Abbiamo intervistato Enrico Vanzina, sceneggiatore straordinariamente prolifico, che ci ha accolto nel suo studio, un vero tempio della storia del cinema italiano, dove si dedica alla scrittura dei numerosi film e libri che portano la sua firma. Foto, premi, libri e tantissimi ricordi di una vita vissuta sui set dei film che hanno segnato un'epoca e più di un genere. Ci ha confidato che quando si domanda se veramente la sua vita è il cinema, guarda la foto che lo ritrae insieme a suo fratello Carlo, entrambi bambini, con Alberto Sordi sul set del film ‘Un americano a Roma’, e dopo averla osservata non ha più dubbi sul fatto di essere nato nel cinema. Enrico Vanzina è cresciuto in un modo dove per lui il cinema era pane quotidiano. Figlio di Steno, regista simbolo della commedia all’italiana, che ha lavorato insieme ad attori straordinari come Totò e Alberto Sordi.
Con il fratello Carlo, anche lui regista purtroppo scomparso quattro anni fa, ha continuato la tradizione di famiglia, dando voce e un’immagine ai pregi e ai difetti degli italiani. Enrico Vanzina è un uomo affabile, allegro, nonché straordinariamente colto e preparato. Con la sigaretta tra le mani ci ha parlato di scrittura, cinema e tanto altro.
Com’è nata l’idea di questo diario?
Scrivere il diario in realtà è stato un caso. Siccome ho una rubrica settimanale sul Messaggero, e tutte le settimane devo trovare un argomento interessante, ho iniziato appuntando alla fine della giornata quello che mi era successo e che avevo osservato. Dopo un mese, mi sono reso conto che stavo facendo un qualcosa di molto più interessante, stavo scrivendo un racconto quotidiano che in realtà è un romanzo della vita. Attraverso me parlo di noi, degli italiani che io seguo con affetto.
Ha scelto un titolo che richiama alla mente il “Diario notturno” di Ennio Flaiano.
Quando ho capito che stava prendendo forma un diario mi sono ispirato moltissimo a Ennio Flaiano, che ho conosciuto e con cui ho condiviso un grande rapporto d’amicizia. Per me rappresenta un faro dal punto di vista letterario per il suo modo di scrivere e di essere, per questa sua doppia figura di scrittore e sceneggiatore. Il titolo del diario è un omaggio a Flaiano, però si sarebbe dovuto chiamare diario sentimentale, per i sentimenti che attraversano la vita di una persona libera.
C’è oggi una figura come Flaiano a livello culturale?
No, perché oggi quel tipo di osservazione è stata stravolta dall’ideologia e da nuove tecnologie che portano il mondo ad odiarsi, invece che essere osservato.
Secondo Flaiano chiunque si sia appisolato a teatro sa che è nel momento del passaggio dalla veglia al sonno che i sensi sono più acuiti e si ha lo spettatore perfetto. Secondo lei questo ragionamento è valido anche per il cinema?
Flaiano ha scritto tantissimo di teatro, letteratura e di cinema anche con grande acume. Cercando di andare a fondo in questo pensiero del passaggio dalla veglia al sonno, una persona dorme nella vita e poi ci sono delle cose che la risvegliano, e il cinema come un libro o un paesaggio possono farlo.
Cos’è per lei il cinema?
È l’osservazione quotidiana degli atteggiamenti degli altri, sempre con grande affetto. Il cinema è un rito nel suo modo di essere, anche se oggi ce lo stiamo dimenticando. Un rito di socialità che si compie in sala, perché lo spettacolo prende un suo senso proprio nel momento in cui è visto con altre persone. In questo modo si amplificano tutte le sensazioni. Il cinema è anche altro, come i ricordi che sono legati al film che hai visto. Anche tutti i momenti che gli gravitano attorno come uscire di casa, dare il primo bacio, annoiarsi, commentarlo poi con gli amici in pizzeria. Quindi è qualcosa di molto più complesso del film da solo, ha una valenza totale.
Quando ha capito che il cinema sarebbe stata la sua strada?
Ho cercato in tutti i modi di non farla diventare la mia strada, essendo nato in una famiglia che faceva cinema, per cui è stato un tentativo di liberarmi. Invece poi il cinema si è avviluppato a me. Evidentemente è una questione cromosomica, ed è stata veramente la mia fortuna.
Come mai ha scelto di laurearsi in scienze èolitiche?
Perché volevo fare il giornalista, che poi ho fatto. Non avevo bisogno di studiare letteratura, e lo dico senza presunzione: ero molto colto.
Ha preso anche una seconda laurea in sociologia?
Non l’ho proprio presa, quello era un modo per evitare di fare il militare. La sociologia mi appassiona molto, ho fatto soprattutto degli studi approfonditi sulla psicanalisi.
Ha scritto tantissimi film di successo, qual è per lei il suo capolavoro?
Non ci sono dei capolavori, ci sono dei film. Forse qualcuno lo è ma non lo capisci mai prima. Oggi il cinema vive di capolavori annunciati secondo il tema, secondo chi lo fa e secondo gli attori protagonisti.
La critica ha etichettato alcuni suoi film come “Cinepanettoni”. Le dà fastidio questa definizione?
È una definizione che non mi piace, perché si riferisce ad un prodotto diventato commerciale. I film di Natale sono un genere che abbiamo inventato noi.
Poi sono diventati dei film cult, come si spiega questo cambiamento di giudizio?
Credo che faccia parte del gioco. Anche mio padre dovette sentirsi dire che i film con Totò erano di serie B. Il tempo sa essere galantuomo ed è in assoluto il critico migliore.
La critica cinematografica esiste ancora?
Si, ed è molto importante.
Cosa ha rappresentato per lei Gigi Proietti?
È stato un mio grande amico, nonché uno degli attori italiani più bravi insieme a Volontè. Lo conobbi quando da giovanissimo scrissi per mio padre la sceneggiatura di “Febbre da Cavallo”, con lui sul set si è sempre riso moltissimo. Resterà nel cuore di tutti.
Qual è il suo personale ricordo di Gian Maria Volontè?
Un grande attore italiano. Ha recitato in un nostro film, “Tre colonne di cronaca”, inizialmente non sapevamo se ne avrebbe preso parte, ma lui invece accettò. Era capace di fare tutto.
Quali sono gli attori con cui è più difficile lavorare?
Quelli che pretendono di stravolgere il copione dopo averlo accettato, gli attori che pensano di essere loro stessi il film.
I registi italiani che stima di più?
Stimo molto Federico Fellini, mio padre Steno, Mario Monicelli, Roberto Rosselli, Paolo Sorrentino e molti altri.
Chi sono gli attori migliori della nuova generazione?
Ormai gli attori fanno di tutto e nei film trovi sempre gli stessi.
Con quale attrice o attore le piacerebbe lavorare e non ci è ancora riuscito?
Non saprei, il cast viene deciso di volta in volta in base alla sceneggiatura.
Christian De Sica in una vecchia intervista ha detto che gli attori americani sono i migliori per preparazione, mentre gli italiani sono quasi tutti improvvisati. Ma in questa improvvisazione hanno dei voli geniali. Gli americani non volano mai davvero. È così?
Si è vero. È giusto improvvisare, ma bisogna farlo in maniera sana, senza alterare troppo la sceneggiatura.
Christian De Sica vi deve molto per “Sapore di sale”. Qual è la sua più grande qualità?
La sua capacità di essere molto versatile, riesce sia a far piangere che ridere. Credo che possa fare ancora di più.
Attualmente sta lavorando a un altro progetto cinematografico?
Si sto lavorando a un progetto che uscirà nelle sale. Recentemente ho collaborato con Netflix, ma non sono un grande appassionato di queste piattaforme, preferisco il cinema in senso classico.
Quanto è cambiata Roma dai tempi della sua infanzia?
Rispetto a quando ero piccolo Roma fisicamente è rimasta la stessa. Ad essere cambiata è la mentalità dei cittadini.
Che rapporto ha con la Roma di oggi?
Un bellissimo rapporto.
Pensa che potrebbe mai vivere in un’altra città?
Si, ho vissuto anche in altre città ma poi ritorno sempre a Roma.
Il miglior sindaco di Roma a sua memoria?
Non ho memoria di tutti i sindaci che Roma ha avuto nel passato, ma direi Francesco Rutelli con cui ho un rapporto d’amicizia.
Da un sondaggio l’80% dei romani avrebbe votato Carlo Verdone. Sarebbe un buon sindaco?
Carlo Verdone è un mio grande amico, credo che i romani se avessero potuto avrebbero votato anche per Francesco Totti.
Le è piaciuto il racconto di Roma ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino?
Si, perché è riuscito a cogliere in modo straordinario le contraddizioni di Roma. “La Grande Bellezza” è un affresco della città. Roma si può raccontare in tantissimi modi e comprenderla fino in fondo è difficile.
Siamo nel mezzo di una crisi di governo. Se dovesse raccontarla in una sua sceneggiatura come la descriverebbe?
La descriverei come una commedia degli errori.
La pandemia per lei è stata una sofferenza o, come alcuni, anche un modo per ritrovare un tempo perduto?
Ho riallacciato rapporti con amici che non sentivo da tempo, ripreso a suonare il pianoforte che è una delle mie grandi passioni. In quel periodo ho scritto e letto poco, avendolo fatto sempre durante la mia vita.
Ci racconta un aneddoto legato a Totò?
Totò abitava vicino a casa nostra. Ricordo che un giorno andai a trovarlo mentre girava il film ‘Totò Diabolicus’, in cui interpretava tanti personaggi. Quando lo vidi era ancora vestito da donna e mi disse: “Ah, quanto mi piace fare Totò”.
E su Alberto Sordi?
Ho una foto di Alberto Sordi, a cui sono molto legato, che lo ritrae insieme a Carlo e me piccolissimi, scattata sul set di “Un americano a Roma”. Grazie a nostro padre io e mio fratello Carlo abbiamo avuto la possibilità di vivere al fianco di attori molto noti, ma trascorrevamo del tempo anche con quelli che erano meno famosi. Era questa la nostra realtà.
A quale dei film diretti da suo padre è più legato?
Sicuramente “Febbre da cavallo” di cui ho scritto la sceneggiatura.
A lei e a suo fratello è mai pesato essere considerati “figli di”?
All’inizio può essere un peso, ma poi bisogna dimostrare quanto si vale e camminare con le proprie gambe. Il tempo è il critico più importante.
Cosa ha significato perdere suo fratello Carlo?
Insieme a lui se né andata via anche una parte di me. È sempre al mio fianco, anche in questo momento.
Qual è il momento più bello che ha vissuto con suo fratello?
Quando andammo a Valle Giulia alla proiezione di “Tre colonne in cronaca”, in cui aveva recitato Gian Maria Volontè. Ricordo di quando guardandoci negli occhi abbiamo capito di aver fatto veramente un bel lavoro.
Se avesse la possibilità di parlargli oggi cosa gli direbbe?
Continuo a parlare con lui ogni giorno, come prima –ci dice indicando la foto di suo fratello incorniciata sulla scrivania-.
Qual è stata la sua più grande soddisfazione?
Fortunatamente ho avuto la possibilità di realizzare molti sogni nella mia vita, non potrei mai dire il contrario.
C’è un film che avrebbe voluto realizzare ma che è ancora incompiuto?
Io e Carlo avremmo voluto realizzare un western all’italiana usando Colt, l’ultimo soggetto di Sergio Leone da cui poi Sollima ha creato una serie tv. Purtroppo, non ce l’hanno fatto fare, era un rimpianto per entrambi.
Ha un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe girare un film insieme al mio amico Carlo Verdone, visto che non abbiamo mai lavorato insieme.
Lei è un giornalista. C’è una domanda che i giornalisti non le fanno mai e invece le piacerebbe che le facessero?
Non mi chiedono mai se sono soddisfatto di me.
Si sente soddisfatto di sé stesso?
Dovrai chiedermelo la prossima volta.