“Le canzoni sono tutte belle, è il riscontro del pubblico che ne rende qualcuna migliore di altre”. Riccardo Cioni pensava questo della musica e pensava anche che la differenza tra il dj e il musicista fosse determinata solo dalla posizione che si sceglie di tenere, che non esista un ruolo superiore all’altro. “Il dj deve avere la capacità di cogliere le emozioni e le storie che le canzoni vogliono trasmettere e mixarle perché al pubblico arrivi un’energia autentica”. Essendo stato entrambe le cose, prima bassista e poi disc jockey, non rischia di finire nella antica polemica tra chi suona e chi mette i dischi, lui è tutto.
“Il Cioni”, così lo chiamavano i fan di sempre, ha lasciato un segno indelebile lungo un’intera epoca e probabilmente per sempre. Il suo stile ha attraversato le mode e i cambiamenti della società, senza dover diventare qualcos’altro o inseguire le tendenze del momento. Un mito, espressione che per chi non abita in Toscana potrebbe apparire esagerata, ma è sufficiente leggere il post che Linus ha pubblicato su Instagram il giorno in cui si è diffusa la notizia della sua scomparsa, per dare un valore alla sua grandezza: “Riccardo è stato il primo dj ad essere così famoso tanto da fare le serate con il nome sui manifesti”.
Riccardo Cioni è morto pochi giorni dopo l’inizio di uno speranzoso 2021, a soli 66 anni, e, mentre porta via con sé i sogni e i momenti felici di un’intera generazione, la sua icona riaccende i ricordi di chi oggi, 60enne, vive con la malinconia di quel tempo meraviglioso che furono gli anni ’80 in Italia. Periodo in cui si cercava di dimenticare il difficile decennio precedente con la spensieratezza e la curiosità di vedere oltre, con il coraggio di mettersi in mostra un po’ più colorati di prima, più belli (dobbiamo ammetterlo) e soprattutto, al ritmo di disco dance, che ormai spopolava ovunque.
I primi passi nella musica li muoveva negli anni ’70 in Toscana, a Livorno, quando nelle case della vivace città portuale si polemizzava contro il verdetto del Festival di Sanremo che aveva visto vincere “Chi non lavora, non fa l’amore” di Adriano Celentano e Claudia Mori. I giovani, ma anche tanti lavoratori di una città fortemente comunista, contestarono il testo perché contro lo sciopero e, soprattutto, perché si invocava il "signor padrone” per farsi aumentare lo stipendio che avrebbe dovuto invogliare, finalmente, la moglie a fare l’amore.
La città è la sua comunità le conosciamo bene. Livorno non ha padroni, né Papi ai quali stendere il tappeto rosso, ma quando si parlava di Riccardo Cioni, che più volte nei suoi eventi, oltre ai 45 giri, era riuscito a mixare anche i pisani con i livornesi, i cittadini della città labronica ci tenevano a precisare la sua provenienza. E lui, giovane col capello lungo liscio stile Lorenzo Lamas di Renegade, con qualsiasi cosa riguardasse la musica ci sapeva fare. Se ne accorsero in una piccola discoteca, una domenica pomeriggio, mentre aspettavano l’arrivo del loro dj abituale. Era in ritardo e il locale era pieno di gente. Così salì in consolle un ragazzino che disse al titolare di saper usare un mixer. Un predestinato, una magia simile al sombrero di tacco di Cassano all’esordio in serie A contro l’Inter, che fece impazzire migliaia di persone. Da quel giorno iniziò una lunga e straordinaria carriera, che solo il Coronavirus e la chiusura delle discoteche avevano sospeso, prima che la malattia e le successive complicazioni ponessero fine alla vita di questo grande artista, capace per 40 anni di far ballare ogni generazione e di miscelare i sogni di tutti, di passare dal funky degli Heart, Wind & Fire al rap di Curtis Blow, dispensando gioia, raccontando le storie di chi, in quelle serate, si incontrava, si innamorava, costruiva il proprio futuro in un paese grezzo, ancora vergine e capace di sorprendersi.
Riccardo Cioni è stato la radio, dove il suo programma “dj Full Time” era il più atteso tutte le notti, e anche produzioni musicali di grande successo, tra le quali ricordiamo il pezzo “In America”, prodotto nel 1982 e stampato fino in Canada, nato grazie alla battuta di un militare dell’esercito Usa della base di Camp Derby …“If you wanna get funky, go to America, If you wanna get funky now, If you wanna get funky, go to America get in down…” trasformata in un tormentone planetario.
Una storia sincera, di amicizia, che ha tenuto legati nel tempo quelli che oggi sono uomini, donne, padri, madri, come accade quando organizzi la cena del liceo vent’anni dopo il diploma. Una storia di Negroni buttati giù tutti d’un fiato, di sorrisi rubati nella pista di una discoteca, di rossetti nascosti nella borsa prima di uscire di casa, di segreti, di motorini truccati, una storia raccontata a 33 giri o 45. Lo decideva il Cioni, il dj per eccellenza, il prestigiatore che mixava le emozioni di un tempo che ci ha lasciato. Insieme a lui.