“Quando eravamo Re” era il titolo di un documentario sul campione Muhammed Ali, ma vale anche per il nostro Made in Italy che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo, Ferrari in particolare. Quando la F1 non era appannaggio dei fan su Instagram e dei social media manager che ammiccano al pubblico femminile, ma uno sport per gentiluomini che morivano durante “semplici” prove di collaudo o scrivevano, obbligati dalla propria morale, una lettera a parenti e compagne prima di una gara importante. Non c’erano i sistemi anti-decapitazione e i contratti milionari televisivi erano una realtà neonata. Anche Michael Mann era un re, nel suo campo che è quello cinematografico e televisivo (sua l’impronta di stile nella serie Miami Vice) con l’infinita notte di Collateral, la storia di Alì, il capolavoro inquietante e sottovalutato di Manhunter (Dr. Lecter prima di Anthony Hopkins) e l’iconico thriller “Heat - la Sfida”.
Ricordandomi di questo grande regista quando sono entrata nella Sala Darsena, a Venezia, mi ha fatto specie trovarmi di fronte a un’opera tanto deteriore. Come ha spiegato lo stesso Mann, Ferrari non è un film sulle corse, ma sul “the family man” dietro quelle corse, eppure pensare di parlare di Ferrari, di farne un biopic, senza concentrarsi sulle macchine significa un’opera di mutilazione grave su una icona del novecento. Un anno prima della vincita delle Mille Miglia il figlio maggiore di Enzo, Dino, muore. Il lutto alimenta le tensioni tra Enzo Ferrari (Adam Driver) e Laura, sua moglie nonché collega in affari interpretata da una esagitata Penelope Cruz - sembra uscita da una serie di Muccino padre -. La vita di Enzo corre verso il disastro, parallelamente il suo impero in pieno fallimento, mentre il piccolo Piero, il figlio illegittimo avuto dall’amante di una vita, Lina Lardi (Shailene Woodley), cerca la sua identità in quella Modena che osanna il padre ma non sa come collocare questo bambino dalle origini dubbie. Nella dicotomia lacerante tra due case e due famiglie: l’appartamento con la moglie a Modena e la tenuta fuori città con l’amante, Enzo cerca conforto nel terzo figlio che ha il volto della Ferrari (e non le macchine che vende ai ricchi, ma gli esemplari da corsa). Ferrari vede i suoi piloti morire alla velocità di semplici crash test dummies ma niente sembra scalfire la maschera di cera dell’ex pilota; l’unico moto di dolore è rivolto alla tomba di Dino, futuro di un impero che crollerà se non inizierà a vincere gare e se non cederà alla presenza ingombrante di Gianni Agnelli - accordo a cui Mann accenna in una scena fin troppo breve -.
Continuo a pensare, a distanza di quattro mesi che Ferrari rimanga una bellissima occasione sprecata dove l’afflato di Michael Mann si coglie solo in quelle tragiche Mille Miglia del 1957 e l’incidente di Guidizzolo: 9 spettatori tra cui 5 bambini morirono per lo scoppio di uno pneumatico (della vettura di Alfonso de Portago), il tutto mostrato con la magnifica crudeltà sensuale di cui solo Mann sa investire le macchine (insieme a lui David Cronenberg). Sarebbe stato interessante però capire perché se altrove certe gare erano vietate (dopo l’incidente di Le Mans del 1955) in Italia non erano neanche state disposte delle misure di sicurezza adeguate. Ferrari venne assolto da ogni accusa, ma di chi sono le mani sporche di sangue? A chi tocca contare le vittime? Anche questo fa parte della mitologia di Enzo Ferrari, uomo più grande della sua stessa leggenda la cui unica colpa – un po’ come i personaggi di James Ballard - è tentennare nella realizzazione della sua mitologia personale. Il film è basato sulla biografia di Brock Yates del 1991 “Enzo Ferrari: The Man, and the Machine”, ma oscilla tra il melodramma e il thriller senza compiere mai, in modo fin troppo cauto, una scelta. Mann indugia (e senza le sue solite colonne sonore eclettiche) così come l’uomo Ferrari tra due vite che sta perdendo contemporaneamente: “Due corpi non possono occupare lo stesso spazio” spiega Enzo a Piero, questo vale per le corse ma anche per suo figlio morto e quello vivo al suo fianco, semplice logica fisica che perde ogni significato nel cuore infranto di un uomo che ha fatto sognare l’Italia e il mondo.