La differenza tra un cosiddetto “cinepanettone” – le virgolette servono qui a suggerire una confezione idea-regalo; siamo dunque nel metalinguaggio, sappiatelo – pensiamo segnatamente alle opere firmate dai maestri Carlo ed Enrico Vanzina, e l’intera filmografia di un altro non meno venerato maestro, ossia Nanni Moretti, è semplice da spiegare, e soprattutto custodisce la chiave d’ogni possibile legittimazione linguistica decisamente alta per entrambi i casi. Detto in breve: Carlo ed Enrico, diversamente dall’edificante e impegnato collega monteverdino, per esistere nell’alto mondo delle Idee non hanno necessità di citare il pensiero di Hans Magnus Enzensberger, come accade nell’episodio Isole contenuto invece in Caro diario. Esistono per definizione, editto immediato, come ogni sentenza che non abbia necessità di legittimarsi in un Erasmus. In questo senso, è più che giusto che non figurino nel plamarès dell'amichettismo cui è caro su ogni altra cosa il flatus vocis di una Chiara Valerio. Vanzina, infatti, perfino nel più immediato casual linguistico, ha modo di conquistare il pieno consenso orgasmico dello spettatore, del pubblico; dunque la Palma, l’Oscar, la Coppa del Mondo e dello stesso Nonno, doni dell’empatia laica liberatoria, libera da ogni gravame solo apparentemente ideologico e ancor di più etico. Per quanto questa possa sembrare un’opinione azzardata, impropria, assente alla bilancia dei pesi specifici estetico-linguistici, si sappia che tale convinzione abbiamo avuto modo di verificarla di persona con il nostro doppio occhio-decimetro critico, senza mai rinunciare alle doverose leggi dell’eleganza radical-chic, compiendo una sorta di tac cui è seguita una risonanza estetico-magnetico su ogni singola sequenza delle rispettive distinte pellicole. Mi torna adesso in mente quando, anni addietro, vita assai vissuta, andavo a trovare l’amico Riccardo Garrone, dominio dei Parioli, al 54 di via Giuseppe Mercalli. Garrone cui si deve una sentenza, pronta lì a pesare come un collare della Santissima Annunziata cinematografica, che giunge proprio da un film caposaldo dei già menzionati fratelli Vanzina: “E anche questo Natale ce lo siamo levato dalle palle”. Eccolo, il mio Riccardo, circonfuso nel suo pigiama d’azzurro laziale, pronto in quei giorni a lamentare il tragico silenzio telefonico che rappresenta l’incubo d’ogni attore non più scritturato; la Lavazza aveva smesso di imporlo alle masse televisive nel ruolo di San Pietro nello spot del suo caffè, e Riccardo di questo si doleva, trovando tuttavia il tempo di raccontarmi l’età dorata della commedia all’italiana, senza tuttavia tacere, tra una storia e l’altra, le meschinità dell’attore protagonista nei confronti del collega comprimario o semplice caratterista – “Se Alberto non vuole che Riccardo dica quella battuta, Riccardo la battuta non la dice!” – si sappia che di quelle visite, accanto alla replica della battuta sul Natale liberato altrettanto dal gravame delle palle, custodisco un lungometraggio girato con il cellulare, dove sfavilla un Riccardo strepitoso: appendici, “minima moralia”, se non ancor di più “immoralia”, di un qualcosa che prima o poi diventerà a sua volta magari non proprio un film, comunque un documentario sentimentale su un tempo perduto, venuto meno, mancato agli occhi. E nel dire questo anch’io immagino di ispirarmi esattamente al canone vanziniano, così da restituire, metti, il racconto di quando, a Parigi, sempre lui, Riccardo, accompagnò Paolo Stoppa a Pigalle, o chissà dove, per assistere a uno show realizzato da spogliarelliste trans, anche se allora si diceva travestiti, e per tutto il tempo Stoppa gli diceva: “Nun ce credi che quer gran pezzo de fica c’ha er pisello?” E ancora di quando, sempre in tema di piselli, Riccardo raccontava di un famosissimo attore che in tema di misure era dotato al di sotto d’ogni possibile capacità coitale… In realtà, perdonate l’iperbole, personalmente, pur avendo tutti i titoli aristocratici per ambire al podio del disprezzo che ogni vero radical-chic debba riservare ai corpi estranei alla Gauche Caviar, come anche dimostrato scrivendo un pamphlet dal titolo testuale insieme a Bobo Craxi, e presentato proprio da Enrico Vanzina al Circolo Aniene di Roma; e vuoi mettere più cinepanettone d'autore di una presentazione dove si parla della salvezza del socialismo attraverso l’ironia fatta proprio nel luogo più esemplare dell’alto diportismo capitolino, con uno straordinario Giovanni Malagò a fare gli onori e gli oneri di casa?
Nell’ideale mondo del mio cinepanettone ideale, corroborato dal non meno particolare vissuto, per un attimo credo sia possibile assemblare l’imperdibile passione adolescenziale per Bertolt Brecht e il suo teatro “epico”, immaginando perfino Alvaro Vitali a spingere la carretta di Madre Courage insieme a quella di Peppino De Filippo nei panni invece del capocomico napoletano don Felice Papocchia alle prese con il tema della Fame in uno sceneggiato, La carretta dei comici, tempi di doverosa attitudine militante… Già, ho ancora il ricordo di me giovane adolescente trotskista (nulla però a che vedere con il supponente pasticcere evocato da Moretti) ritagliare ogni articolo che lo riguardasse, e nello stesso tempo fiancheggiare il cinema del Movimento “panico” di Jodorowsky, Topor e Arrabal, che più avanguardia di così non si può, parliamo sempre degli Anni Settanta. Mi riferisco segnatamente a film leggendari di Fernando Arrabal come Viva la muerte o Andrò come un cavallo pazzo. Sarà stato il 1990, ed ecco l’episodio che brillerà al centro del mio cinepanettone vivente. Mi trovo sul palco del Teatro Parioli, ospite del “Maurizio Costanzo Show”, interpellato su un tema di pertinenza amorosa e sentimentale, tutto ciò che oggi verrebbe riferito alla categoria del “sottone”. Sollecitato dal conduttore, racconto un episodio personale che risale al 1982, forse all’83, lo stesso anno in cui era venuto al mondo il film di cui stiamo parlando, “Vacanze di Natale”, o anche vacanze non si sa dove, lo dico memore di me stesso che anni fa a proposito dell’involuzione di Roberto Benigni suggerii a quest’ultimo di realizzare lui invece Vacanze sul Golgota, bene, a un certo punto racconto di quando la madre di una mia fidanzata di allora, Loredana, sentendo la mia voce al citofono così pronunciò: “La prego di non farsi più vedere sotto questo fabbricato!”. Ero convinto di avere appena consegnato a Costanzo e al suo pubblico una pepita d’oro che avrebbe suscitato un grande dibattito perfino linguistico e invece Costanzo, gelido: “Scusi, se avesse detto a palazzo sarebbe stato diverso?” È in quel momento, mentre sento svanire dentro di me ogni speranza, che mi venne incontro una ragazzina bionda presente sullo stesso palco, è Karina Huff, l’inglesina di Sapore di mare, Karina sporge la testa e dice semplicemente una frase che mi salva per l'eternità: “Io lo capisco perfettamente quello che intendeva dire Fulvio”. In quel momento mi sento salvo. Peccato che né Karina né Riccardo Garrone ci siano più. Lui lo ripenso anche quando mi raccontava i suoi giorni nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese, costretto perfino a scalare colline in cerca di partigiani da rastrellare. Ricordo cui prima o poi dedicherò un’opera intitolata Riccardo G.. Il materiale, come ho già detto, dorme nel mio computer in attesa d'essere salvato, trasmutato in opera. Quanto invece a Karina, lei l’avevo poi incontrata in una trattoria che mi manca ancora adesso, La Ruota, che stava alle spalle di via Monte del Gallo, dove cucinavano degli spaghetti al cartoccio meravigliosi, era una specie di terrazza affacciata su una via stretta, e da quelle parti abita anche un altro mio amico attore, che ogni volta che ci incontriamo ne riparliamo, Enrico Lo Verso, che pure lui, come Riccardo Garrone, tempo fa in un’intervista ha raccontato del telefono che non squilla per proposte cinematografiche. Un giorno di questi, magari, farò io una telefonata a Enrico Vanzina, gli chiederò di metterci insieme per realizzare un cinepanettone definitivo intitolato, metti, Vacanze a Marienbad, anzi, Vacanze a Kronstadt o anche Vacanze a Bad Godesberg, così per lusso intellettuale nostro, ma soprattutto mio. Poi sarà la volta di Riccardo G..