi ogni 30 anni. Resta il fatto che tra 50 anni non canteremo un pezzo rap ma ancora Sapore di sale”.