“Amichettismo”, da fenomeno di sinistra che sembra di destra a fenomeno di destra che sembra di sinistra. Il tutto senza mai citare il creatore del lemma: Fulvio Abbate. Che così viene estromesso dal dibattito sulla sua creatura. Che succede? Il ministro Gennaro Sangiuliano, a proposito del Salone del Libro di Torino, diretto da quest’anno da Annalena Benini, ha detto a La Stampa: “Basta squadristi […] Non ha senso pensare a un’egemonia culturale della destra da sostituire a quella di sinistra. Non ci sono casematte da assaltare. C’è da garantire una cultura aperta e plurale, dove chiunque parli liberamente, senza censura e pregiudizi. Tutti abbiano la libera possibilità di mostrare capacità e misurarsi superando consorterie e ‘amichettismo’”. E così, il prodigioso lemma “amichettismo”, coniato da Abbate (sul quale ha poi scritto un saggio, distribuito dapprima per vie personali, quindi lanciato da MOW, dov’è scaricabile gratuitamente) per descrivere una certa sinistra letteraria che all’avviso dell’autore si comporta come la destra (“Così aderisce alle ragioni e alle prassi del liberismo, sebbene dichiari di collocare il proprio umano presidio esclusivo ‘a sinistra’”), viene amplificato da Sangiuliano al punto da essere assimilato al termine “squadrismo”. Ohibò, ma quivi urge una riflessione! Innanzitutto: Gennaro Sangiuliano cita il lemma ma non lo spiega, lo dà come di significato acquisito. Chi ha letto il saggio di Abbate sa invece che il ragionamento dell’autore è squisitamente all’uso ‘francese’: poiché è dentro gli inviluppi del linguaggio che viene fuori la descrizione di una realtà che si vorrebbe complessa e che invece è semplice. L’amichettismo è squadrismo? “Amichettismo”, cioè dire, non è una parola da buttare lì. È come se Gennaro Sangiuliano avesse detto, non so, “briologia” senza spiegare che è lo studio dei muschi o “docimastica” senza avvisare l’ascoltatore che si tratta di un’analisi dei minerali. Oltre a non citarne l’autore (forse nel contesto di una dichiarazione riguardante il Salone del Libro di Torino andava citato) l’uso del lemma “amichettismo” da parte del ministro lo fa sembrare simile alla parola che lo precede nella frase: consorteria. E non è così.
Il dibattito sulla (e nella) differenza tra amichettismo e consorteria è stato oggetto di uno scritto di Loredana Lipperini dal titolo: “Parlarne fra amici, la questione dell’amichettismo letterario”. Ecco ora adesso Ella Lipperini che dice? “Piero Dorfles, nel suo intervento su La Stampa, lamenta quello che in lingua corrente si chiama “amichettismo”, ovvero la consuetudine di recensirsi a vicenda fra scrittori lodandosi”. Ma no madame! (Immaginatelo con la pronuncia del doppiatore di Peter Sellers che interpreta l’ispettore Clouseau). Quello è il significato di “congrega” (termine usato da Madame Lipperinì per esplicare – sbagliando – l’amichettismo). Come tutti i pastori sanno “congrega” viene da “gregge”, “riunire in gregge”, che però prevede un pastore. È la Lipperini la pastorella di Farheneit? (Dove si mette l’acca?). Ma no, mon Dieu! La, per così dire, “specifica” dell’amichettismo è il suo nascere all’interno di una struttura democratica: la democrazia letteraria! Non ci sono pastori men che mai pastorelle. Ecco una prima differenza tra “amichettismo” e “squadrismo”: quest’ultimo, al contrario del primo, prevede un pastore e prevede i “gregari”, pronti a menare le mani in senso più o meno metaforico (dalle legnate, alle critiche non costruttive, ai nasini alzati – si fanno le puzzette sotto al naso a vicenda). L’amichettismo insiste in un contesto democratico, lo squadrismo no. Mi sovviene l’amato Gottfried Benn, quando sospirando scrisse (non so se sospirasse, ma ne sono abbastanza certo): “Ah, i Greci. Questo geniale popolo di merda!”. Perché è nella democrazia, e quindi sulla “cittadinanza”, e quindi sulla “cittadinanza letteraria”, che l’amichettismo dispensa o toglie dignità. Ci si è semplicemente dimenticato, nella foga autoincensatoria democratica, che la democrazia ab origine è basata sull’istituto dell’ostracismo. Non vi è l’una senza l’altra. La democrazia nasce “con” l’ostracismo (concetto ampliato da Carl Schmitt ne “Le categorie del ‘politico’”, dove spiega in maniera esaustiva come sia il ‘nemico’ a identificarci come ‘amici’): senza ostracismo niente democrazia. Gli “amichetti” che praticano l’amichettismo ostracizzano? Ma certo che sì, cos’altro dovrebbero fare? (questo l’ho detto con l’accento di Poirot). È qui che non concordo con Fulvio Abbate: nel tono. Egli ha trovato il lemma adatto a descrivere un comportamento insito nella democrazia. Ma è come se Abbate si scandalizzasse dell’ostracismo, dell’estromissione, della damnatio memoriae, degli sputi, delle caccole, dei gnegnegne. Quando è nient’altro che democrazia, bellezza: feroce e insopportabile (Tocqueville, assistendo alla prima seduta del parlamento americano si mise le mani nei capelli, poi tentò di fare ordine). In ogni caso scaricatevi il saggio. Prego la Treccani di inserire il lemma tra i neologismi – con la necessaria paternità. E, per concludere: “Le parole sono importanti” (il ceffone datevelo da soli – cit. Nanni Moretti).