Me lo ricordo come se fosse ieri. Ma a Roma tutti se lo ricordano come se fosse ieri.
Hanno sparato dentro l’Università.
C’è un cecchino sul tetto della Sapienza.
Un attentato
Hanno sparato a una ragazza.
È tornato il terrorismo nelle aule.
Per chi vive a Roma la definizione “città universitaria” per parlare de La Sapienza non è campata in aria. È enorme, sperduta e sconfinata e se non frequenti la stessa facoltà e lo stesso corso è difficile che tu riesca a incontrare per due volte di seguito la stessa persona. Questa è La Sapienza e c’è stato un momento, circa un quarto di secolo fa, in cui quella “città” è stata in guerra contro dei misteriosi nemici. L’unica cosa certa per i primi giorni fu solo il nome della vittima. Gravemente ferita e poi deceduta: Marta Russo.
“Un soffio, come un tonfo sordo, un piccolo proiettile, una ragazza bionda che cade senza un gemito, un foro dietro la testa, in fin di vita. È quasi mezzogiorno, c' è il sole, e all' università di Roma, la più grande d' Europa, a tanti anni dai colpi che uccisero il giudice Bachelet, torna la paura. Tutto accade in un attimo, imprevisto. Due ragazze sono appena uscite dalla facoltà di Legge della Sapienza, dalla lezione di Diritto costituzionale. Scendono dalla scala, quella antincendio, che finisce su un piccolo vialetto. Scherzano, ridono. Hanno 22 anni, sono amiche. Camminano verso l'uscita costeggiando a sinistra il palazzo della facoltà di Statistica. Un soffio, come un colpo sordo. Ad un tratto una delle due, Marta Russo, un top beige, calzoni di velluto marrone, una borsa bianca sulle spalle, si accascia a terra, senza un urlo, senza una parola. L' amica la guarda cadere. Prima scappa, poi torna a soccorrerla. Ma lei rimane immobile, senza un rantolo con gli occhi sbarrati, i capelli sul volto”.
Questo è l’attacco de la Repubblica del 10 maggio 1997 si sa ancora troppo poco, ma al tempo stesso si sa già molto. Marta Russo è grave, ha 22 anni, camminava con un’amica, aveva appena finito la lezione. Poi l’imponderabile: uno sparo. La caduta a terra. Gli occhi sbarrati che non si riprenderanno mai più. Marta morirà in ospedale una manciata di giorni dopo, la notte del 14 maggio. I genitori davanti alla notizia del coma irreversibile decideranno di donare i suoi organi.
24 anni dopo quella morte, il caso Marta Russo torna incredibilmente attuale grazie al lavoro giornalistico del collettivo Lorem Ipsum. Si chiamano come il testo utilizzato dai tipografi di tutto il mondo come riempitivo di prova. Sembra latino, ma in realtà non significa niente. A volte compare per sbaglio su un giornale, quando chi impagina si dimentica di inserire il testo giusto, o la firma. E allora possiamo leggere “di Lorem Ipsum”. Noi siamo quell’errore. Una discontinuità nel mondo dell’informazione velocista: siamo la tartaruga che sfida Achille nel paradosso di questo tempo. Abbiamo scelto il giornalismo lento, che approfondisce, spiega e accompagna il fruitore nello stesso percorso che hanno fatto le nostre inchieste. Esordiscono così Pietro Adami, Giulia Bianconi e Nicola Campagnani i membri del collettivo che hanno curato “Undici Frammenti” la serie Audible Original che ripercorre la tortuosa vicenda giudiziaria, culminata con l’arresto di due giovani dottorandi dell’istituto di Filosofia del Diritto, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Qualcuno parlerà del delitto perfetto, ma potrebbe invece trattarsi del perfetto errore giudiziario.
Partiamo dal nome del vostro lavoro. Perché “Undici frammenti”?
Nella storia c’è un proiettile, che esplode in undici frammenti. Undici pezzi spezzati, che rappresentano altrettanti pezzi di verità e di bugie, di memoria e di oblio. Il calcolo combinatorio ci insegna che ci sono quasi 40 milioni di configurazioni possibili per un simile puzzle, ma gli inquirenti sono convinti di aver trovato il disegno sulla scatola. Ecco, noi invece lasciamo i pezzi agli ascoltatori e indichiamo altri disegni possibili di questo impossibile mosaico. In molti si sono già accorti che forse manca un pezzo. L’undicesimo frammento. Chissà.
Si parla di puzzle imperfetto, ma in realtà per tanti anni discutendo della morte di Marta Russo si è parlato di assassinio perfetto. Perché?
Il delitto perfetto è appunto il puzzle perfetto. È anche il titolo di un film di Alfred Hitchcock. Si chiama “Delitto Perfetto” un remake di quello stesso film che sarebbe uscito nelle sale a pochi mesi dal delitto della Sapienza, con Michael Douglas protagonista. Qualche giornalista dell’epoca tira in ballo un altro film, “Schindler’s list”: la teoria è che si è sparato a caso da una finestra, proprio come in una scena di quel film, che è da poco stato trasmesso in tv. Poi ci sono i film mentali, qualcuno si inventa che Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, i due dottorandi di filosofia del diritto su cui si puntano tutti i riflettori, hanno tenuto un seminario all’università sul delitto perfetto. Forse allora il vero film che è a monte di queste fantasie è piuttosto “Nodo alla Gola”, sempre di Alfred Hitchcock, in cui i protagonisti Brandon Shaw e Phillip Morgan uccidono per pura sfida intellettuale, il cui obiettivo è realizzare appunto l’omicidio perfetto. Ecco, i film sono perfetti, non la realtà. Il processo Marta Russo finisce con due condannati per omicidio, il presunto movente significherebbe dunque anche un totale fallimento del piano. Eppure, se Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro fossero davvero innocenti, come hanno sempre sostenuto, potrebbe ben dirsi perfetto questo delitto, con un colpevole che l’ha fatta franca.
C'è qualcosa di quel 9 maggio 1997 che non torna?
Non torna il fatto che quel giorno non compaia alcun testimone di fronte alla polizia, proprio lì, in una delle università più popolose d’Europa. Non tornano le scalfitture di proiettile, i bossoli, le armi, che spuntano tutt’attorno al luogo del delitto. Non torna che sia morta una ragazza che non aveva nemici, in pieno giorno, in mezzo a così tanta gente.
Avete incontrato molti protagonisti di questa vicenda. Due su tutti: La donna che ha ricevuto il cuore di Marta Russo e Salvatore Ferraro.
La storia di Domenica Virzì è quella con cui abbiamo deciso di aprire il podcast. Un inizio che può apparire straniante e fin troppo secondario rispetto al centro del racconto, ma è una partenza che obbliga a considerare la presenza di una vicenda che in qualche modo è ancora viva e va presa in carico come tale. Salvatore Ferraro invece racconta la colpa del carcere. Nonostante quel che ha vissuto sulla sua pelle, non si ferma a considerare il carcere come un’ingiustizia verso di lui. Mentre è dietro le sbarre riflette sulle contraddizioni di quell’istituzione anche nei confronti di chi ha effettivamente commesso un reato. La sua è una testimonianza importante, che racconta uno degli angoli più bui della nostra società, nascosta agli occhi dei più, come un rimosso con cui non si vuole fare i conti.
Avete anche incontrato i genitori di Marta Russo. Che sensazione avete provato in quel momento?
Dolore. Gli occhi di un genitore che ha perso un figlio portano un segno indelebile. Ma è straordinaria anche la loro forza. Hanno affrontato la morte di Marta Russo costruendo un’associazione che restituisce la vita attraverso la donazione degli organi, il nome che avevano dato alla loro figlia è ora diventato il simbolo di una pratica che all’epoca era assai poco diffusa in Italia. Tuttavia, di fronte a un lutto di tale portata, c’è bisogno di una verità a cui aggrapparsi, e quella stabilita dalla sentenza definitiva è l’unica che gli è stata data.
Il caso è stato caratterizzato da tanti accadimenti: Virginia Ciaravolo, psicologa e criminologa, mette in dubbio i metodi di interrogatorio degli investigatori… Carlo Lasperanza e Italo Ormanni, i due pubblici ministeri, furono accusati (poi prosciolti) di avere compiuto delle irregolarità nell’interrogatorio di Gabriella Alletto, testimone chiave dell'inchiesta sull'omicidio di Marta Russo. Un quarto di secolo dopo è possibile capire cosa non ha funzionato?
C’era bisogno di trovare un colpevole, quanto prima e a ogni costo. In pochi giorni di indagini si erano scovati arsenali di armi e una serie di sospettati che le maneggiavano con molta facilità all’interno della Sapienza. Incomprensibilmente queste prime piste vengono abbandonate di colpo, non appena entra in scena l’intrigante aula 6 dell’istituto di filosofia del diritto. È l’ambientazione perfetta per un film che piace all’opinione pubblica e agli inquirenti. Non importa se si scoprirà che la particella trovata sul davanzale non prova nulla, non importano le mille contraddizioni dei testimoni, non importa che manchi un’arma, un bossolo, un movente. Importa trovare un colpevole. Non è del resto così anche per chi ascolta il podcast?
Voi un'idea siete riusciti a farvela sul caso? Esiste un aspetto secondo voi poco approfondito sulla vicenda?
In questo caso il problema è proprio l’idea. Non dovrebbe funzionare così, ho un’idea e cerco di inverarla. Ci pare che da un certo punto in poi questo sia esattamente l’errore che hanno commesso gli investigatori. Processualmente bisognerebbe limitarsi a chiedersi se ci sono sufficienti prove a carico degli imputati. Il podcast fornisce diverse ipotesi che gli inquirenti sembrano non aver preso sufficientemente in considerazione. Ma all’ascoltatore non diamo “l’idea”, il disegno sulla scatola del puzzle, ciò che noi diamo sono i pezzi, i frammenti a partire dai quali ciascuno è libero di farsi la propria idea.
Mentre lavoravate al podcast vi è mai venuto di porvi la domanda: e se avessero ragione Scattone e Ferraro?
Forse è proprio una delle domande da cui è nato il podcast. Se avessero ragione loro sarebbero stati condannati degli innocenti a una pena ben più grande del carcere, come si capirà ascoltando il podcast.
L'ultima domanda forse è la più banale: perché Marta Russo quel giorno è morta? Cos'è successo nell’aula 6 di Filosofia del Diritto?
Marta Russo è morta per il colore dei suoi capelli, perché si trovava vicino alla persona sbagliata, perché passava in quel viale… Ma queste sono idee. È provato che nell’aula 6 di filosofia del diritto c’era Maria Chiara Lipari, una donna che viene caricata di una responsabilità immensa, che spreme i suoi ricordi, indica persone che non potevano essere lì, finché non esce qualche nome che improvvisamente cattura l’attenzione di chi la ascolta e fa balenare un’idea.