Con garbo e con toni rispettosi, ma ne ha per tutti. Parlando per la prima volta dopo aver parlato davanti al Csm del caso loggia Ungheria, il magistrato a Piazzapulita su La7 ha sparato una serie di bombe, lasciando incolume – e, anzi, difendendolo – solo il collega consigliere Sebastiano Ardita, indicato dall’avvocato Piero Amara come presunto componente dell’organizzazione massonica. Ardita stasera sarà ospite a Non è l'Arena su La7 di Massimo Giletti e in attesa della sua versione, cosa ha detto Nino Di Matteo di così tanto sconvolgente? Tra i bersagli principali, l’ex membro del Csm Piercamillo Davigo (che avrebbe informato in via informale alcuni componenti del Consiglio riguardo ai verbali di Amara), il sostituto procuratore di Milano Paolo Storari (che, sempre in via informale, avrebbe portato i verbali a Davigo dopo che in Procura di Milano poco o nulla si muoveva) e l’ex ministro della giustizia Alfonso Bonafede (che all’ultimo momento non avrebbe affidato a Di Matteo il promesso incarico di direzione del Dipartimento amministrazione penitenziaria). Di Matteo ha poi parlato delle stragi di mafia, alle indagini sulle quali ha dedicato gran parte della carriera: è ancora convinto che ci si debba impegnare per capire chi abbia aiutato Cosa Nostra, perché a suo dire qualcuno l’ha fatto. Ecco le dieci bombe che abbiamo selezionato.
1 - “Ardita membro di una loggia massonica? Una bufala”
Secondo le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara, Ardita farebbe parte della presunta loggia Ungheria. Per Di Matteo non potrebbe esserci ipotesi più assurda: “Dai riferimenti e dai dettagli riportati nel verbale era subito desumibile, non soltanto da parte mia ma da chiunque avesse anche solo un minimo conosciuto l’attività professionale di Ardita, che quell’accusa era falsa. Era una bufala. E penso e spero che quei dettagli verranno presto smentiti anche giudiziariamente. Io ho constatato subito l’assoluta calunniosità. Ardita è uno che nella sua attività questi poteri e queste forme di condizionamento occulto delle istituzioni li ha sempre combattuti”. Di Matteo ha pensato subito “non solo a un tentativo di delegittimazione di Ardita, ma a un tentativo di condizionamento della sua attività all’interno del Consiglio superiore della magistratura e indirettamente anche della mia attività, perché mi sono subito chiesto "come mai quel verbale fosse stato indirizzato anonimamente proprio a me, nonostante la notorietà dei miei rapporti con Ardita”.
2 - “Quella della presunta loggia Ungheria è una storia di una gravità inaudita”
“Spero – dice Di Matteo – che l’autorità giudiziaria vada e voglia andare a fondo, perché questa è una storia che in ogni caso è di una gravità inaudita, sia che la loggia esistesse e operasse, sia se fosse stata inventata e fossero stati coinvolti (come sicuramente è stato coinvolto calunniosamente Ardita) esponenti dello Stato e delle istituzioni”.
3 - “Le dinamiche del Csm sono in gran parte malate, con logiche simili a quelle mafiose”
Per Di Matteo hanno provato a colpire Ardita “perché è sempre stato irreprensibile e rigoroso e ha contrastato questi poteri occulti. Con Ardita ci stiamo impegnando perché siamo consapevoli che alcuni mali si sono diffusi come un cancro all’interno della magistratura: il carrierismo, la degenerazione correntizia, il collateralismo politico. Noi stiamo facendo tutto quello che possiamo fare per contrastare questa deriva, questo pericolo e soprattutto per difendere i colleghi, quelli che sono veramente liberi e hanno il coraggio di affrontare questi argomenti”. Di Matteo è entrato nel Csm dopo lo scandalo Palamara: “Io come magistrato, già da quando operavo alla Procura di Palermo e poi alla Procura nazionale antimafia, avevo contezza che le dinamiche del Csm fossero dinamiche purtroppo in gran parte condizionate e malate, condizionate dal prevalere di logiche correntizie. Prima di essere eletto al Consiglio superiore della magistratura dissi che alcune logiche del Csm, in particolare quelle che privilegiavano l’appartenenza di un magistrato a una cordata e a una corrente, assomigliavano alle logiche mafiose. Sono stato molto criticato per questo, ma è una frase che oggi a maggior ragione ripeterei".
4 "Quando conducevo le indagini, io avevo paura del Csm":
Di Matteo dice: "Perché in certi momenti mi appariva come un organismo che voleva controllare i magistrati «non affidabili», meno sensibili alle dinamiche del sistema e dell’opportunità politica”. Per Di Matteo invece “il Csm dovrebbe essere il baluardo dell’autonomia e dell’indipendenza di ogni magistrato”.
5 “Il comportamento di Davigo e di Storari non è chiaro”
Riguardo al perché Davigo avrebbe parlato dei verbali e li avrebbe fatti vedere in modo informale e non seguendo le vie ufficiali, Di Matteo dice “ci penso, me lo chiedo con grande partecipazione e anche con un po’ di angoscia. Bisognava indagare, ma per indagare bisogna formalizzare. Il verbale arrivato a me era di un anno e mezzo prima. Io sono stato un pm, so che quando si vuole indagare si riescono ad avviare gli accertamenti. Gli accertamenti nei confronti di Ardita erano e sono veramente di facile soluzione”. Quanto a Storari, che avrebbe lamentato l’inerzia da parte del suo superiore, per Di Matteo “se riteneva che fosse necessaria l’iscrizione avrebbe potuto formalizzare l’iscrizione e sottoporla al visto del procuratore capo. Un magistrato che ritiene che all’interno della sua Procura un’indagine venga boicottata non soltanto ha il diritto ma direi che ha anche il dovere di denunciare, al procuratore generale, al Csm, ma di farlo istituzionalmente, perché comunque (al contrario della tesi di Davigo) non è vero che denunciare formalmente equivale a disvelare le indagini”. Per Di Matteo infatti “all’interno del nostro ordinamento ci sono delle forme che tutelano il segreto”.
6 “Ci sono state delle pressioni per impedirmi di gestire le carceri”
Bonafede, ex ministro della Giustizia, 5 Stelle, avrebbe pensato di dare a Di Matteo la direzione del Dap, poi ci sarebbe stato un cambio di idea da un giorno all’altro e l’incarico fu affidato a Basentini: “Io sono fermamente convinto – dice Di Matteo – che quell’improvviso voltafaccia sia stato originato da pressioni. Non ho mai detto esplicitamente che fossero pressioni mafiose, ma sono convinto che ci siano state pressioni, perché fu Bonafede a dirmi che era intervenuto un diniego o un mancato gradimento”. Un diniego da parte di chi? “Non lo sappiamo e mi dispiace dirlo, ma neppure la commissione parlamentare antimafia mi risulta averglielo chiesto”.
7 - “Vogliono rendere il pubblico ministero collaterale e servente rispetto al potere politico”
Di Matteo si dice “certo che in questo momento di grande difficoltà della magistratura ci può essere una parte della politica e del potere in generale, trasversale ai vari schieramenti, che può tentare di approfittare del momento per regolare i conti, e fare delle riforme che, magari spacciate come riforme che possono accelerare i tempi dei processi o garantire un maggiore controllo sulla omogeneità dell’esercizio dell’azione penale, in realtà vogliono rendere il pubblico ministero collaterale e servente rispetto al potere politico. Noi in questo momento come magistratura dobbiamo ammettere di essere in difficoltà e dovremmo reagire prima di tutto noi a quei mali endemici di cui parlavo”.
8 - “La ricerca della verità sulle stragi non è un patrimonio comune”
Riguardo alla lotta alla mafia, che l’ha caratterizzato da magistrato di prima linea, per Di Matteo “ci sono per fortuna ancora alcuni colleghi e alcuni investigatori che non si arrendono”, ma “non è che la ricerca della verità sulle stragi sia un patrimoniocomune a tutti. C’è un dato di fatto. Da tutti i processi che sono stati celebrati emerge un dato, che non è soltanto possibile, ma è sempre più probabile e più concreto: l’ipotesi che assieme a Cosa Nostra abbiano partecipato a quella campagna stragista che si perpetua tra il 1992 e il 1994 in sette stragi (in Sicilia, a Roma, a Firenze a Milano) anche elementi esterni, nell’ideazione, nell’organizzazione e persino nell’esecuzione. Il lavoro che è stato fatto non è inutile. Sono state acquisite verità parziali ma importanti. Oggi servirebbe uno sforzo veramente importante da parte di tutti, anche della politica, per colmare le lacune che ancora ci sono”. Di Matteo non dice esplicitamente che Borsellino e la sua scorta siano stati ammazzati con la collaborazione di servizi deviati (dunque di pezzi dello Stato), ma sottolinea che “emerge da tanti processi che sono stati celebrati che Borsellino è stato ucciso a seguito di un’improvvisa accelerazione del progetto di uccisione nei suoi confronti. Io (ma è scritto anche nella sentenza di primo grado del processo per la trattativa Stato-mafia) sono convinto che in quel momento, dopo la strage di Capaci, quando Riina capì di essere cercato dallo Stato (e lo seppe da Vito Ciancimino) capì che in quel momento la strategia del terrore pagava e quindi venne incoraggiato in quella strategia e concepì altre stragi, anche quelle del 1993, proprio nell’ottica di mettere definitivamente in ginocchio uno Stato che aveva cominciato a piegare le ginocchia. Riina disse a uno dei suoi più stretti collaboratori, Giovanni Brusca, «Giovanni, si sono fatti sotto, dobbiamo insistere. Gli ho fatto un papello di richieste grande così». L’ottica era quella del ricatto allo Stato, un ricatto a suon di bombe. E più lo Stato mostrava di piegarsi o di cercare il dialogo, più quella strategia si rafforzò. Non possiamo vedere la strage di via D’Amelio in un’ottica distinta e autonoma rispetto alla strage di Capaci ma anche rispetto a tutto quello che accadde dopo”. Per Di Matteo “quello che rimane da capire a fondo è chi aiutò Cosa Nostra a concepire e organizzare quella folle strategia, che era una strategia frontale di attacco allo Stato”.
9 - “Sogno di poter uscire senza scorta”
Di Matteo è il magistrato più scortato d’Italia. Riesce a immaginare una vita senza scorta, dopo 28 anni? Si sveglia la mattina con l’idea di poter aprire la porta e uscire per strada da solo? “Con enorme e sincera gratitudine nei confronti di tutti coloro che mi hanno scortato e mi scortano e dell’Arma dei carabinieri che ha provveduto da 28 anni a questo servizio, io – ammette Di Matteo – non solo ci penso, ma lo sogno”.