Prendetevela con qualcuno più alto! Oramai fischiare il ministro Gennaro Sangiuliano, detto "Calimero", è diventato come sparare sulla Croce Rossa. Dopo i fischi a Taobuk (coperti con applausi dalla intrepida Rai), lo hanno fischiato anche a Polignano a Mare durante il festival Il Libro Possibile. Persino durante la serata del Premio Strega, nonostante fosse assente, la Geppi Cucciari ci ha dato che ci ha dato che ci ha dato. Noi di MOW d’estate diventiamo buonissimi (riprendiamo a litigare con i primi freddi perché siamo personcine intelligenti), così vogliamo lanciare l’hashtag #savesangiuliano. Per attuare questa “estrazione” (si dice così in gergo militare) bisogna agire su due fronti. 1) Il ministro Sangiuliano deve aiutarci. Sono previste istruzioni anche per lui. Noi arriveremo con i Suv blindati neri, armati fino ai lobi e anche oltre, avremo supporto aereo, ma lui si deve fare trovare nel punto di estrazione (immaginatevi Gennaro Sangiuliano come Tyler Rake interpretato da Chris Hemsworth, dai, ce la potete fare). 2) Bisogna conoscere il ‘nemico’, il pubblico fischiatore. Pronti? Cominciamo.
1) Ma che è questa storia del ministero della cultura? Ma non si può sentire. Come se la cultura potesse essere istituzionalizzata. Certo, cultura vuole dire tutto e niente: cultura è anche un manuale di giardinaggio o il libretto delle istruzioni del decoder. Ma per ognuna delle branche della cultura c’è il ministero apposito (figurati): al giardinaggio c’è Francesco Lollobrigida, ai decoder c’è il sottosegretario con delega all’innovazione tecnologica Alessio Butti. Nel ministero di Sangiuliano, invece, “cultura” vuol dire proprio quella cosa lì, quella faccenda che rende “acculturati”, i romanzi, le poesie, i saggi, l’arte pittorica, scultorea e tutti ‘sti gran ca**i. Il ministro Sangiuliano tenga presente una cosa: col pensiero non si scherza. Ecco perché la lingua italiana ci viene in aiuto: una cosa è la “cultura”, altra cosa sono i “beni culturali”, che essendo “beni” hanno bisogno di conservazione, di illuminazione, delle toilette per i visitatori, poi ci vuole chi spazza, chi lucida le tette alle statue, chi svuota i cestini. Quello deve fare il ministro Sangiuliano. Lo vogliamo vedere d’estate nei parchi archeologici. La Cnn ha da poco fatto un servizio sconsigliando gli americani a visitare la Valle dei Templi di Agrigento questa estate perché non c’è l’acqua. Il ministro Sangiuliano si deve fare vedere mentre passeggia sotto il solleone, con la borraccia vuota, tra i templi agrigentini vestito da esploratore in bermudini tattici ed elmetto coloniale. Altro che le seratine nei festival in cui si parla di libri a fare l’uomo di cultura. A rispondere con frasi inquietanti, molto inquietanti, come quella data al pubblico fischiante di Polignano: “Il dissenso è il sale della democrazia, chi ha dissentito è amico mio”. Ma che vuol dire? La ‘politica’ è divisa in amico/nemico, secondo la definizione canonica di Carl Schmitt. La frase di Sangiuliano sembra il bacio della morte. Il pubblico non è amico di Sangiuliano. Ne prenda atto. Deve occuparsi di cose morte – statue, scavi archeologici, quadri – non di cose vive. Assuma un atteggiamento da necrofilo. Non so: abbracci una statua, lucidi una cornice, impasti il gesso per le strutture di sostegno dei palazzi da conservare. E, soprattutto, cambi il nome al suo ministero, ch nacque nel 1974 con la splendida dicitura Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. L’ambiente lo volete dare a qualcun altro? Bene. Si tenga i “beni culturali” ma lasci stare la cultura. Noi, nel frattempo, facciamo fuoco di copertura sul pubblico.
2) Il pubblico dei festival letterari non è un pubblico di lettori ma di guardoni. Vanno a guardare l’autrice o l’autore in un impeto di bovarismo. Chi legge non va ai festival letterari. Chi legge se ne frega dell’autor*. Gli importa del testo e null’altro. Ma poi, che senso avrebbe andare a parlare di libri, chiusi nei chiostri dove non spira un alito di vento o in riva al mare dove la spiaggia restituisce il caldo accumulato di giorno, mentre alle donne cola – letteralmente e letterariamente – il trucco dalla faccia e gli uomini sono costretti a indossare la giacca? Un lettore vero, ossia una persona con un minimo di intelletto pensante, le sere d’estate a trenta gradi se ne va in giro col pareo, senza mutande e con la maglietta col buco per fare vento: coloro che dicono che il linocotone è fresco sono pazzi di catena, altro che lettori! Poi ci sono quell* in abbigliamento etnico: non si truccano, non si lavano, annuiscono compunti, si indignano (col caldo, si indignano col caldo, ma vi rendete conto?) e passeggiano per le strade di innocenti (o colpevoli) cittadine come fossero naufraghi in un’isola esotica che cercano di imparare gli usi e i costumi del luogo, e infatti ci sono sempre le bancarelle che vendono i braccialetti di perline. Volete la dimostrazione che il pubblico fischiate non sia un pubblico di lettori? Lo hanno mai fischiato a Dario Franceschini quando, da ministro, propose la Biblioteca Nazionale degli Inediti? Ve la immaginate: una biblioteca nazionale con i manoscritti dei poeti della domenica e di sedicenti geni incompresi? No che non lo fischiarono. E sapete perché? Perché non sono lettori. Sono poeti della domenica e sedicenti geni incompresi. Non leggono, scrivono. E se ne vanno in giro d’estate col caldo a fare gli intelligenti. Ministro Sangiuliano, non vorrà mica fare l’intelligente anche lei?