Torna Rhove e si prepara a un nuovo successo. Chiusa un’annata record (superato il muro di 1 miliardo di ascolti totali; oltre 200 milioni, invece, le visualizzazioni dei suoi video), l’idea è quella di recuperare il trono momentaneamente conquistato nel 2022 con “Shakerando”. L’asso nella manica, stavolta, s’intitola “Pelè”. “Pelè” è una cassa dritta, un occhio rivolto ai club e un bel mazzo di versi pieni di parole troncate (Achille Lauro prima maniera docet). Tutto ok, tutto preciso. Del resto l’obiettivo di queste bombe ad alta precisione è quello di stare lassù in alto senza turbare troppo le nostre orecchie. La scena rap/urban italiana, in un recente passato che sembra già Storia, sapeva essere più ruvida, più irruente, ora è completamente a proprio agio con contraddizioni che, siccome non le vede più nessuno, forse non sono neppure tali. Il video è di quelli street. Alla “Tuta di felpa”, per tornare molto indietro; alla “Thoiry RMX”, persino, sebbene in quel caso la fiumana di amici, guidati dal buon Achille (sempre lui), scorrazzasse per il centro di Milano e non in periferia. Forse il riferimento più vicino a “Pelè” è “Body 2” di Tion Wayne x Russ Millions, banger di razza, quasi definitivo, che metteva in fila una poderosa sfilza di rapper inglesi a cavallo fra la scena trap e quella grime.
Ma sto facendo i conti senza i possibili riferimenti francesi di Rhove, probabilmente decisivi nell’ispirare questa “Pelè”, il cui video è stato girato a Marsiglia. Protagonista, la comunità. L’abbraccio collettivo dei ragazzi, tutti compresi nella parte, tutti orgogliosi della loro uniforme tech-wear all’ultima moda. Estetica street e militante, ma pulitissima. Questa, per chi scrive, resta ancora una piccola contraddizione in termini. Non che la strada abbia per forza “da puzzà”, per carità, ma viene da chiedersi se questa fascinazione per le proprie radici popolari non sia ormai un distintivo d’onore vagamente ruffiano. Perché ormai l’appartenenza alla strada è qualcosa di istantaneamente imitabile e quindi rappresentabile. Il brand giusto, l’atteggiamento giusto, la fótta giusta, e poi mitragliate di “bro” e “fra”. Eccolo qui lo starter-pack pronto uso del ragazzo di strada del nuovo millennio.
Detto questo, “Pelè” fa egregiamente il proprio mestiere. Spinge, avvolge, diverte. Se in “Body 2” si citavano Bergkamp e Zola, qui, oltre a Pelè, sfilano Dybala, Miccoli (“i tagli sulle ciglia alla Miccoli”), Lewandowski e Benzema, tutti emblemi di quel calcio che ha conquistato l’Eden partendo dal basso. “Pelé non è solo un omaggio a un mio mito personale, ma rappresenta anche tutti quei ragazzini che giocano nei campi dei loro quartieri, sfogando così i loro problemi. Voglio trasmettere loro energia, far sì che siano incentivati a seguire le proprie passioni e realizzarle, anziché deviare dai propri percorsi”, racconta Rhove, e in questo senso “Pelé” è la lettera che oggi un ragazzo medio, nel 2023, è disposto a leggere. È un pezzo con il quale caricarsi, un lampo tonificante. Emulerà il folle consenso suscitato da “Shakerando”? Mah, forse “Pelé” non possiede quella trasversalità pop, ma è un pezzo giusto, furbo, un kolossal in miniatura – stavolta la contraddizione perdonatela a me – da consumarsi sotto un androne. Sperando che quell’androne si trasformi in uno stadio e il campetto accanto in una distesa verde griffata Premiership.